PROLOGO

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ANNA 

Sono in ritardo ed è il primo giorno di lezione. Mi piacerebbe poter dare la colpa a qualcosa, tipo dei problemi all'auto o che non sono riuscita a trovare la strada per l'aula, oppure che sono stata attaccata da uno sciame di api mentre attraversavo il cortile interno. Qualsiasi cosa. Ma guido uno scooter. Sono all'ultimo anno, quindi so perfettamente dove sto andando. E le api sono rimaste sui fiori.

La verità è che mi sono fermata a trangugiare una Diet Coke e un pacchetto di anacardi prima di andare in classe. Perché ero affamata e certe cose non possono aspettare. In ogni caso, odio essere in ritardo. Stabilisce un cattivo precedente.

Dolorosamente consapevole dello sguardo della mia professoressa, mi rimprovero da sola mentre mi precipito lungo uno dei corridoi tra le file di banchi. Scivolo in un posto in fondo proprio mentre un ragazzo si fionda per il corridoio con la mia stessa andatura frettolosa e si siede nel posto accanto al mio. A testa bassa, tiro fuori il mio bloc-notes e provo a sembrare organizzata e pronta per la lezione. Non credo di imbrogliare la professoressa ma lei non mi dice niente, mentre comincia a fare l'appello introduttivo.

Il mio turno arriva presto. Sto dicendo il mio nome e il mio anno quando, alla mia destra, sento un respiro brusco.

Quel suono sbigottito mi fa voltare.

È allora che lo vedo.

Nell'istante in cui i nostri sguardi si incontrano, un fremito bollente mi attraversa mozzandomi il respiro e indurendomi i capezzoli. La sensazione è così inquietante che posso solo starmene seduta lì, a farmi aria con la mano al petto, da dove il mio cuore sta cercando di fuggire.

Incomprensibilmente, il ragazzo mi restituisce lo sguardo a bocca aperta, come se anche lui sentisse quella strana energia. Devo sbagliarmi, nessun ragazzo mi ha mai fissata a bocca aperta.

Probabilmente sono io che lo sto squadrando.

Solo che anche lui mi fissa e non distoglie lo sguardo.

E cosa ancor più strana, mi sembra di conoscerlo, di conoscerlo da anni. Il che è ridicolo. Anche se ha un aspetto curiosamente familiare, mi ricorderei se l'avessi incontrato in precedenza. È difficile dimenticare un ragazzo così bello.

Non so perché sento questa connessione, ma non mi piace. Né mi piace che una piccola parte dentro di me stia dando un urletto di felicità, come se con la mente me ne fossi andata a fare shopping di uomini e avessi appena trovato quello perfetto.

Con gli occhi ancora fissi su di me, all'improvviso comincia a parlare. Sono davvero frastornata, mi ci vuole un secondo per rendermi conto di cosa sta dicendo alla professoressa Lambert. «Drew Baylor. Senior». La sua voce assomiglia a della cioccolata fondente in una calda notte estiva.

E provoca un trambusto. Tutti si scrollano di dosso il torpore mattutino, si girano, lo fissano e cominciano a bisbigliare tra loro. Lui li ignora, guarda solo me. Questa cosa mi scombussola. Drew Baylor. Il suo nome è un mormorio che attraversa tutta l'aula. E poi lo riconosco. Il quarterback. Non ho mai prestato molta attenzione ai membri della nostra leggendaria squadra di football, per cui lo conosco solamente in maniera vaga, come si sa che esiste lo Studentato o che la biblioteca, la domenica, chiude alle sette di sera.

La delusione arriva rapida e tagliente. Non ho alcun interesse nel conoscere meglio il quarterback superstar. Con una morsa nel petto, mi volto e cerco di ignorarlo. Più facile a dirsi che a farsi.

Non appena la lezione termina, provo a scappar via. E invece quasi vado a sbattere contro un torace muscoloso simile a un solido muro. Non ho bisogno di alzare lo sguardo per sapere di chi si tratta. Restiamo lì, uno di fronte all'altra, in silenzio, io che fisso il suo petto mentre il suo sguardo mi trapana la testa. Infastidita, raddrizzo le spalle e mi costringo ad apparire disinteressata. Merda, come si fa ad apparire "disinteressata"? Non importa, perché i nostri occhi si incontrano di nuovo. Errore.

La partita vincente di Kristen Callihan - GAME ON series 1Where stories live. Discover now