Capitolo 7 prima parte

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Ho sempre pensato che l'ottimismo fosse uno dei miei pregi. Credo che abbia sempre fatto parte di me: non riesco a ricordare un momento in cui mi sia mancato. Questo n9n significa che lo perdo di vista nei momenti particolarmente difficili. Fidatevi, gli anni passati mi hanno messo a dura prova, soprattutto i fatti accaduti subito prima del mio arrivo a New York. Ma nonostante tutto sopravvive, talvolta oscurato dalle preoccupazioni, altre splendente sotto gli occhi di tutti: una costante in un modo in costante mutamento. Mia madre dice di aver sempre fatto affidamento su questa mia qualità. A pensarci bene, anche James - nonostante l'egocentrismo - lo diceva sesso. La capacità di vedere il lato positivo si è sempre dimostrata la mia salvezza.
"Se non perdi la speranza, stai meglio di un milionario", diceva il signor Kowalski, "perché puoi dispensarla ogni giorni senza che si esaurisca mai. Tu, Rosie, hai una bella riserva di speranza. Donane un po' alle persone che incontri quando ne sono prive".
Il signor K. era un uomo di parola. E per una persona che aveva dovuto affrontare povertà, pregiudizi e stenti non era un'impresa da poco. Ripeteva cje Dio - "il mio Papà nel cieli" - era l'unico ad averlo aiutato. Il signor K. non era religioso come vi sareste aspettati da un uomo della sua generazione. Aveva fede in sé stesso. Per usare un'espressione abusata, faceva quello che diceva.
"Rosie, il Papà è l'unico amico che non mi ha mai giudicato, deluso i picchiato. Fine della storia. Non importa cosa faccia, quali errori commetta, lui mi ama comunque. Ecco l'unica ricchezza di cui ho bisogno, ukochana, e non costa niente". In un certo senso, la vita mi sembrava più calma, addirittura più luminosa. Quando c'era il signor K. Proprio prima di partire per Polonia, mi consegnò una piccola targa di vetro. Vi erano incise le parole: "Niente è impossibile con l'aiuto di Dio". Gliela aveva data qualcuno quando era molto giovane, spiegò, e l'aveva aiutato a ricordare che non era solo. "Prendila, Rosie", aveva detto. "Lascia che lo ricordo qnche a te. Il Papà ci guarda".
Oggi è appesa dietro il bancone in bella vista, e ogni volta che la vedo mi pare che ritorni un pizzico della calma che il signor K. era solito trasmettere.
Quel lunedì mi cadde l'occhio sulla targa mentre stavo riempiendo i secchi di alluminio davanti al negozio con ortensie color lavanda e fresie dal profumo dolce. In netto contrasto con il sabato precedentre, il negozio era piacevolmente silenzioso, ma era ancora presto, erano solo le nove di mattina. Ripensando al signor Kowalski, feci un sorriso mesto. Rocordarlo è semlre un'esperienza dolce e amara al tempo stesso. Ancora non riesco a credere che non ci sia più. Mi sembra che possa chiamare da un momento all'altro, o che il volto rugoso e amichevole possa fare capolino dalla porta. In un certo senso il mondo sembra più vuoto senza di lui.
Persa nei miei pensieri, non notai la limousine metalizzata che accostò fuori. Fu solo quando la porta d'ingresso si spalancò con una tale forza che per poco il campanello non si staccò, che vidi un uomo alto, lampadato e fasciato da un completo di Versace entrare a grandi falcate. Cercando di mantenere il passo, lo seguivano due assistenti, entrambe vestite in modo impeccabile, con un taccuino in mano e attente a ogni sua minima mossa. Era una oresenza impotente che in uncerto senso sembrava riempire l'intero negozio ed esigere la completa attenzione di chiunque.
"Rosie Duncan?". Sebbene fosse una domanda, suonò più cone un'affermazione colma di disprezzo.
"Signor Devereau. Benvenuto  nel mio negozio. Come sta?", chiesi, con cuore che batteva all'impazzata. Durante il fine settimana ero riuscita a non pensarci più e avevo quasi dimenticato il fatto che da Kowalski's avessimo riempito il quaderno degli ordini nel giro di una giornata.
"La smetta con le smancerie", sbottò Philippe. "Sa perché sono qui".
