Parte 1 senza titolo

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«Possofumare una sigaretta? Vorrei fumare una sigaretta per favore» lavoce di Ilaria tremava, le mani facevano lo stesso. Con gli occhigonfi e l'aria distrutta guardò l'agente vicino a lei, anche seper tutto il tempo aveva cercato di sfuggire il suo sguardo. «Puòpassarmi quell'astuccio?» chiese all'agente, indicando la madiadietro di lei. La donna si voltò, prese un piccolo astuccio divelluto bordeaux, lo aprì, controllò il contenuto e poi lo porse adIlaria.

«Ecco.»

«Grazie.»

Ilariatirò fuori un pacchetto di cartine lunghe ed una busta di tabacco.Sfilò una cartina dalla confezione, con l'altra mano prese deltabacco e glielo sistemò sopra per tutta la lunghezza, faticando neltentativo di tenere a bada il tremore. Mise il filtro e rollò lasigaretta quasi in un unico gesto, poi la portò alle labbra e laaccese. La fiammella dell'accendino ballò leggermente, in unattimo rese incandescente il tabacco e Ilaria prese un lungo respiro.Espirò lentamente, mentre il fumo colorava l'aria l'agente leporse un posacenere.

«Civorrà ancora molto?» le chiese Ilaria, ringraziandola con un gestodel capo.

«Nonso, l'ispettore sta sentendo i suoi vicini.»

«Perchéio sono stanca, ho solo voglia di riprendermi Chicca ed andarmene adormire. Non chiedo altro.»

Chiccaera il diminutivo di Francesca, sua figlia.

«Possocapire signora, ma sinceramente non credo che possiate restare qui.»

«Dicedi no?» Ilaria la guardò con aria allarmata, poi si voltòd'istinto per cercare sua figlia.

«Nonsi preoccupi, è in camera sua con un'assistente sociale» l'agentecapì al volo il suo pensiero. «Nessuno l'allontanerà da qui senzametterla al corrente, stia tranquilla.»

Ilariatornò a guardare la tovaglia di plastica rossa sul tavolo, prendendolunghe boccate di nicotina per calmarsi. Le doleva tutto, la testaper prima. In prossimità del livido sul sopracciglio sentiva come ilbattere di un martello con la stessa frequenza con cui rintoccano isecondi di un orologio, solo che invece di fare tic-tac facevanobum-bum. Al sapore metallico del sangue ormai si era abituata, anchese sentiva una leggera puntura al labbro inferiore ogni volta cheincrespava la bocca per fumare. Il collo non le bruciava più, eracerta di avere la pelle piena di escoriazioni ma non si era ancoraguardata allo specchio e non aveva fretta di farlo. Il dolore chesopportava meno, però, era quello al costato, ogni volta cherespirava più profondamente, alzava il braccio destro o si muovevacon poca attenzione le arrivava una fitta. Quei dolori li avrebbeavuti per diversi giorni, ogni movimento le sarebbe costato unasmorfia. Lo sapeva, ci era già passata prima, anche solo pettinarsii capelli le avrebbe fatto male. Ma il male, la fatica, lastanchezza, il clamore, il parlottio dei vicini, le indagini, nienteaveva più importanza ormai, niente se non il fatto che fosserofinalmente libere.

Laprima volante era arrivata quasi un'ora prima, l'aveva chiamata lei.Da allora riviveva quello che era successo sia nei racconti allapolizia che nella sua testa. Rivedeva la furia di lui, le botte, lemani intorno al collo. Vedeva Chicca in piedi sulla porta dellacucina e sentiva la sua voce che chiamava mamma, che chiamava papà.Sentiva la paura nel suono delle sue parole, percepiva il terrore diuna bambina catapultata in un posto orrendo. Poi gli occhi di lui,furenti e enormi. Rossi. Quegli occhi che la stavano fissando contanto odio si erano spostati sulla bambina. E alla fine quelleparole. «Non sarete mai di nessuno» aveva detto. E le avevalasciato il collo. E aveva guardato Francesca. E aveva puntatoFrancesca. «Scappa Chicca!» Le parole strozzate uscite tra i colpidi tosse se le ricordava bene, mentre si toccava il collo e tornava arespirare. «Vai! Scappa!» E la piccola aveva ubbidito. Poi siricordava di aver preso il coltello più grande dal ceppo, il piùtagliente, che molte volte le aveva segnato le dita mentre preparaval'arrosto come piaceva a lui. Si ricordava tanto la lama che leoscillava davanti quanto la stretta serrata sul manico di legno, poilo aveva chiamato. Aveva ben impresso il suo sorriso di scherno, chedall'alto del suo metro e ottantatré la guardava come per dire chenon era credibile, che non faceva paura. Ma lei non voleva farglipaura, voleva solo proteggere Chicca, darle il tempo di andare via. Ese ne stava lì di fronte a lui con la bocca sanguinante e quelbum-bum in testa che non le dava tregua, con un fianco dolorante e ilcollo segnato. «Tu lei la lasci stare» gli aveva detto Ilaria, «tulei la lasci stare!» aveva urlato. «Non mi devi dire cosa devofare, sono io che comando qui!» aveva urlato anche lui. «Tu noncomandi un cazzo» gli aveva detto Ilaria a denti stretti. «Tu nonsei un cazzo. Tu sei solo un poveraccio senza coglioni che se laprende con le donne. Sei un inutile pezzo di merda che non ha lepalle di accettare che sua moglie lo abbia lasciato dopo anni diviolenze. Tu non sei un cazzo Filippo, non sei un uomo, sei solo unanimale.» E ancora quegli occhi rossi e spalancanti, ancora piùrossi e ancora più spalancati. Poi lui che le si butta addosso, leiche fa in tempo a vedere Francesca che apre la porta ed esce di casa,lei che mette il coltello davanti a sé e prega perché corralontano, lei che chiude gli occhi e la lama che entra per venticentimetri appena al di sotto dello sterno. Penetra dentro la carnecome fosse stato burro e lui improvvisamente si bloccanell'espressione e nel respiro, entrambi divenuti di sorpresa. Poilei molla la presa e si scansa di lato, lui cade sulle ginocchia epoi a terra ed il pavimento si tinge di rosso, velocemente. Rossocome erano i suoi occhi, come i segni sul collo, come il sangue checontinuava a deglutire a la tovaglia sul tavolo di sala che stavaraccogliendo impercettibili granelli di cenere.

IN DUBIO PRO REOWhere stories live. Discover now