2🦋Sulle braccia. || Parte uno

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Secondi.
Fragili, frammentati, confusionari.

Mi soffermo in silenzio a osservare le palpebre dello sconosciuto abbassarsi, come spinte da una forza di indescrivibile devastazione e prosciugate dalla stanchezza.
Le sue parole, invece, livide e altisonanti, non fanno altro che ripetersi nelle mie orecchie tese come una minaccia alla mia stessa sanità mentale.

«Un mostro? Ti prego, non prendermi in giro. Non me la sento proprio di sopportare gli scherzi di uno psicopatico.» Affermo con sufficienza, massaggiandomi le tempie ancora divorate dalle reminiscenze di un mal di testa notturno.
Non ho nemmeno la forza di arrabbiarmi con lui, di chiedergli come diamine sia entrato in camera mia o di interrogare la sua distorta memoria intrisa di follia.
Mi basta il silenzio, nient'altro che quello.
«Beh, sì, in effetti posso sembrare un pazzo nel dire una cosa del genere, ma devi credermi se ti dico che non sono affatto il tipo che si intrufola nelle case degli sconosciuti.»

Il suo volto vagamente illuminato dalla luce lunare è impregnato della stessa espressione che aveva all'interno del locale: disperata, indifferente e allo stesso tempo affannata nella ricerca di un suo spazio in questo mondo fatto di putridi ammassi di persone.
Mi siedo con cautela sul pavimento, accanto al suo corpo percosso da brividi, accanto alla sua devastazione. Cerco di incrociare il suo sguardo, ma è fin troppo spaventato per acconsentire al minimo contatto, per quanto metaforico possa essere.
«Senti, io non ho idea di cosa tu abbia assunto per ritrovarti in queste condizioni ma non credo che tu sia un malintenzionato, quindi adesso ti farò uscire da questa casa prima che i miei genitori si sveglino, va bene?» Lui annuisce e, dopo averlo aiutato nel rimettersi in piedi, lo accompagno dolcemente verso la porta incastonata nella parete.

Le sue dita sono strette attorno alla pelle del mio avambraccio, così tremolanti che sembra avvinghiarsi ad essa come spinto da un vago senso di esaltazione.
I miei occhi si aggrappano alla sua presenza come a quello che ormai non è altro che un ricordo, un vago frammento del passato che probabilmente non avvertirò mai più.

I miei occhi si aggrappano alla sua presenza come a quello che ormai non è altro che un ricordo, un vago frammento del passato che probabilmente non avvertirò mai più

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Il tessuto sottile dei jeans primaverili mi avvolge la vita, soffocandomi il respiro e comprimendo il nodo abissale che si è creato all'interno del mio stomaco. Mi accarezzo il ventre coperto da un anonimo maglione bordeaux ma ritraggo immediatamente la mano, socchiudendo gli occhi incapaci di reagire agli stimoli esterni.
Perfino la mia immagine riflessa nello specchio mi appare distorta, fatta a pezzi da qualcosa di invisibile ma così opprimente da avvertirlo come una forte presa sulle spalle.

«Kaylee, vieni a fare colazione! Ti ho preparato le uova strapazzate!» grida la voce di mia madre, percorrendo le scale dell'ingresso e raggiungendo la porta semiaperta della mia stanza.
Una semplice domenica mattina, ecco di cosa si tratta.
Quello che è successo stanotte, se davvero è stato reale, non ha alcuna implicazione nella mia vita presente.
Nessuna.

Curvo gli angoli delle labbra all'insù e mi rendo conto che non mi sono mai ritrovata ad indossare sorrisi e a sfoggiarli con spavalderia affinché il mondo esterno potesse crederci davvero. È così strano ritrovarmi a farlo proprio adesso, così innaturale che passo alcuni minuti a osservare la mia stessa espressione nello specchio, decidendo infine di afferrare la borsa a tracolla nera e di chiudere la porta alle mie spalle.

On my SkinWhere stories live. Discover now