Capitolo 5. Cane Rabbioso

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La notte era calata inesorabile e gelida su New York, portando con sé una scia di sangue e morte.
Lo sapeva bene il Boss, che non riusciva a smettere di pensare a quanto altro sangue avrebbe dovuto vedere da lì ai prossimi mesi, forse anni. Stringeva il suo bastone da passeggio tra le dita e guardava dalla vetrata la città brulicante di vita e miseria.
Il figlio del Rabbino era morto, proprio come voleva, e insieme a lui anche quel Fisher; eppure non poteva dirsi soddisfatto, non quando tutta la città, la polizia e di sicuro i fottuti affari interni erano stati allertati dall'esplosione del palazzo in cui abitava.
L'ascensore si aprì e ne venne fuori Goodkat, con il suo solito mezzo sorriso sornione e l'impermeabile color sabbia.
«L'ho ingaggiata per un lavoretto, ma non doveva sembrare un lavoretto; invece lei ammazza gli israeliani, fa esplodere l'intero edificio. E adesso il lavoretto che non doveva sembrare un lavoretto, comincia a sembrare... un vero lavoretto».
Argent non disse nulla, la sua espressione imperturbabile sembrava volergli comunicare qualcosa, ma lui non poteva sapere davvero cosa, poteva immaginarlo. E di solito, quando si capisce di essere in una brutta posizione, ci si immagina quello che fa più comodo.
«E va bene, fanculo. Se il Rabbino vuole una guerra, gli daremo una guerra».


Il Rabbino, nel frattempo, stava in piedi nel suo ufficio ignaro di tutto, perché era venerdì sera, momento d'inizio dello Shabbat.
È bene sapere che ogni sabato di ogni mese di ogni anno, un buon ebreo celebra il giorno sacro del riposo, così come è stato ordinato dal Signore nelle Sacre Scritture. Nel giorno del riposo è vietato lavorare, scrivere, disegnare e addirittura viaggiare, ma tra le altre cose è permesso studiare la Torah. E lui amava studiare la Torah e odiava essere interrotto durante la lettura.
Ecco perché il telefono aveva squillato e nessuno gli aveva dato notizie ed ecco perché nessuno gli aveva annunciato l'arrivo di Nick Fisher.
Era strano, molto diverso dal solito. Forse era l'abito elegante, magari i capelli pettinati o forse ancora il sorriso sornione con cui l'aveva salutato. Gli ricordava qualcuno, ma non avrebbe saputo dire chi...
«Oh, salve signor Fisher! Credevo fossi Saul, il mio assistente».
«Ultimamente mi prendono tutti per qualcun altro» sorrise tranquillo.
Aveva con sé una valigetta, quindi era quella la differenza: stava per saldare il suo debito.
«Sai, la tua brutta situazione mi ricorda un film di Alfred Hitchcock, "Intrigo Internazionale". Tutti pensano che Cary Grant sia un uomo chiamato George Kaplan, ma non esiste nessun George Kaplan, è un nome inventato. I nomi, anche quelli inventati, possono provocare brutti guai. Ora, la protagonista femminile si chiamava...»
«Eva Marie Saint».
«Oh, conosci quel film!»
«Conosco quel film» disse lapidario, ma il Rabbino non fece caso al suo tono.
«Ho portato mio padre a vederlo nel '59. Non capiva bene la lingua, ma perbacco se gli piaceva Eve Marie Saint. In ogni caso quel film ha provocato molta confusione».
«Scambiare nomi può farlo».
«Già» annuì. «Quelli sono i miei soldi?»
Il ragazzo batté una mano sulla valigetta marrone e disse: «Sì, è quello che le devo».
Il Rabbino si tolse allora la kippah e gli occhiali a mezza luna, poi spostò un'agenda dalla scrivania e gli fece cenno di poggiare la valigetta lì.
L'espressione imperturbabile, il sorrisetto, gli ricordavano qualcuno, ma chi? Di sicuro qualcuno di cui non fidarsi. Il telefono nel frattempo aveva ripreso a squillare.
«Oggi è Shabbat e noi non rispondiamo al telefono durante lo Shabbat».
«Lo so».
«Saul di solito toglie la suoneria, ma al giorno d'oggi è difficile trovare del personale valido».
Aprì la valigetta, ma era vuota. Non fece in tempo a sollevare lo sguardo che venne colpito alla testa con violenza. Ebbe la sensazione che il cranio si fosse spaccato a metà e, prima di perdere conoscenza, gli sentì dire qualcosa:
«Saul è morto. Sono tutti morti».

*

Il risveglio dopo un colpo alla testa non è mai dei più piacevoli. Sentiva di essere seduto, ma gli mancava lo stesso la terra sotto i piedi e lo stomaco e il cervello sembravano volergli uscire dalla bocca e dagli occhi. Sbatté le palpebre diverse volte, prima di scacciare la patina bianca che gli offuscava la vista. Provò a sollevare una mano per sincerarsi della gravità del danno, ed ebbe un tremito alla vista del nastro isolante che lo teneva legato alla sedia.

Lucky Number Slevin || Stalia AU Teen WolfTempat cerita menjadi hidup. Temukan sekarang