Nadie.

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Sei anni dopo.

Ero intenta a cucire nella sala appositamente allestita per me quando udii un certo trambusto nel piazzale del palazzo. Mi sentii improvvisamente inquieta. Poggiai sul mobile la stoffa che stavo minuziosamente lavorando poco prima e corsi alla finestra. Lo stalliere si stava occupando di un cavallo bianco dalla lunga criniera. Sorrisi e mi affrettai a correre giù per la scalinata del palazzo, diretta verso il portone principale.

Ed era lì. Ancora intento a togliersi di dosso il mantello, proprio di fronte all’entrata, c’era mio marito.

“D-Diego” balbettai, incapace di pronunciare qualsiasi altra parola.

Erano passati molti anni dall’ultima volta che ero corsa incontro a qualcuno…

Si voltò verso di me con naturalezza, sfoggiando uno dei suoi sorrisi inconfondibili. Adoravo i suoi sorrisi, quelli belli e genuini, quelli che riuscivano a contagiare chiunque, in qualunque momento. I suoi occhi scuri, così profondi, trasmettevano null’altro che semplice felicità. Spalancò le braccia, in segno di avvicinarmi. Non me lo feci ripetere due volte. Col passo più veloce del dovuto mi catapultai fra le sue braccia, stringendolo in un forte abbraccio. Era passato un mese da quando era partito per Siviglia per volere del Re. Un lunghissimo, maledettissimo mese. E mi era mancato infinitamente, come manca l’aria quando ci si trova in fondo al mare.

Mi diede un bacio sulla fronte, mi accarezzò i capelli biondi e, finalmente, il nostro abbracciò scemò. “Non avrei mai potuto desiderare un’accoglienza migliore” pronunciò soddisfatto. “E’ bello rivedervi” sospirai con felicità, arcuando le labbra in un sorriso. Nonostante fossimo sposati già da quasi sei anni, ancora non riuscivo a rivolgermi a lui dandogli del tu. Era una mia fissazione stupida, a sua detta, ma quella di parlargli in quel modo era un segno di rispetto, sebbene fosse una cosa minuscola. Un rispetto sincero e profondo nei suoi confronti, che per me aveva fatto così tanto.

Tanto, forse troppo…

“Sarete molto stanco dopo tutto questo viaggio, provvederò immediatamente a far preparare la nostra stanza affinché possiate riposare un poco” lo avvertii e, senza attendere una sua risposta, mi precipitai verso una delle stanze adiacenti all’entrata. Lì Alfonso attendeva impaziente mie indicazioni sul da farsi. Lui era sempre lì, sempre ad attendermi affinché gli dessi ordini. Spesso era una situazione frustrante, e quasi rimpiangevo il caro Anton. Anton, la sua mania di gironzolare continuamente e di ficcanasare in giro, quel castello, la mia casa. Erano anni che mi ero trasferita nella tenuta di Don Diego nei pressi di Granada ma ogni giorno provavo nostalgia per la mia vecchia casa, quella dove ero nata e cresciuta.

Dopo aver affibbiato un bel po’ di compiti all’entusiasta Alfonso, tornai all’ingresso dove mio marito si stava intrattenendo con alcuni uomini della servitù, raccontando loro del lungo viaggio e del nuovo Re di Spagna.

“Ho chiesto di far preparare un bel bagno caldo. Per quando avrete fatto sarà pronta anche la stanza da letto” assicurai. Diego mi sorrise, ringraziandomi tacitamente. Lo ricambiai e tornai ad affaccendarmi affinché il suo rientro a casa fosse perfetto. Era davvero il minimo che potessi fare per lui.

Raggiunsi la cucina ed ordinai alle cuoche di preparare un banchetto degno. Feci in modo che preparassero buona parte dei piatti preferiti di mio marito. Corsi poi nelle stanze superiori. Il salone per il pranzo andava allestito nel migliore dei modi, pertanto incaricai due ragazzi della servitù di apparecchiare. Corsi infine nella stanza dove mi dedicavo all’arte del cucito. Sistemai in pochi minuti tutto il caos della mattina e, finalmente, fui libera.

¿Cuàntos dìas empleàis en cada mujer que amàis?Where stories live. Discover now