Aria. Le serve aria. Muoversi, ragionare, ossigenare il cervello. Respirare.
Le grandi città servono a questo, no? Quando hai quindici anni e sogni Londra, sogni le strade immense, gli spettacoli nel West End, le villette a schiera in periferia e un caffè espresso a portar via, prima di andare a lavoro al British Museum. Hai quindici anni, continua a sognare.
Adesso i quindici anni li ha passati da un pezzo e a Londra può solo correre da una parte all'altra sperando che qualcuno le dia retta. Anche se le villette a schiera sono ancora in periferia.
Aria, le serve aria. E un po' di spazio. Una finestra un po' più grande, per poter perlomeno guardare dall'altro lato della strada, le serve una poltrona e una coperta, azzurra e un po' logora, ma che sia sua. Le coperte sterili e anonime degli ostelli non riscaldano mai bene.
Qualche giorno, si era detta, qualche giorno in ostello si può fare. Il lavoro sarebbe arrivato. L'appartamento anche.
Una settimana, due, tre – invece – è già troppo.
Ha bisogno di aria. Non ci sono orari nei letti d'ostello: solo luci accese e poi spente di fretta, gente che entra, gente che esce, ubriachi in strada che urlano le loro confessioni a chi è disposto ad accoglierle e ragazzi un po' imbranati che, alle quattro del mattino, inciampano, fanno sbattere strumenti a corda contro il muro, si arrampicano su per il letto a castello e fanno tremare tutto.
Respirare è impossibile. Non ce n'è aria, in un letto d'ostello.
*
La gente non passeggia, non si ferma, non chiacchiera, non ascolta. Corre. Manca il tempo – manca lo spazio – per un incontro, per un sorriso, per uno scambio di battute. Manca la pazienza per ascoltare le corde della chitarra al lato della strada, che suona, suona sempre: al mattino tra le divise dei bambini che volano via verso la scuola, o al crepuscolo tra i passi svelti di chi ritorna a casa, attraverso il sibilo del vento. Nessuno ascolta, nessuno si ferma, nessuno pensa: non c'è più pace per la musica. Ma la chitarra suona, suona sempre.
Le dita si muovono con maestria e concentrazione, pizzicano le corde e accarezzano la cassa di risonanza a ricreare uno strano gioco di voci, un botta-e-risposta continuo, che cerca di coprire il brusio della gente. Suona, suona sempre. Anche al freddo, anche al gelo. La voce accompagna pigramente i movimenti, racconta di guerre antiche, viole sbocciate e fanciulli nel verde. Il ragazzo suona e canta, con la voce scura da basso, e lascia scivolare i riccioli rossi sulla fronte. Altre viole sbocceranno, canta sorridendo: sembra quasi crederci davvero. Anche se nessuno ascolta.
Tutte le sere se ne sta lì, nel suo angolo, a Tottenham Court Road – dove tutti passano e nessuno ascolta. Talvolta, quando lo incontra, sera dopo sera, dopo una delle sue lunghe giornate alla ricerca di una sistemazione che non arriva, si ritrova a scuotere la testa stanca. Avrebbe voglia di ridere della sua testarda convinzione, ma lui sembra crederci sul serio e le dispiacerebbe rovinargli l'intenzione.
Tin. Risuonano le monetine nella custodia. Le lascia cadere con tranquillità, dopo un breve cenno col capo. Diamogli qualcosa in cui credere.
*
"Perché non ti fermi mai?" le chiede lui, infine, una mattina. L'aria è grigia e stanca, non promette nulla se non pioggia dietro le finestre del Riverbank Hostel.
Dani ha i capelli ancora bagnati, il pigiama a pallini viola sotto il braccio, nascosto sotto il beauty-case, e un asciugamano intorno al collo, a causa della doccia gelida appena fatta. Le docce sono sempre gelide, o bollenti, quando hai fretta al mattino e nel corridoio che conduce ai bagni la calca è così tanta da toglierti il respiro. Nei corridoi degli ostelli, le docce sono fredde, le giornate si prospettano lunghe e grigie e i musicisti imbranati la fermano in mezzo alle scale.
Shawe – è così che lo chiama il signor Smith, giù al pub, la sera quando gli porta la sua birra ghiacciata – la blocca nel bel mezzo della terza rampa di scale, con un'occhiata curiosa e parole che sanno d'accusa. Porta la sua fedele chitarra nella tracolla e un giaccone sul braccio. Alza leggermente le sopracciglia, sorride. Ha un sorriso bianco bianco, ma un canino un po' più piccolo dell'altro. È carino.
"Perché non ti fermi mai?" chiede. "Ti vedo passare tutte le sere e vedo anche gli spiccioli che lasci – grazie, comunque – ma non dici una parola. Qualche volta po-, potresti fermarti."
Perché non si ferma mai? Perché a Londra il cielo è sempre scuro e lontano, la gente corre sempre e nessuno ascolta la musica. E lei ha i capelli bagnati.
"Non mi piace la tua musica," gli dice, incurante dell'apparente crudeltà del commento, senza pensarci troppo. Non è una bugia. Ma non è neanche una verità.
YOU ARE READING
Riverbank
Short StoryDani corre tutte le mattine tra le strade di Londra alla ricerca di un lavoro per fuggire finalmente via dall'opprimente ostello in cui si ritrova a vivere. Corre, come tutti gli altri, gira, come il resto del mondo. Non ha mai tempo, né voglia di f...