"Per ammirare le nostre creazioni?", suggerì Ed, apparendo all'improvviso dal laboratorio e fermandosi  al mio fianco con fare protettivo.
Philippe lo guardò in cagnesco. "Non mi prenda in giro, signor Steinmann. Voglio saperecosa diavolo pensate di fare, voi esseri...", si interuppe per cercare furiosamente la parola giusta, "... minuscoli e insignificanti".
"Noi vendiamo fiori, Philippe. Cosa ci fa lei qui, piuttosto?", domandai con calma. Invece di distendere l'atmosfera, parve che avessi gettato benzina sul fuoco.
"Come osate? Come osate anche solo fingere di saperne più di me? Perché si tratta di finzione, signora Duncan, di pura finzione. Non potete aspirare neppure a una briciola della mia esperienza e del mio talento...".
Lo interruppi, a sangue freddo. "A quanto pare i suoi clienti  non sono della stessa idea, signor Devereau". Accendi la miccia. Allontanati...
Bum! Philippe partì per la stratosfera come un sontuoso razzo biondo platino. "Così sembrerebbe. Bene, non so cosa abbiate inventato per persuaderli ad abbandonare la mia azienda - nel modo più subdolo e meno professionale possibile, aggiungerei - ma stia certa, signora Duncan, presto torneranno. Molto presto. Sietr solo una fase, una moda passeggera. Non sietein grando di soddisfare le richieste dei miei clienti. Sono l'unico capace di farlo. Esaudisco desideri che non riuscite neppure a immaginare".
'Oh, certo che ci riesco', pensai. Ero al corrente delle voci che giravano. Ma non lo dissi. La rabbia di Philippe era troppo divertente.
"La mia boutique è una reggia in confronto  a questo... tugurio", inveì. "Dei tradizionalisti privi di qualsiasi talento come voi possono solo sognare di possedere un'azienda come la mia!".
Avevo osato avventurarmi nei sacri recessi della Devereau Design solo una volta: quello che vidi mi rese felice di avere un negozio come Kowalski's. Lungi dall'essere un'accogliente oasi di forme, di colori e di profumi, il negozio di Philippe era poco più di una sala espositiva: non c'erano fiori disponibili da acquistare sul momento e un enorne buttafuori alla porta pareva avere l'unico compito di dissuadere i curiosi dall'oltrepassare la sacra soglia. Le pareti, i soffitti, gli espositori e persino le porte erano totalmente bianchi; il bancone, con il ripiano di granito nero, assomigliava più alla reception di un albergo che a una zona da utilizzare per servire i clienti; i fiori erano costretti in pose rigide e innaturali, dentro vasi bianchi identici iluminati da inquietanti faretti verdi, blu e magenta, immobili e artificiosi cime agghiaccianti opere di una qualche bizzarra mostra futuristica. Pochi commessi sfilavano  qua e là in austeri completi neri, tutti con la stessa espressione disinteressata  e dotati di cuffie, microfono e cartellina nera. Sembrava che i fiori nei vasi bianchi e spogli fossero prigionieri esposti al pubblico. Cosa ancora peggiore, il luogo era privodi odori: era come entrare da Starbucks senza sentire il profumo del caffè. Era tutto sbagliato. Rabbrividisco ancora solo a pensarci: la mancanza di vita in quel posto era quasi sinistra, l'esatto contrario di ciò che un fioraio dovrebbe essere.
"Spero vivamente che Kowalski's non assomigli mai alla sua boutique", risposi. "Crediamo che i fiori debbano essere loro stessi... una necessità  che lei e i suoi colleghi non capirete mai".
"Kowalski's non è niente, e il vodtro discutibile talento è così limitato che temo che la vostra azienda avrà presto un crollo. A cui tra l'altro spero di assistere".
"La minacci di nuovo e la butterò fuori  con le mie mani", ringhiò Ed. Ormai era a qualche centimentro dalla faccia di Philippe. Lo presi per il braccio e con dolcezza lo riportai al mio fianco, dove rimase a guardare con occhi furiosi l'ospite indesiderato. 
"Per la cronaca, signor Devereau", dissi, mentre la rabbia  trapelava dalla mia voce ferma e fredda, "non le ho rubato i clienti. Il consiglio di provare Kowalski's è arrivato proprio da uno di loro, Mimi Sutton. La conosce, non è vero? Se hanno scelto di lasciarvi, è una loro decisione e io non c'entro niente. Non avete il monipolio sui fiori in questa città, signor Devereau, e neppure io".
