Il piano: parte seconda.

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«Guarda che non ti mangiano».
È molto spaesato e in imbarazzo, essendo in un ambiente nuovo, popolato solo da donne.
«Sono l'unico maschio, Didi. Mi sento uno straniero in terra nemica».
Alzo gli occhi al cielo e lo tiro verso i posti a sedere.
Scelgo appositamente di farlo accomodare vicino alle due candidate.

Gli strizzo l'occhio ammiccando, in modo che capisca.
Le osserva attento e, subito dopo, scuote la testa.
«Mi spiace, non fanno per me».
Cerco di mantenere la calma; non ci ha neppure parlato e già le scarta.
Così non va bene.
«Kavinsky, dai loro almeno un'opportunità! Non puoi scartare due candidate a prescindere, senza neppure farti un'idea di come siano».
Spero di convincerlo.

«Senti, lo capisco subito, col senno di poi, che non vanno bene.
Primo: entrambe non fanno che scrivere su quel maledetto telefono.
Secondo: non sono il mio tipo. Sono un tantino... Come dire, sopra le righe», la sua insicurezza mina di nuovo i nostri propositi.

«Peter, se reagisci così ogni volta, non troveremo mai nessuna.
Il piano deve prendere il via, così quella specie di sottoprodotto della lavorazione del suino avrà ciò che merita», mi escono cose che mai avrei detto, non a lui soprattutto.
Diventa paonazzo, cercando di trattenere le risa.
«Sottoprodotto della lavorazione del suino? Ma da dove ti vengono?» domanda, cercando ancora di non lasciarsi andare.

«Non volevo essere così volgare da definirla una scrofa.
Ho ovviato con un sinonimo più... Elegante?» vorrei ridere anche io, ma l'oratrice è appena entrata.
Siede al suo posto, adagiando il libro sul leggio. Dopodiché introduce il romanzo di questa sera: L'altra donna del re. Da cui è stato tratto anche un film.
Restiamo in silenzio per quasi tutto il tempo, fino a che Pete tamburella le dita sul mio ginocchio.

«Andiamo via, ti prego!» lo accontento, prendendo le nostre cose e accennando un saluto silenzioso al resto del gruppo.
Una volta in strada, diretti al Corner, lo affronto apertamente.
«Ma che ti prende?» so che cosa gli frulla per la testa, ma voglio che me lo dica lui.
«Niente. Ho solo... Beh, pensato ad un'alternativa. Non mi sento a mio agio nel proporre una cosa simile a delle estranee. Come non mi sento di dover fingere con qualcuno che non conosco», capisco al volo.
«Hai paura di affezionarti?» è la sola cosa logica.
«Anche.
Più che altro, non voglio dover condividere un'intimità forzata. Magari, con una persona con cui non ho niente in comune.
Per capirci: se davvero devo fingere, questo comporta baci, intimità e altro.
Non è da me, lo sai».

Cavolo, non avevo considerato queste cose.
«Non hai torto. Quindi, che si fa?» non ho altre soluzioni al momento.
«Te lo dico, ma davanti ad un bel frappè», mi prende sottobraccio e aumenta il passo, finché non arriviamo alla tavola calda.

***


«Ma sei serio?» sono basita.
«Come la morte. Non è una proposta così strampalata; ci conosciamo da sempre, ci vogliamo bene e tra noi non c'è imbarazzo. Inoltre, c'è sempre stata intesa e questo è un punto a favore».
Resto immobile, continuando a girare la cannuccia dentro il liquido.
Non mi sarei mai aspettata quelle parole, tantomeno la proposta: «Perché non tu? Siamo sempre in sintonia e sei l'unica di cui mi fido ciecamente. Se proprio devo iniziare questa cosa, voglio farlo con te».
Dire che è stata una doccia fredda è riduttivo; sono esterrefatta.

«Peter, io ti voglio più bene che a chiunque altro.
Ma... Ecco, non so, ci devo pensare.
Quel che hai suggerito è stato inaspettato. Mi serve del tempo per riflettere e valutare bene».
Abbassa la testa e risponde: «É un no, vero?».
Maledico tutti, per averlo così segnato.
«Non è un no, è un forse», sorseggio ancora il frappè, usandolo come diversivo. Una sorta di scudo.

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