[A L O N E]

167 11 6
                                    

Il ragazzo osservò la figura della cameriera allontanarsi e rapidamente scomparire nell'oscurità dei corridoi, abbandonandosi alle spalle lo scalpiccio dei propri passi.
Solo.
Sono rimasto solo.
Lo sguardo del giovane vagliò l'immenso salone, alla ricerca di prove che rafforzassero quella convinzione.
Il tempo pareva essersi fermato. Nulla fremeva, nulla palpitava, nulla emetteva il minimo respiro; una lugubre rigidezza avvolgeva la magione come un velo diafano. Persino le fiammelle delle candele avevano cessato di tremolare, e ardevano silenziose e immobili sui rispettivi ceri.
Di fronte a quell'atmosfera di quiete, descrivibile ormai solo nei termini del sacro, il ragazzo si sentì pervadere da un senso di profonda soggezione. Come osava lui, un essere vibrante di vita e scosso dai sospiri, insozzare quella perfezione con la propria immonda presenza?
Nella suggestione di quegli istanti, gli parve quasi di scorgere l'oscurità che avvolgeva le pareti della villa dipanarsi nella sua direzione, arrampicandosi sul mobilio e serpeggiando sul pavimento, fino a raggiungere le sue membra e ad avvilupparsi attorno ad esse come un rettile, stringendo i suoi arti fra le buie spire...
Dio sbatté ripetutamente le palpebre.
Le lingue d'ombra scomparvero con la stessa rapidità con la quale erano apparse, e il salone ripiombò nella sua quiete originaria.
Non c'era tempo per perdersi in quelle assurde fantasticherie. Doveva agire in fretta.
Dio mosse qualche passo verso la parte interiore della sala, muovendo di tanto in tanto il capo a destra e a sinistra. Anche in un momento così critico, non poteva fare a meno di ammirare ancora una volta la maestosità architettonica di villa Joestar.
Si trattava, in realtà, di un complesso tripartito: le due ali laterali, che ospitavano gli alloggi della servitù, la lavanderia e le cucine, erano collegate all'edificio centrale tramite una serie di corridoi perpendicolari. Era quello il vero vanto della magione: una residenza in mattoni, in tipico gusto vittoriano, distribuita su tre diversi piani. La facciata risultava scissa a metà dal portone d'ingresso, racchiuso in un'edicola sormontata da un enorme timpano triangolare, che scaricava il proprio peso sulle due paraste laterali. Immediatamente sopra al portale, separata da esso solamente da una lastra in pietra, era una vetrata policroma bipartita, fonte di gran parte della luce che penetrava all'interno della villa durante il giorno. Essa occupava il cuore del prospetto, dividendo l'edificio in due aree simmetriche; ognuna di queste presentava una dozzina di finestre a sesto acuto, spartite equamente tra due piani. Sul secondo, in particolare, si arrampicava un ampio terrazzo marmoreo, inframezzato dall'edicola. Il terzo piano era invece occupato per intero da un tetto a mansarda con copertura in ardesia, scavalcato agli estremi da tre camini.
La villa era cinta da un immenso giardino, attraversato nei punti cardinali da quattro larghe vie lastricate in pietra, che convergevano in un unico piazzale circolare dominato da una magnifica fontana.
L'interno della villa non era certo meno sontuoso. L'ingresso, al quale si accedeva tramite una coppia di scalinate parallele, sfociava nel gigantesco salone nel quale Dio si trovava in quel momento. Si trattava una sala a pianta rettangolare, pavimentata in marmo bianco e nero, la cui struttura convergeva verso un'ampia rampa di scale addossata al muro. I gradini terminavano ai piedi della vetrata principale, e da lì si bipartivano in direzioni opposte, formando una lunga balconata interna che correva perimetralmente alla sala. Essa era sorretta da cinque colonne per lato, andando così a formare, agli estremi opposti del salone, due corridoi ciechi porticati, che terminavano ai fianchi della scala. Da essi, tramite alcune porte in nocciolo, si accedeva alla sala da pranzo, lo studio di Lord Joestar, le stanze da bagno, la biblioteca e gli alloggi della servitù, mentre le camere da letto dei residenti e degli ospiti si trovavano al piano di sopra.
