Fallimento Monumentale

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La guardai salire le scale del cimitero in silenzio, quasi stessi aspettando un suo invito a seguirla. Il mio cervello si attorcigliava frenetico nel disperato tentativo di anticipare le sue mosse, di evitare il pericolo. Avevo paura. Più lei si allontanava da me, più io sbriciolavo nella disfatta. Al contempo però gioivo; rimandare un atto di coraggio è sempre un buon compromesso per un codardo.

In piedi sull'ultimo gradino, improvvisamente si girò e mi guardò dritto negli occhi. Un'espressione delusa e accigliata le copriva il volto, aveva capito tutto. Non mi venne incontro, né io salii. Non ci trovammo a metà della scalinata come si vede alla fine dei film d'amore, nessun lieto fine. Lei rimase in alto e io in basso. La gravità mi schiacciò al suolo, come fa uno scarpone con una formica e mi fu del tutto inutile tentare di resisterle. Vidi il suo volto corrucciarsi definitivamente in una smorfia insofferente. Per lei, ero l'ennesimo vigliacco condannato dalla propria inettitudine, un sensibile cantastorie privo di talenti, un debole. Mi voltò le spalle e proseguì da sola.

Io ero triste, tristissimo.

Restammo comunque insieme per il resto del pomeriggio, vicini, ma ormai estremamente lontani. Ci scambiammo frasi vuote, diverse dalle solite colme d'amore taciuto, finchè il sole calò e lei andò via, lasciandomi con delle promesse distratte e futili. Rimasi solo con il mio dolore e con un'indelebile senso di colpa impresso nel petto. Ero sbagliato e incapace. La paura mi aveva schiacciato di nuovo e il demone del fallimento era stato evocato per l'ennesima volta.

Tornai a passi lenti verso casa, osservando la felicità altrui. Avevo voglia di bere e di smettere di pensare, ma non avevo più soldi con me, così incominciò il martirio. Il mio cervello prese a scandagliare tutte le possibilità mancate e a infliggersi condanne via via più dolorose. Sentii crescerlo fino ad essere sopraffatto dalla sua massa. Fitte glaciali mi squarciavano il cuore e conati di odio risalivano il mio stomaco.

Mi guardai riflesso in una vetrina del centro. Un mostro oscuro si stagliava al centro dello specchio, con un ghigno maligno disegnato sul suo brutto muso e gli occhi gialli da serpente. Scappai via tra la folla di turisti con il naso all'insù, tentando di nascondermi da quella bestia e mi rintanai a fatica dentro un vecchio bar vuoto e impolverato. Con il fuoco in gola mi ficcai la mano in ogni tasca nel disperato tentativo di tirar fuori qualcosa. Il diavolo, dalle profondità roventi dell'inferno, mi strizzò l'occhio sanguinolento e dai miei pantaloni venne su una piccola banconota stropicciata, insieme a un vecchio scontrino ingiallito. Cinque maledettissimi euro.

Guardai al cielo, come facevo da piccolo per rivolgermi a quello che credevo fosse Dio e con un gesto automatico lo ringraziai ordinando una birra. Non avevo capito niente, quel bicchiere era solo l'inizio della fine. Ne bevvi metà in un unico sorso e il mio cervello smise di macinarsi. La delusione, l'ira, l'odio e l'inettitudine erano lontanissime da me, così come la loro causa. Improvvisamente, il fallimento mi sembrò una parte fondamentale della mia vita e cancellai tutte quelle stronzate con un sorrisetto beffardo e risolutivo, ma vuoto. Sentivo lo sguardo del barista fisso sulla mia follia, ma non me ne curai, anche lui era lontano. Finii la birra con calma, guardando fuori dalla finestra la marea di turisti con il naso all'insù, tutti presi a contemplare chissà quale inutile meraviglia. Mi alzai a fatica dalla sedia e mi incamminai senza una direzione.

Appunti frettolosi per la mia prossima vitaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora