Capitolo Quattro

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Quella volta ero riuscito ad organizzare una serata davvero niente male: ero riuscito a convincere Stefan ad uscire con me, Juliet e Julian.
Sì, avevo deciso di mantenere un rapporto con quei due. Non erano affatto male.
Erano piuttosto particolari e mi ricordavano tremendamente due hippies alla ricerca della felicità (che difficilmente si trova nella gelida e triste New York City).
Altro punto a favore di una quella sera: quella stronza di Claudia non poteva venire. Impegni di lavoro, aveva detto a Stefan. Ed io sperai per lui che quell'idiota gli avesse detto la verità.
Il nostro punto di incontro era l'immancabile Groove. Tutti adoravano quel buco così accogliente per motivi diametralmente opposti: Juliet adorava l'atmosfera, Stefan la musica ed io la musicista.
Non sapevo che cosa piacesse a Julian di quel posto e, sinceramente, non mi importava.
Fatto sta che tutto stava andando alla grande. Eravamo al nostro tavolo a discutere sul senso della vita mentre gustavamo i nostri drink che, quella sera, erano inspiegabilmente più buoni.
Non ricordavo l'ultima volta nella quale io mi sia divertito in quel modo: non mi sentivo di troppo e mi sembrava di essere a casa.
Stavo bene. Ma stavo bene davvero.
Poi, l'immancabile imprevisto che il fato decide di mandare ogni volta che la vita sembra fare un po' meno schifo.
Non lo definirei un vero imprevisto, ma fu una cosa che mandò completamente a puttane quella splendida serata.
E che, possiamo dire, mi cambiò ulteriormente.
Mi trovavo al bancone, aspettando che il barista mi degnasse di uno sguardo per poter prendere un nuovo drink, quando una donna dall'aspetto devastato si schiantò letteralmente contro di me.
Era orrenda. Non scorderò mai quei denti che sembravano sul punto di staccarsi da un momento all'altro e quell'orribile cappotto maculato che si teneva insieme grazie a cuciture sbilenche e preghiere.
Sembrava andare di fretta, come se stesse scappando da qualcosa. Biascicò delle scuse incomprensibili senza nemmeno fermarsi per poi sparire tra la folla.
Poi seguì una voce gracchiante molto mascolina.
«Dove cazzo vai, maledetta stronza?!»un uomo mi scostò con forza, facendomi perdere l'equilibrio. I suoi occhi scrutavano tra la folla, evidentemente in cerca della drogata di poco fa.
«Porca puttana, Sally, non puoi lasciarlo così!»
Era completamente fuori controllo. Sembrava disperato, sul punto di una crisi; non sapeva davvero cosa fare.
Cominciò a sbraitare cose in una lingua incomprensibile, continuando a lanciare occhiate verso un punto preciso dietro di lui.
I suoi occhi si posarono sui miei ed il mio cuore sussultò non appena quello sconosciuto così minaccioso si incamminò verso di me.
«Zef, non voglio che muoia!»squittì una voce stridula.«Non qui!»
L'uomo mi agguantò un polso, sovrastandomi con la sua figura imponente.
«Ti prego.»sussurrò con una voce tremante che non si addiceva per niente al suo aspetto.«Aiutaci.»
Io non sapevo cosa fare. Era una situazione che sfuggiva completamente alle mie competenze.
Mi sembrò di essere in un sogno: tutto scorreva più lentamente mentre cercavo di tirare fuori un senso da quell'assurda situazione.
Che cosa potevano volere da me? Chi erano quelle persone?
Non volevo finire nella merda, ma come potevo rifiutare? Quel tizio non aveva l'aspetto di uno che si sarebbe fatto molti scrupoli per ottenere ciò che voleva.
Mi limitai ad annuire e lui si voltò, incamminandosi verso i bagni del Groove, dove di solito bazzicava meno gente.
Lo seguii e rimasi shockato dallo spettacolo che mi si presentò dinnanzi.
C'era un ragazzino steso a terra. Non si muoveva ed il pallore della sua pelle era spaventoso.
Un rivolo di sangue mescolato a bile andava dal naso fino al mento. Non respirava.
Rimasi letteralmente pietrificato. Sentii i muscoli del collo irrigidirsi mentre cercavo di assimilare quello spettacolo orripilante.
«Hai una macchina, vero?»domandò con fare prepotente l'uomo di poco fa.
«Dobbiamo chiamare un'ambulanza»balbettai io, incapace di spostare gli occhi da quel rivolo di sangue così sporco.
«Fuori discussione, stupido finocchio!»lo sconosciuto sbottò improvvisamente non appena sentì la parola "ambulanza". Non so perché, ma me lo aspettavo.«Sapevo che saresti stato fottutamente inutile. Cosa mi aspettavo da uno con quei fottuti baffi da coglione?!»
«Zef, calmati!»la vocina acuta già sentita in precedenza tuonò e solo allora mi resi conto che una ragazza dall'aspetto tanto bizzarro quanto quello dello sconosciuto stava carezzando gentilmente la testa del ragazzino svenuto.
O morto.
«Non possiamo portarlo all'ospedale.»la ragazza mi guardò supplicante con i suoi occhi giganti.«È in overdose, non ha nemmeno diciotto anni. Prova ad immaginare i casini che dovrà passare!»
Ero combattuto, non sapevo minimamente cosa fare.
Da una parte avrei voluto prendere in mano la situazione e costringere quei due idioti ad essere ragionevoli. Ma, purtroppo, una volontà ferrea non rientrava tra le mie qualità.
Rimasi in silenzio, osservando i polmoni del minorenne in overdose muoversi in maniera quasi impercettibile.
