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Ero in ritardo. Quella mattina, per la prima volta in vita mia, ero in ritardo. Per una persona abitudinaria come me, che difficilmente esce dal proprio ordinario personale, quell'evento rappresentava il presagio di una pessima giornata. Non avevo giustificazioni, l'unica colpevole ero io.

Dopo la serata al bowling, avevo trascorso il resto del weekend in isolamento, in camera mia, in una tomba fatta di libri e serie tv. L'avevo definita "sindrome premestruale". La verità era che non avevo voglia di vedere nessuno. Come mio solito, avevo portato a termine i miei compiti e, ascoltando un po' di musica successivamente, mi era capitato di soffermarmi sulle parole di Aiden della sera precedente. Inutile dire che mi ero maledetta mentalmente; la cosa mi aveva turbata più del dovuto, ragion per cui, dopo un'attenta riflessione razionale, avevo appurato che fosse riconducibile ad uno scombussolamento degli ormoni. Aiden era un bel ragazzo, avrei mentito se avessi anche solo pensato che esteticamente mi era indifferente. Ma questa è una cosa che non avrei mai ammesso con nessuno. Già mi immaginavo Isabel o Charlie farmi quelle facce da fanatiche irrimediabilmente irritanti. Il solo pensiero mi faceva rabbrividire.

Cercai di darmi una mossa, facendo una doccia super sonica e mangiando un toast con la marmellata nel tragitto casa-scuola: mio padre non sembrava contento né del ritardo, né del fatto che, in questo modo, avrei lasciato delle briciole nella sua preziosa auto. A volte sembrava fosse il protagonista di uno di quei film noir, scappato dal film stesso per vivere nella vita reale; gli mancavano solo le pistole e qualche caso intrigato a fare da sfondo alla sua vita. Mia madre una volta lo aveva paragonato ad un brownie. "Apparentemente sembra secco, ma all'interno nasconde un cuore di cioccolato fuso". La mia famiglia sapeva essere piuttosto stravagante.

Papà arrivò un minuto esatto prima del suono della campanella. Ci bloccò mentre aprivamo le portiere.
«Ragazze, oggi non c'è nessuno di noi che potrebbe passare a prendervi. Avete abbastanza soldi con voi eventualmente doveste prendere l'autobus?»
«No, io no, Lex.» Fu il mio vano tentativo di far sganciare qualche bigliettone da mio padre. I soldi erano una delle mie cose preferite. Non che fossi un'avida o cose simili, semplicemente pensavo solo che ti mettessero in una posizione importante. Sono un "simbolo" di potere. Un giorno mi sarebbe piaciuto essere una persona rinomata, una persona che ha lasciato qualcosa di buono.
«Ci hai provato, Lexi. Lo so che torni a piedi con quella sottospecie di polipo.» Risi, mentre si corrucciava borbottando altre cose su Mason.
«Buona giornata, papà.» Disse Issbel. Entrambe, poi, ci apprestammo ad entrare a scuola.

La giornata fu di una lentezza e pesantezza mai viste. Chimica, biologia e storia non erano materie facili da digerire, se messe in questo preciso ordine. L'isolamento del weekend unito al fatto che quel giorno non avessi avuto modo di scambiare una parola con nessuno dei miei compagni, mi avevano fatta venire voglia di trovare una faccia amica e intrattenere disperatamente una conversazione. La tanto attesa ricreazione arrivò e con essa, come se avessimo una sorta di telepatia, comparve Charlie accanto al mio armadietto. Era di una semplicità unica. Di lei mi piaceva tanto la sua naturale genuinità, con i suoi capelli peldivolpe sciolti sulle spalle, dei blue jeans e un maglioncino con scollo a barca lilla.
«Ehi Lexi!» Mi accolse gioiosa.
«Ehi. Come va?» La mia voce non uscì sprintosa come desideravo, ma il mio sorriso amichevole era già un grandissimo passo avanti. Mia sorella si lamentava spesso della bipolarità delle mie uniche espressioni facciali: impassibile o incazzata.
«Va tutto bene. Mi spiace non essermi fatta sentire dopo il bowling, ma ho avuto impegni con la mia famiglia e quindi...» La fermai prima ancora che terminasse la frase.
«Stai tranquilla. Nemmeno io sono stata "attiva". Ho fatto una scorpacciata di serie tv e tra queste ne ho trovata una divertentissima e che mi ha fatto venire voglia di fumare marijuana. Si chiama Disjointed.» Charlie rise e scosse la testa.
«Sei proprio fuori dal comune!»
«Oh, cara, ti ringrazio. A parte ciò. a proposito di bowling... Come ti è sembrato il tipo? Che dici, potrebbe interessarti?» Intavolare un discorso "da ragazze" mi sembrava un buon modo per entrare più in confidenza con Charlotte e rafforzare la fiducia reciproca. Intanto, avevamo preso anche a passeggiare per il corridoio; le classi che dovevamo raggiungere erano vicine tra loro.
«Beh, per essere il primo umano di sesso maschile con cui abbia chiacchierato seriamente, non è male. Non credo possa interessarmi, però.» Disse mentre arrossiva. «Sono una ragazza vecchio stampo, di quelle che cercano le farfalle nello stomaco, le scintille e quelle cose lì.» Da una ragazza dolce come lei me lo aspettavo. Il suono della campanella ci interruppe. Ci salutammo e ci accordammo per pranzare insieme.

