III. Ready or not.

355 15 2
                                    

Jackson se ne stava seduto su quella scomoda sedia da un po' ormai. Leggeva le pagine di quel libro e cercava di attribuirgli un senso compiuto, ma senza risultati. Non riusciva a concentrarsi né sullo svago né sul lavoro. Continuava a tormentarsi con il volto di quella ragazza. Evelyne. Lo aveva letteralmente travolto con la sua riservatezza e con i suoi occhi timorosi.

Lei lo aveva ignorato con una facilità fuori da ogni contesto e da ogni precedente e raro rifiuto che lui aveva subito. Lo aveva sorpreso con la sua freddezza e la sua fretta di scappare. Come se ci fosse qualcosa che la spingesse via.

Aveva cercato di trattenersi il meno possibile in sua presenza, era scappata via appena ne aveva avuto l'occasione. Non sembrava gradire la compagnia altrui, quantomeno la sua. Sembrava godere della sua solitudine e del distacco che riusciva a porre tra lei e le persone che la circondavano.

Quando la mise al riparo da quella tempesta di tuoni e i loro occhi si incrociarono, però, niente sembrava separarli. La minima distanza che c'era tra i loro due corpi racchiudeva ancora la carica elettrica di quel fulmine che l'aveva quasi colpita. Lei aveva fatto cadere tutte le sue imponenti barriere, almeno per un istante. E lo guardò, lo fece davvero. Come nessuno aveva mai fatto.

Jackson aveva desiderato sfiorarla ancora, continuare a parlarle, conoscerla meglio. Non era una cosa che accadeva spesso, provare tutto quel desiderio di conoscere una persona. Ma sin dal primo momento in cui aveva incontrato i suoi occhi aveva ardentemente voluto far parte della sua vita. Come se fosse una volontà del destino e non propriamente sua. Una scelta guidata dal fato.

Quando decise di uscire a prendere aria, non avrebbe mai immaginato di poterla incontrare, tanto meno di invitarla ad unirsi a sé e che lei accettasse quell'istintiva proposta.

Ma ora che camminavano uno accanto all'altro, stentava a capacitarsi che fosse vero. Il fatto che lei avesse accettato lo aveva sorpreso profondamente. Credeva che la loro conoscenza si fosse già consumata durante i precedenti e brevi incontri. Ma proprio ora che quel convegno era giunto alle sue battute finali lei aveva deciso di fidarsi di lui, almeno per quel tratto di strada condiviso.

«Allora, Evelyne McKenzie, cosa ti ha portata ad accettare il mio invito? Mi hai sorpreso, e non poco devo dire.» Jackson sorrise timidamente, poi aggiunse. «Non so se.. posso darti del tu?»

Lei continuava a guardare dinanzi a sé, ma aveva un'espressione tranquilla, pur tenendo calato su di sé quel costante velo di freddezza che la contraddistingueva. Sospirò. «Sì, puoi darmi del tu.»

Accennò un breve sorriso, guardandolo di sfuggita. «A dire il vero non so perché ho accettato. Forse perché sono già stata abbastanza maleducata nei tuoi confronti, e non è questa l'impressione che voglio dare agli altri.»

Aveva accettato anche per questo, ma profondamente sapeva che lo aveva fatto perché quell'uomo la incuriosiva e l'attirava all'inverosimile. E non lo avrebbe mai fatto se non fosse stata certa che lui era a posto. Che non era pericoloso. Evelyne nutriva nei meandri della sua coscienza la speranza d'incontrare qualcuno di cui si potesse fidare, non che non avesse nessuno di cui fidarsi, aveva la sua migliore amica e poi c'era Martha. Ma pensava che se avesse trovato un uomo in cui riporre anche un minimo di fiducia, tutto quell'incubo che la tratteneva bloccata nella sua bolla di sicurezza sarebbe svanito, o almeno si sarebbe allontanato abbastanza da permetterle di vivere più serenamente. Jackson sembrava essere un uomo degno di fiducia, era una figura solida, le trasmetteva un senso di sicurezza. Non giustificata, vista la loro breve conoscenza, ma le sensazioni spesso sono segni inequivocabili che il destino ci invia.

«E qual'è allora l'impressione che vuoi dare agli altri? Qual'è l'impressione che vuoi darmi?» Continuava a sorriderle cauto, mentre analizzava ogni singolo movimento che lei faceva. Riusciva a vedere l'imbarazzo, le riflessioni che attuava prima di formulare una risposta, come se calibrasse bene tutto. Come se pesasse ogni singola parola, per non scomporsi neanche un po'. Per non lasciare che si scoprisse troppo. Sembrava quasi che non si fidasse neanche di sé stessa. Ed allo stesso tempo, Jackson riusciva a scorgerla fremere dal desiderio di svelare qualcosa. Di condividere qualche dettaglio. Avevano tutto da dirsi. Ma era poco quello che lei era disposta a lanciare in ballo.

«A dire il vero non avevo intenzione di darti nessun tipo d'impressione, ma visto che siamo qui... Non sono propriamente quella che hai visto finora, io. O almeno non sono così maleducata.»

Jackson si fermò, si trovavano di fronte ad una vecchia macelleria, la guardò , incrociò le braccia al petto e sorrise. «Allora dimmi chi sei.»