All'interno della sala predominavano le sfumature purpuree e vermiglie delle pregiatissime tappezzerie che rivestivano le pareti, mentre l'arredamento poteva vantare, oltre al mobilio seicentesco, una collezione di artefatti antichi e di armature medievali.
Dio si fermò all'altezza della scalinata, di fronte ad una statua femminile posta alla sua destra. Per quanto pregevole, nessuna suppellettile poteva competere con la bellezza di quella scultura. A villa Joestar amavano chiamarla la "Dea della Benevolenza": si mormorava che essa fosse in realtà una divinità pietrificata, custodita tra le mura della magione attraverso i secoli, e che, al momento di maggiore bisogno, si destasse dal suo sonno per accorrere in aiuto dei membri della famiglia.
Al di là delle leggende, era comunque un'opera di squisita fattura. Rappresentava una Venere intonacata, immortalata nell'atto di sollevare un'anfora colma d'acqua. Il suo corpo venusto e formoso si indovinava facilmente seguendo con lo sguardo i delicati panneggi della veste; il ventre piatto, i fianchi curvilinei ed il prospero seno le conferivano la sensualità dirompente tipica delle botteghe italiane. La gestualità della fanciulla, poi, sembrava rimarcare ancor di più la magistrale abilità dell'artista nel rappresentare con realismo la figura umana: aveva il bacino leggermente incurvato all'infuori, colta nell'atto di muovere un passo in avanti, e le sue sue dita si stringevano sul vaso in maniera scomposta, come se l'avesse sollevato frettolosamente e rischiasse di versarne il contenuto. Ciò che colpiva maggiormente in quella rappresentazione era però, secondo il ragazzo, l'espressione della donna. Essa pareva mutare a seconda della persona che la osservava, quasi che la dea fosse davvero viva: alcuni vi leggevano una spensierata gaiezza, altri l'immagine dell'innocenza, altri ancora la tenerezza di una madre. Secondo Dio, invece, la contentezza dipinta sul suo viso non era altro che un'ostentazione, una sorta di maschera con la quale la fanciulla schermava i propri sentimenti: di fronte a lui, i suoi occhi apparentemente traboccanti di fanciullezza divenivano vacui e velati di rammarico, mentre le sue labbra delicate non si dischiudevano in un sorriso, bensì in una smorfia di sofferenza. Il suo corpo comunicava ciò che non poteva esprimere a parole: Che cosa sono io, in fondo? Una dea? Il mio compito è servire solo ed unicamente l'uomo, a prescindere dal fatto che mi sia grato o meno. No, non sono una dea.
Sono una schiava.
Dio accarezzò il piedistallo della statua in maniera quasi affettuosa. Si era spesso chiesto in che epoca potesse essere stata scolpita un'opera di tale complessità psicologica. Seicento, forse? No, non sembrava presentare le caratteristiche tipiche dell'arte barocca. Che fosse addirittura anteriore? Avrebbe dovuto chiederlo a Jonathan...
Jonathan.
Il ragazzo si irrigidì.
Per quanto ancora dovrò continuare a fingere?
Gli tornarono alla mente le parole della cameriera. Tutti quegli elogi ammirati, tutte quelle premure... Se solo lei avesse saputo chi era in realtà...
Il ragazzo si abbandonò alle spalle la Dea della Benevolenza, che parve seguirlo con il suo sguardo di pietra mentre si allontanava, diretto verso la biblioteca.
Quanti anni della mia vita ho speso indossando la maschera del "bravo ragazzo"?
Stando a quanto gli aveva detto Lucy, Jonathan non era ancora tornato. Aveva ancora alcuni minuti a disposizione per cercare quella.
Tanto, troppo tempo. Troppo tempo sprecato a conquistare la fiducia di tutti coloro che mi circondavano.
Dio protese la mano verso la maniglia, raccogliendo il metallo dorato fra le dita affusolate. Si inebriò della sensazione fredda che il pomello di ottone gli trasmetteva alle falangi, attendendo qualche attimo prima di aprire la porta.
È giunto il momento di prendermi ciò che mi spetta.
George Joestar. Jonathan.
Li avrebbe uccisi tutti.

Hai finito le parti pubblicate.

⏰ Ultimo aggiornamento: May 25, 2017 ⏰

Aggiungi questa storia alla tua Biblioteca per ricevere una notifica quando verrà pubblicata la prossima parte!

A N O T H E RDove le storie prendono vita. Scoprilo ora