"Potrebbe essere vero, signora Duncan, ma non ho intenzione di tollerare i vostri patetici tentativi di sottrarmi  una considerevole fetta di clientela. Mi fate pena, non solo per l'idea parecchio gonfiate che avete del vostro valore, ma anche per le vostre abominevoli creazioni. Ho intenzione  di gettare la vostra azienda nel fango...".
Ed balzò in avanti e spalancò completamente la porta. "Ok, amico, ha detto abbastanza. Fuori!".
"Ma io...".
Mi spostai al fianco di Ed. "Vorremmo che se ne andasse. Immediatamente, per favore".
Philippe aprì la bocca,  ma non ne uscì niente. Gli occhi color zaffiro brilarono, il volto divenne paonazzo e l'uomo emise un grido esasperato. Girò i tacchi r se ne andò con passo bervo, con le due assistenti che gli trotterellavano dietro. La porta sbatté e il negozio piombò di nuovo nel silenzio. Ed e io ci scambiammo uno sguardo.
"Contento come una pasqua, eh?", dissi con una smorfia.
"Mmm", confermò lui pensieroso. "Ho paura che Kowalski's si sia fatto un nemico molto pericoloso".
"Buongiorno!", esordì Marnie, fermandosi di colpo sulla soglia quando vide le nostre facce preoccupate. "Che c'è? Cos'è successo?"
"È appena passato Philippe Devereau per augurarci buona fortuna", rispose Ed con un sorriso disinvolto.
Il volto di Marnie si illuminò. "Philippe? È così affascinante. Cosa voleva?".
Ed raccolse una pila di ordini e si avviò verso il laboratorio. "Oh, sai, passava da queste parti  e ha pensato bene di venire a salutarci". Si voltò verso la porta sorrise sgranando gli occhi. "Ah, sì, ha anche accennato al fatto che farà di tutto per scavarci la fossa". Sparì nella stanza sul retro.
Il sorriso scomparve dal viso di Marnie, la quale corse da me per abbracciarmi, con i boccoli blu che ballonzolavamo. "Oh, Rosie, è terribile", guaì. "Come facciamo adesso?".
Non ne avevo idea. Ma conclusi che non era il momento di vedere tutto nero.
"Va tutto alla perfezione ", dissi, sperando che il mio tono risultasse sincero e ottimista.  "Andrà tutto bene. Cos'ha Philippe da offrire più di noi?".
Marnie sembrava sconfortata. "È stato artista floreale dell'anno per tutta l'ultima decade. Ha un giro di affari di milioni di dollari. Ricerca in tutto il mondo i migliori designer e li assume. Oh, e ha l'assortimento di piante tropicali ed esotiche più grande...".
La interruppi. Da come lo dipingeva, Philippe pareva invincibile. "Sì, lo so, va bene, ma non passa neppure un minuto con i clienti. Né fa spedizioni gratuite. Né...". Facevo già fatica. "... né..."
"Offre loro il caffè?", suggerì Marnie, con un tono meno speranzoso di quanto avrebbe voluto. Schiocchai le dita. "Né offre loro il caffè. Esatto! Invece noi sì. Noi abbiamo", continuai, avvicinandomi all'amata macchinetta delle caffè e dandole una pacca sul coperchio rotto, "un enorme punto a nostro favore".
"La Vecchia Fidata?", chiese la mia assistente, ancora poco convinta. "La nostra macchina del caffè è la nostra arma segreta?"
"Assolutamente. Philippe Devereau sarà anche capace di selezionare gli artisti migliori del mondo per la sua azienda, ma non sarà in grado di preparare una tazza di caffè decente ai propri clienti, giusto?".
Ed fece capolino dalla porta del laboratorio. "Forse dovremmo dare un aumento alla Vecchia Fidata", suggerì, "o promuoverla amministratoredelegato".
Feci un sorriso fiducioso. "Quindi, se siamo positivi e ci assicuriamo che Philippe non provi a ingaggiare la nostra macchinetta del caffè, Kowalski's sopravvivrà anche a questo!".
Ed e Marnie  si sforzarono di fare un audace grido di incitamento, ma era evidente che fossero preoccupati.

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