Lei alzò di scatto gli occhi verso lui, venendo colpita da più emozioni di quante se ne aspettasse. Lo scrutò attentamente, quegli occhi così chiari e freddi non si muovevano di un millimetro. Lui non batteva ciglio, la fissava insistentemente. Se non fosse stato lui, se non gli avesse permesso lei di avvicinarsi, ne avrebbe avuto un'immensa paura. Ma forse neppure in quel caso. Quegli occhi erano troppo accoglienti e rassicuranti per averne timore. «Sbaglio o tu sei una di quelle tipiche persone che riescono ad insinuarsi sottopelle? Nelle vene, nel sangue.» Quelle parole le uscirono di bocca così velocemente che non fece in tempo a fermarle. Lui rise brevemente, piegandosi un po'. Poi tornò a guardarla intensamente. «Se è un complimento ti ringrazio. Ma stavamo per parlare di te, Evelyne.» Era un uomo estremamente perspicace e scaltro, riusciva a capire quando qualcuno stava deviando il discorso e cercava, e di solito ci riusciva, di tornare all'argomento evitato. Ma quella volta sembrò un po' più complicato, del resto quella non era una donna qualunque e non aveva di certo una storia qualunque alle spalle. «La mia domanda aveva una certa priorità e credimi se ti dico che non faccio spesso domande del genere. Io coglierei l'occasione e formulerei una risposta soddisfacente. Chi sono io ha poca importanza.» Lui sospirò rumorosamente. Il leggero venticello faceva svolazzare via qualche ciuffo dei capelli di Evelyne che erano sfuggiti all'intreccio della sciarpa. « Perché pensi che abbia poca importanza? Comunque penso che l'insinuarsi di una persona all'interno di un'altra sia qualcosa che cambia di caso in caso, io potrei insinuarmi in te e non in qualcun altro. Dunque non posso risponderti.»

Lei arrossì leggermente e sorrise sotto i baffi, cercava di coprirsi sotto la sciarpa ma non ci riusciva. «Capisco. Riprendiamo a camminare?»

Proseguirono per un po' in silenzio, Jackson le stava vicino, le loro braccia si sfioravano. Quel piccolo borgo era quasi deserto, le luci giallastre che filtravano da dietro le finestre mostravano scene di vita quotidiana, una donna che apparecchiava la tavola, dei bambini che giocavano, un uomo seduto di fronte alla TV, tutto appariva così normale e tranquillo. Per le strada passava poca gente, spesso sfrecciavano i fattorini intenti a consegnare le pizze che qualcuno stava aspettando, un uomo portava a spasso un cane di taglia media, aveva il viso annoiato e stanco. Con tutte quelle finestre e quei lampioni dalla luce soffusa quel viale sembrava essere incantato, quasi intrappolato in un'altra dimensione, dove regnava la pace e l'armonia. Improvvisamente Jackson parlò. «Sono nato a Manchester, il 4 Aprile 1984. I miei vivono ancora lì, ho una sorella più piccola, ha 21 anni e si chiama Mila. Se sono qua non è per il mio lavoro, ho dovuto sostituire un amico che ha avuto un impegno improvviso. Ho dovuto registrargli tutto. Io faccio un lavoro diverso. Il mio nome completo, come già sai, è Jackson, ma gli amici mi chiamano Jake o raramente Jack. Io preferisco Jake. Ho anche un secondo nome, Miles, in onore di mio nonno. Il mio colore preferito è il blu notte, non ho animali domestici, ma vorrei un gatto. Ho una casa tutta mia, a Liverpool, ma non ci sto spesso per motivi di lavoro. Faccio il fotoreporter.»

Eve lo guardò attentamente dopo quel monologo e sorrise senza trattenersi minimamente. «Grazie.» Aveva le guance arrossate dall'emozione. Quel piccolo monologo descrittivo l'aveva toccata fino in fondo, non era una semplice presentazione, era una domanda, una richiesta. Lui voleva farle sapere che lei poteva fidarsi, che lui era disposto ad ascoltarla, avrebbe parlato lui, si sarebbe svelato lui per lei.

«Puoi stare tranquilla. Non ho alcun segreto.» Senza alcun preavviso le si avvicinò di qualche passo e le porse la mano, con gesti lenti e moderati. Lei lo guardò, e sentiva piano piano la sua presa sul suo autocontrollo perdere vigore. Più lo guardava più non riusciva a ragionare chiaramente. I suoi occhi erano ormai liquidi mentre riflettevano quelli di lei, le sorrideva, attraente e serio. Evelyne non sentiva più le gambe, senza pensare posò la mano sulla sua e sorrise. Bastò solo lo sfiorarsi a far accendere di desiderio quella ragazza da sempre così costretta nel suo involucro. Annullò la distanza tra i loro volti, si sollevò sulle punte e lo baciò.

Per la seconda volta nell'arco di poco più di un'ora Evelyne McKenzie si sorprese terribilmente di sé stessa. L'adrenalina, l'eccitazione e quell'uomo non le consentivano il pieno controllo di sé.

A questo pensiero non poté far altro che sentirsi soddisfatta e spaventata allo stesso tempo.

Hai finito le parti pubblicate.

⏰ Ultimo aggiornamento: Apr 23, 2014 ⏰

Aggiungi questa storia alla tua Biblioteca per ricevere una notifica quando verrà pubblicata la prossima parte!

In your eyes.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora