La resilienza d'uno spirito esangue

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Dedicata a Jennifer che ha aspettato pazientemente che scrivessi qualcosa su una sua ship (e che ancora aspetta, ops). Nel frattempo goditi questa piccola TodoDeku, il resto arriverà con il tempo.
Forse.

Il morbo di Hanahaki, anche noto come "Hanahaki disease" è una malattia auto-immune che colpisce il sistema respiratorio e cardiovascolare. Il paziente che ne è affetto presenta sintomi di gravità crescente quali tosse, vomito, problemi respiratori (e conseguente difficoltà nella respirazione) e circolatori e, forse il più noto, l'espulsione di petali di fiori di vario genere (non è ancora stata trovata una continuità logica nel tipo), spesso accompagnata da sangue, tramite la cavità orale e attraverso forti colpi di tosse convulsa. L'insorgere della malattia è da imputare ad un caso d'amore non corrisposto e consiste nella crescita di vari tipi di piante all'interno e all'esterno dei polmoni che, con il tempo, si espandono per tutta la cavità toracica e affondano le loro radici nel cuore. La velocità dell'insorgere, del progredire e della tarda diagnosi della malattia (poiché i sintomi evidenti e a questa riconducibili si presentano quando gli arbusti hanno ormai invaso quasi completamente il sistema respiratorio e stanno attecchendo al cuore) la rendono difficilmente curabile.
A diagnosi eseguita esistono tre possibili strade. La prima che sarebbe, ovviamente, la scelta preferibile, vedrebbe corrisposto il proprio amore in un breve lasso di tempo il che porterebbe ad una rapida e inspiegabile guarigione.
Nel caso ciò non accadesse è percorribile e consigliata la scelta chirurgica per la rimozione di fiori e radici che, però, comporta la perdita delle emozioni del paziente e richiede dunque un forte sostegno psicologico e farmaceutico nel suo decorso.
L'ultima strada percorribile è, naturalmente, quella di non fare nulla e di perire a causa d'un irreversibile collasso cardiaco e polmonare.
Ad oggi non sono stati trovate altre opzioni valide per il trattamento del morbo di Hanahaki.

Era iniziata con un semplice mal di gola. Nulla di cui preoccuparsi, sostanzialmente. Certo, non gli capitava spesso di ammalarsi, complice anche la sua capacità di regolare la propria temperatura così da evitare batteri, virus et similia, ma mai dire mai, nella vita: era pur sempre un essere umano e, soprattutto, si stava avvicinando l'inverno.
Dopo qualche giorno sua sorella aveva iniziato a preoccuparsi, fino a convincersi che si fosse preso, o fosse in procinto di prendersi, un malanno abbastanza grave, costringendolo così ad indossare un'enorme sciarpa di lana che, nel breve periodo in cui l'aveva utilizzata, gli aveva dato solo fastidio.
Era passata quasi una settimana e mezza quando s'era reso conto che ogni volta che il suo sguardo si posava su Midoriya la situazione peggiorava. Non importava cosa stesse facendo l'altro, che ridesse, sorridesse, che fosse chinato sul proprio banco pieno d'attenzione per la lezione, che guardasse fuori dalla finestra perso tra i suoi pensieri, che fosse da solo o in compagnia. Bastava guardarlo, anche solo per un secondo, anche solo di sfuggita, e la gola prendeva a pizzicare, i primi tempi. Con il passare dei giorni, però, ad ogni sguardo la trachea iniziava a bruciare e infine, dopo due settimane e mezza di quella tortura, nulla riusciva ad impedirgli di tossire. Ed era un problema. Un problema enorme, e non solo perché Todoroki frequentava la stessa classe di Midoriya, ma perché era seduto due posti dietro di lui e osservarlo e immaginare che profumo avessero i suoi capelli, che consistenza la sua pelle, che sapore le sue labbra era, da ormai parecchio tempo, il suo passatempo principale durante le noiose ore di scuola.
Aveva toccato il fondo, o quello che pensava lo fosse, durante il giovedì notte della terza settimana. Si era svegliato con il fiato corto e i polmoni che bruciavano, con la pelle cadaverica e i capelli appiccicati alla fronte, con il corpo bagnato ovunque di sudore, nonostante prima d'andare a dormire si fosse spogliato rimanendo in boxer percependo l'aria calda contro la pelle e stopposa nei polmoni. Non aveva fatto in tempo a chiedersi cosa gli fosse successo, né a ricordare se si fosse svegliato così di soprassalto per un ennesimo incubo, che aveva cominciato a tossire. E aveva tossito e tossito e tossito ancora, anche quando credeva di non aver più fiato nei polmoni. S'era portato la mano sinistra davanti alla bocca cercando di contenere il rumore per evitare che qualcuno, che chiunque, si svegliasse e venisse a vedere cosa stava accadendo, mentre con la destra aveva cercato d'accendere la piccola lampada da lettura al fianco del futon, senza riuscirci. Aveva iniziato a tossire più forte, con la gola in fiamme, ed era stato costretto a tenersi lo stomaco perché l'impulso di vomitare si stava facendo troppo forte. Era andato avanti così, nel buio più completo, fino a che non aveva sentito qualcosa sporcargli il palmo della mano. Aveva sgranato gli occhi nel buio, i colpi di tosse bloccati all'improvviso, la sensazione d'avere il palmo sinistro sporco di qualcosa, qualcosa che non era saliva, che si faceva strada sempre più prepotentemente nelle sue viscere. Era riuscito ad accendere la luce, finalmente, con le dita che gli tremavano un poco e aveva contemplato, come allucinato, la propria palma chiara macchiata di schizzi rossi, come la tela d'un artista sporca di qualche eterea pennellata, altrettanto bella ed incantevole, ma anche spaventosa nella sua semplice crudeltà.
Si era portato tre dita tremanti alle labbra, pollice, indice e medio, e aveva afferrato quel qualcosa che aveva incastrato tra dentatura inferiore e lingua. Aveva guardato il petalo con uno sconcerto palpabile. Tutta l'aria della stanza s'era bloccata, il silenzio s'era fatto più opprimente e il buio, rischiarato solo dalla debole lampadina, ancor più oscuro. Aveva cercato di prendere un respiro, Shouto, ma era stato difficile, forse una delle cose più difficili che avesse mai fatto: la gola riarsa che chiedeva pietà e qualcosa, giù nei polmoni, che gli impediva di godersi l'aria che aveva ispirato con così tanta difficoltà.
Poi aveva tossito di nuovo. E questa volta non c'era mano che potesse bloccare il rumore.
S'era piegato su se stesso, le mani strette al ventre in un'inutile quanto spasmodico abbraccio, i capelli che gli ricadevano dolcemente davanti al viso coprendogli gli occhi e carezzandogli le guance, il corpo scosso dai tremiti, dai colpi di tosse e dai conati di vomito. Sua sorella era accorsa dalla stanza accanto spalancando la porta, inondando l'ambiente di luce, ma l'unica cosa che aveva potuto fare era stata restare pietrificata sull'uscio, immobile a contemplare i petali macchiati di sangue che, usciti dalle labbra di suo fratello, cadevano sulle lenzuola stropicciate.

La resilienza d'uno spirito esangue ;; tododeku Where stories live. Discover now