«Ascolta, non ti metteremo nella merda.»sussurrò l'uomo violento, poggiandomi una mano viscida sulla spalla.«Tutto quello che devi fare è portarci al covo. Basta una dose di adrenalina ed il suo cuore ricomincerà a pompare come un figlio di puttana.»
«Prendetelo e seguitemi.»sussurrai alla fine, sentendomi sopraffatto senza una ragione apparente.
Mi voltai, lanciando un'occhiata al tavolo dove sedevo.
I miei amici mi stavano cercando. Vedevo i loro sguardi scrutare verso il bancone, preoccupati.
Cosa dovevo fare? Andare da loro? Avvisarli del fatto che avrei scortato un tossico in overdose nel "covo" di altri due drogati?
Fuori discussione. Non avevo tempo e non volevo che loro sapessero.
Non ancora.
Sentii la voce di Elizabeth interrompersi improvvisamente, nel bel mezzo della sua esibizione.
Ci mancava solo questa, pensai.
Non smetteva mai di cantare. Risse, ubriachi o commenti impertinenti non arrestavano mai la sua voce incantevole che, ormai, caratterizzava le mie serate.
Il non sentire più il suo canto diede un tocco ancora più surreale a quell'assurda situazione.
Mi voltai verso di lei e notai che i suoi occhi color nocciola erano puntati verso il ragazzino collassato. E che aveva paura, tanta paura.
Ormai conoscevo quello sguardo.
Mi domandai se quei due si fossero mai conosciuti e giunsi alla conclusione che il tempo mi avrebbe dato tutte le risposte.
Mi avvicinai allora al ragazzo, scostando gentilmente quello che doveva essere Zef, affinché Elizabeth avesse potuto vedermi.
"Ci penso io" mimai con le labbra, cercando di rassicurarla con lo sguardo "Sta' tranquilla".
Lei sembrò calmarsi, continuando la sua esibizione con fare incerto e lanciando di tanto in tanto qualche sguardo preoccupato verso di noi.
In che situazione mi ero cacciato? Sembrava tutto così maledettamente irreale. Ero convinto che da un momento all'altro tutto sarebbe finito e che mi sarei risvegliato nel mio comodo letto e ci avrei riso sù.
Magari avrei pure dipinto il mio sogno così bizzarro.
E invece mi trovavo veramente seduto sul sedile della mia Mustang bianca, intento a scortare tre drogati -di cui uno in overdose- per le strade di New York.
«Non puoi andare più veloce?!»Zef mi sbraitò nell'orecchio.
«Sto cercando di non dare nell'occhio, cazzo!»
Ero davvero fuori di me. Sentivo che i nervi mi sarebbero saltati da un momento all'altro.
Perché a me? Che cosa voleva il destino da me?
Non capivo. Non riuscivo davvero a capire.
E questi due coglioni non stavano zitti un attimo.
Sentii Sixteen sghignazzare dal sedile posteriore.
«Stai trasportando un ragazzino in overdose e ti preoccupi di non dare nell'occhio?»
Un'altra parola e mi sarei fermato. Li avrei presi a calci in culo e avrei detto che quel fottuto ragazzino sarebbe stato un loro problema.
Ma non potevo farlo per due motivi piuttosto importanti.
Non potevo farlo per Elizabeth, perché era ovvio che conoscesse quel ragazzo e, soprattutto, non potevo farlo a causa dei miei principi etici.
Diciamo che lasciar morire un ragazzino mi avrebbe fatto sentire piuttosto sporco.
«Svolta a sinistra!»
E io, come un idiota, obbedii.
I tossici si gettarono fuori dall'auto ancora prima che si fermasse e trascinarono letteralmente il ragazzo in overdose all'interno di un enorme edificio completamente abbandonato.
Io rimasi da solo, seduto nella mia auto a contemplare il niente.
Affondai la faccia nei palmi delle mani, scacciando via la frustrazione con un grido.
Avevo bisogno di una sigaretta. Di un goccio d'alcol. Di una dose di qualcosa.
Per finire come quello lì, Michael?
No, assolutamente no.
Scossi la testa, scostandomi i capelli madidi di sudore, prima di scendere dall'auto ed entrare in quella disgustosa fabbrica.
Raggiunsi gli altri proprio quando Zef pugnalò il gracile petto del ragazzino con un enorme siringa, iniettando la dose di adrenalina dritta sul suo cuore.
Repressi un conato di vomito, ma fui contento di sentire le urla strazianti del ragazzino che si era svegliato.
Si guardava intorno, confuso e disorientato, per poi rendersi conto della ago conficcato nel petto.
Dio, tutto questo era così disgustoso. Come si poteva finire così? Perché c'ero capitato io in mezzo a quella merda?
Effettivamente stavo scoprendo un lato dell'esistenza che non conoscevo: la dipendenza. L'attrazione morbosa verso un qualcosa di potenzialmente distruttivo.
Era interessante, ma non volevo averci niente a che fare.
Lo sconosciuto si sfilò la siringa dal petto, lanciandola il più lontano possibile.
Stava tremando. Era visibilmente terrorizzato.
Sixteen lo abbracciò stretto, baciandogli le guance più e più volte.
«Sono contento che tu non sia morto, coglione.»fu il commento di Zef.
Sixteen ridacchiò, carezzando gentilmente i capelli di quello che poco fa era quasi morto.
«Adesso ci alziamo e andiamo a dormire.»sussurrò lei col suo fare dolce.«Rimarrai qui stasera.»
«Niente da fare.»
Per la prima volta nella mia vita fui sicuro di quello che stavo facendo.
Mi ero imposto. Non sapevo perché; sentivo solamente un profondo senso di pena nei confronti di quel ragazzino che era evidentemente caduto nell'abisso.
Non potevo aiutarlo, non avevo gli strumenti per farlo, ma volevo solamente che si sentisse un po' meglio.
«Stasera viene con me.»

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