L'ora di matematica fu piuttosto piacevole. Quella di letteratura un po' meno. La trascorsi a messaggiare con Mason, prendendo appuntamento anche con lui per pranzare tutti insieme. Non so esattamente come, né quando, ma ad un certo punto della sua lezione, la voce della signorina Colfer fu così soporifera da farmi addormentare con la faccia sul quaderno.  E fu quel suo "Hale!" urlato con forza e rimprovero a ridestarmi.
«Alexis Hale.» Disse dura. «Se la lezione non è di suo gradimento, sarebbe potuta rimanere a casa. Avrebbe risparmiato una noia a lei e una noi, a sentire il suo palese russare. Esca fuori e rifletta sull'essere rispettosa la prossima volta.» Qualche lecchino rise per la battuta dell'insegnante. Io incassai il colpo in totale mutismo e, con sguardo duro, uscii fuori. Che palle. I miei presentimenti sulla negatività che mi circondava quel giorno iniziavano a manifestarsi.
La mia passeggiata "riflessiva" mi portò in un luogo della scuola non ancora esplorato dalla sottoscritta: la biblioteca. Lo avevo visto milioni di volte nei film, nei telefilm, nei cartoni... Almeno una volta nella loro vita - o per meglio dire scena - personaggi creati dalla fantasia di un genio qualunque, si ritrovano in questa stanza colma di alberi assassinati. Libri. La conoscenza di qualunque cosa è tutta qui, su carta. Nero su bianco.
Mi recai nella sezione in cui c'erano libri che trattavano della biologia. La settimana successiva avrei avuto un compito, così ne approfittai per capirne qualcosa di più. Ce ne erano di tutti i tipi, alcuni di essi presi a caso e sfogliati, rivelavano essere scritti in maniera piuttosto complessa. Richiedevano molta concentrazione, così decisi di cercarne uno che fosse più semplice da comprendere. Così come leggevo i titoli, così il mio dito sfiorava ogni libro lungo gli scaffali. Sobbalzai, quando sentii qualcosa sfiorarmi la mano. Era la mano di una seconda persona.
«Cazzo! Porca troia! Ma sei scemo?!» Urlai una volta appurato fosse Aiden.
«Dovresti dire meno parolacce, sai? Non sta bene che una ragazza dica certe cose. E poi non si urla in biblioteca.» Mi fece notare il biondo, parlando a bassa voce.
«Oggi non è giornata... Per favore.» Gli dissi supplichevole. Non avevo voglia di battibeccare.
«E basta pensare sempre che abbia cattive intenzioni. Va bene, ho capito, sei permalosa e non ti piace che gli altri scherzino con te. Smetterò di sfotterti e mi limiterò semplicemente al salutarti. Detto ciò... Ciao, Alexis.» Mi sorrise, mentre io gli rivolsi lo sguardo più truce che sapessi fare. Prese un paio di libri dalla sezione biologia, poi si girò verso di me e me ne porse uno. «Se ti serve qualcosa di più conciso, questo è perfetto.» Il sorriso che mi rivolse stavolta fu, per una frazione di secondo, disarmante.
«Grazie.» Mi stavo strozzando con quell'unica parola. «Sembra che tu ne capisca davvero.»
«Sì, diciamo che devo capirne per ciò che vorrei fare un giorno.»
«Ah, sì? E io che pensavo volessi fare il comico.» Gli dissi divertita.
«Sei simpatica. Io pensavo che tu volessi fare la spogliarellista. Sai, quello dell'altra volta è stato un bello spettacolo. Volevo giusto chiederti a quando il prossimo.»
«Tutti i giorni, più o meno verso le sei del pomeriggio. È l'ora di quando esco dalla doccia.» Gli feci l'occhiolino.
«Non mancherò allora.»
«Maniaco.» E per qualche motivo, non riuscivo a nascondere il sorrisetto che mi era spuntato mentre io e il mio vicino ci pizzicavamo come due granchi. Mentre Aiden si allontanava, sentivo come un eco le parole di Charlie.

«...farfalle nello stomaco, scintille...»

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