Capitolo II - Movimento

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Ero perfettamente convinta che dietro i crimini a Tironia ci fosse un folle, magari una persona dal senso dell'umorismo alquanto perverso, ma di certo non il fantasma del compianto vicesindaco Doletti che cercava vendetta per le numerose offese che aveva subìto nel corso della sua carriera.

Mi dispiaceva vedere in prima pagina delle storie di fantascienza ben imbastite, ma non potevo migliorare la situazione: seguivo semplicemente gli ordini che mi erano stati impartiti.
L'unico scopo di un giornalista, secondo Daniele, il direttore dell'Eco del giorno, era scrivere ciò che i lettori desideravano, per aumentare le vendite.

Non condividevo affatto il suo punto di vista.

Nonostante i vari alti e bassi amavo essere una giornalista, anche quando tornavo a casa sfinita dopo un'intera giornata trascorsa in piedi alla ricerca di informazioni per un articolo da prima pagina.
Era un lavoro movimentato, l'unica variabile in una vita di routine.

Non avrei mai creduto di poter rimpiangere un'esistenza così piatta.

Era inverno, ricordo solo questo. Tornavo da una cena al municipio ed ero molto soddisfatta per via di una succulenta intervista concessami dal professor Agati, il nuovo dirigente della scuola elementare di Tironia. Avevo addirittura rifiutato il passaggio che mi aveva offerto Luisa, la fotografa più abile di tutto lo staff del giornale, nonché mia grande amica, per evitare di farla rincasare all'alba.

Camminavo delineando nella mia mente il nuovo articolo. Innanzitutto, cercai di imprimere nella mia mente che il titolo dovesse essere conciso e intrigante: solo in questo modo avrei potuto suscitare un certo interesse nei miei lettori e, senza dubbio, mi era molto di aiuto sapere che sarei stata l'unica a riportare quell'intervista; Agati aveva parlato solo con me, ne ero sicura.

Persa com'ero nei miei ambiziosi progetti, non ebbi subito la sensazione che stesse accadendo qualcosa di strano.

Giunta finalmente davanti al cancello che chiudeva il minuscolo giardino intorno alla villetta dove abitavo, cominciai a frugare nella borsa alla ricerca delle chiavi perchè sapevo che Ugo, il mio fidanzato, non era in casa.

Odiavo i suoi turni di notte più di quanto li odiasse lui.

Un rumore destò la mia attenzione, ma non mi allarmai: non era raro che dei pipistrelli si rifugiassero tra le siepi. Improvvisamente, mi parve di sentire dei bisbigli concitati e sembrò che qualcuno fosse in casa. Impossibile, pensai, la serratura è sana e le finestre sprangate.
Sentivo l'adrenalina bruciare nelle vene, ma tentai di rimanere vigile. Nessuno avrebbe potuto introdursi in casa mia senza lasciare segni del proprio passaggio. Cominciai ad indietreggiare, mentre una paura irrazionale si impossessava di me, ma non mi allontanai più di tanto: con un movimento felino, alle mie spalle, una mano si avvinghiò al mio polso, stringendo come una tenaglia. Mi fermai con un sussulto e mi voltai, lentamente, senza quasi respirare.

Non potevo credere a ciò che stavo vedendo.

A casa da solaWhere stories live. Discover now