Prologo

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Si ferma. L'imbocco della via, quella stretta e un po' buia che le lascia sempre addosso una sorta di angoscia, le sta di fronte e sembra scrutarla paziente, come in attesa della sua prossima mossa.

Solitamente evita di passarvi, soprattutto quando cala la sera: non le piace come quel vicolo sia isolato rispetto al viale principale, con le sue ampie zone buie a causa dei molti lampioni rotti. Ma oggi non può proprio fare a meno di passare da lì, dopotutto è l'unica scorciatoia che le evita di fare tutto il giro del quartiere prima di arrivare a casa; gli allenamenti di scherma sono finiti più tardi del previsto e lei deve assolutamente tornare per studiare, o domani si troverà impreparata al test di chimica. E lei non vuole farsi trovare impreparata, chimica è la sua materia preferita.

Sa che deve sbrigarsi e che non può aspettare ancora, ma il buio le fa salire l'ansia. Si dà della stupida mentalmente, deve smetterla di averne timore; in fin dei conti, le stesse cose che vi sono di giorno sono presenti anche di notte, solo che non si vedono.

Tentenna ma ha deciso, ha già perso fin troppo tempo; prende un gran respiro, strizza gli occhi e li riapre, stringe tra le mani una delle cinghie dello zainetto che porta in spalla e avanza a passo svelto lungo la stradina oscura.

Cammina veloce e tende le orecchie, non lo dà a vedere ma ha paura. Sta morendo di paura, in realtà, e un motivo ben preciso c'è: la zia glielo ha sempre detto di camminare in mezzo alla gente e sotto la luce dei lampioni, dove tutti possono vederla, perché non si sa mai cosa possa succedere la sera, soprattutto a una come lei. Si volta indietro una, due, tre volte, per sicurezza. Non si sa mai.

È quasi giunta alla fine del vicolo e l'unico suono udibile in questa notte senza luna e senza stelle sembra essere l'eco dei suoi passi leggeri sull'asfalto screpolato.

Sta per tirare un grosso sospiro di sollievo, ce l'ha fatta e non è successo nulla di brutto. Poi lo vede. Lo vede e il suo corpo si immobilizza.

È poco più di un'ombra, in realtà, ma è sicura di non sbagliarsi. Quella è una persona, una persona vera, e la sta guardando fisso da molto più tempo di quanto lei non creda. Immobile come una statua di ghiaccio, sbatte ripetutamente le palpebre, sperando di aver visto male.

Quando li riapre, la figura è scomparsa.

Del sudore freddo le cola lungo la spina dorsale, anche se è pieno inverno e fa talmente freddo che il fiato affannoso che le esce dalla bocca si condensa in una buffa nuvoletta di vapore. In un altro momento lo avrebbe trovato divertente e, con un doloroso nodo alla gola e le ciglia che si inumidiscono di lacrime, avrebbe riportato alla memoria episodi risalenti alla sua infanzia. Ma questo non è uno di quei momenti.

Con il cuore in gola e le gambe tremanti, si affretta a superare l'androne nel quale le pareva di aver intravisto qualcuno. Qualcuno che ora la sta osservando da dietro l'angolo di una casa prossima alla demolizione, ma lei non può vederlo perché ormai quella casa se l'è lasciata alle spalle.

Una delle sue scarpe da ginnastica oltrepassa il buio del vicolo e viene investita dal cono di luce gialla proveniente dal lampione più vicino, l'altra sta per fare altrettanto... Poi una mano le afferra un braccio e la strattona nuovamente nel buio, mentre un'altra le tappa la bocca. Cerca di urlare e liberarsi, ma riceve solo un calcio in uno stinco che la fa piegare in due dal dolore.

- Niente scherzi, Luna Madison - sibila una voce roca e agghiacciante, una voce che lei conosce molto bene.

Trema di paura, ma deve liberarsi a tutti i costi. Un fiotto di adrenalina le esplode nelle vene e, con un morso e uno strattone, riesce a liberarsi dalla presa salda del suo assalitore. Incespica e barcolla per il dolore dovuto al calcio, ma stringe i denti e prende a correre verso casa. Non è lontana, ormai, mancano solo qualche centinaio di metri al vialetto.

Quello che resta del SoleWhere stories live. Discover now