Capitolo 3

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Quando la porta della locanda si chiuse alle mie spalle mi ritrovai nuovamente in quel vicolo umidiccio che puzzava come il bagno della mia scuola.

Fortunatamente il sole era ancora alto nel cielo, nonostante fosse nascosto da una leggera coltre di nubi Londinesi.

Quando ero piccola mia mamma mi diceva sempre che le nuvole nel cielo di Londra erano frutto di una maledizione, e che un giorno io sarei stata in grado di scacciarle via solo grazie alla mia bellezza e al mio sorriso.

Ovviamente non aveva mai funzionato, ma quel concetto mi aveva fatta crescere con l'obiettivo di migliorare me stessa.

Beh, il risultato non era niente male…

Ma dove vado adesso?

Provai a pensare al 1719. A scuola ne avevamo parlato?

La Watson doveva sicuramente averne parlato durante una delle sue noiosissime lezioni.

Storia era una tortura per me. Non perché la materia in sé mi desse fastidio, quello no, anche perché non avevo sprecato neanche tempo a stare attenta. Ma perché la mangia-baguette e il mio Brad avevano il banco vicino, e spesso si lanciavano delle occhiatine d'intesa.

Qualcuno mi afferrò per la spalla e io lanciai un urlo.

Mi voltai di scatto e incontrai gli occhi vacui di un uomo senza un paio di denti.

Il suo alito puzzava come lo spogliatoio maschile dopo gli allenamenti di football e i suoi capelli erano radi come la barba sulla faccia della signora Ramirez, la professoressa di matematica.

Mi si strinse lo stomaco e un conato di vomito mi spinse ad allontanarmi.

Morirò soffocata da questo schifo!

Lo sdentato continuò a farfugliare qualcosa tra gli ultimi denti neri e marci che gli erano rimasti, ma non capii una parola di quello che disse.

Stavo perdendo la pazienza.

«Ho fame… monete… » biascicó a voce bassa.

Mi allontanai infastidita e gli rivolsi la mia miglior occhiata sprezzante. Ma chi si credeva di essere per toccarmi?!

«Non ne ho monete! Se le trovi dalle a me, tanto penso proprio che non ti rimanga molto da vivere, ormai.»

Oddio, ma che malattie girano nel 1719? Sono stata vaccinata, vero?

Lo sdentato non sembrò molto soddisfatto della mia risposta, e si allontanò per andare ad importunare una venditrice ambulante poco più in là.

Sentivo il rumore del Tamigi poco distante da quel vicolo che puzzava di guai. Se l'avessi raggiunto cosa sarebbe successo? Nel 1719 c'era già il London Eye? Sì, doveva esserci.

Mi guardai intorno, dovevo trovarlo. Quella ruota gigante riusciva sempre a scacciare via i terribili pensieri che mi offuscavano la mente, ad esempio la mangia-baguette che ci provava con il mio Brad. Ma chi si credeva di essere quella? Magari anche quella volta la giostra avrebbe fatto il suo dovere.

E invece, prima di scoprire se nel 1719 il London Eye esistesse o meno, il mio sguardo fu ipnotizzato da una succulenta bancarella piena di frutta e verdura dalla forma strana.

«Cibo!» esultai, ma quando mi fermai davanti a quelle assi di legno mezze rotte, capii che dovevo davvero essere finita in un brutto incubo.

C’erano soltanto mele. E non mele rosse, tonde e invitanti, bensì mele giallastre, storte e nauseanti. Almeno non puzzavano!

Almeno manterrò la linea! Una mela al giorno toglie il medico di torno, no?

Però sono astringenti…

Meglio.

Mi avvicinai alla fruttivendola che giaceva a braccia conserte dietro a quella catapecchia. Lo sguardo fisso davanti a sé e il volto corrucciato in un’espressione rabbiosa.

«Salve, mi può dire il prezzo di quelle mele?» chiesi, squadrandola.

Lei si limitò a fissarmi, probabilmente chiedendosi come razza mi fossi vestita.

Non ha mai visto una donna in pigiama, signorina Umbridge?

Quella donna assomigliava maledettamente a quella canaglia di Dolores Umbridge. Povero Harry!

«Allora?» sbottai spazientita quando vidi che non accennava a parlare.

Ma che maleducazione! Aveva veramente intenzione di tenere su quella baracca riservando occhiatacce a chiunque e chiudendosi nel suo mutismo?

Niente. Aveva proprio deciso di non spiccicare parola e allora avrei fatto di testa mia.

Mi allontanai quanto bastasse per scomparire dal suo campo visivo. Chiusi gli occhi, inspirai a fondo e poi li spalancai. Ero pronta.

Mi avvicinai di soppiatto alla bancarella, mentre la fruttivendola era impegnata con un cliente piuttosto baffuto, e afferrai al volo un sacchetto riempiendolo di una decina di mele.

Proprio sul più bello, però, una voce mi fece raggelare.

«Al ladro! Al ladro!»

Ma la gente non sapeva farsi i fatti propri nel Settecento?

Invocai tutti i Santi che conoscevo nella speranza che almeno uno di loro me l’avrebbe mandata buona. Ma mi sorse un dubbio. Nel 1719 erano già santi?

Perché non ho mai seguito le lezioni del catechismo da bambina?

Me la diedi a gambe, facendo cadere un tipo sul ciglio del marciapiede e cercando di mettere più distanza possibile tra me e i miei inseguitori.

Ero abituata a correre; di solito mi dedicavo ad una corsetta mattiniera per bruciare i grassi e per guardare il culo del mio vicino di casa che correva sempre al mio stesso orario. Potevo superare quei quattro cretini alle mie spalle!

Solo una cosa non avevo calcolato: loro erano più furbi di quanto credessi.

E infatti un ciccione dalla lunga barba e con qualche dente in meno apparve dall’angolo in cui stavo per immettermi con un sadico ghigno sul volto.

Dove avevo già visto quell’uomo?

«Hai finito di correre, ragazzina.»

Nota autrici
Buongiorno, adorati polipetti! Eh, lo sappiamo, in ritardo anche stavolta, ma giuro che la colpa è stata di Jen (come al solito xD). Il prossimo capitolo dovrebbe arrivare in meno tempo, si spera, vero Jenna?
Un abbraccio da entrambe!

Jen&Dina

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