Capitolo XXV - Scelte

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Mi tese il candido braccio. La luce si dipanava coesa tra le dita. M'illuminò il volto gaudioso, gli occhi fulgidi di felicità.

«Piccolo, stai bene?».
«Sì, mamma!».
«Vieni qui dalla mamma: sai, è da tanto che non ti vedo sorridere».
«Non è vero, semplicemente sono diventato grande».
«Essere grandi non significa rinunciare alla propria felicità».
«Ma io sono felice!».
«Bene, allora sorridi!».
«Non ci riesco».
«Perché, figlio caro?».
«Sangue... Esce sangue dal ginocchio. E mi fa male».
«Allora corri da me, ti curerò io».
«Sì, mamma, arrivo! Aspettami!».
«Certamente».
«Mamma, mamma!».
«Che cos'è accaduto?».
«Non riesco a raggiungerti! Non ci riesco! Non ci riesco!».
«Allora corri più velocemente, forza!».
«Ci proverò».

«Ahi, sono caduto!».
«Oh, no! C'è ancora più sangue».
«Non si ferma!».
«Ti prego, mamma! Ti prego!».
«Proteggimi! Pensami! Amami!».
«Dove sei finita?».
«Perché anche tu fuggi via da me?».
«Torna da me! Torna da me!».
«Ho freddo».
«Il ginocchio fa sempre più male».
«Torna da me!».
«Dove sei?».
«Guarda le mie lacrime».

«Amore, non piangere! Non ricordi di quando la mamma si nascondeva e tu dovevi trovarla?».
«Sì, ma dov'eri nascosta questa volta?».
«Sono sempre stata accanto a te, ma il dolore non ti ha permesso di accorgertene».
«Perché allora non mi hai aiutato?».
«Be', per permetterti di trovare da solo una soluzione. Ci sei riuscito?».
«No, mamma».
«Oh, ma guarda qui! Il tuo ginocchio ha smesso di sanguinare».
«Oh, ma come... Com'è stato possibile?».
«Hai affrontato da solo la solitudine del dolore, così sei stato ricompensato, figlio mio!».
«Oh, che bello! Non l'avrei mai immaginato!».
«Ora sei felice?».
«Ehm, non lo so».
«Però non hai più dolore: quindi sei felice?».
«Mamma, ho detto di non saperlo».
«Non sai di essere felice oppure non sei felice?».
«Mamma, per favore, smettila!».
«Non sei felice, giusto?».
«Ti prego, mamma!».
«Vuoi essere felice?».
«Basta, mamma!».
«La mamma sa che vuoi essere felice, perciò seguila!».
«No, mamma, no!».
«Oh, perché? Non ti fidi di tua madre?».
«Sì, mamma».
«Perché dunque indugi lì tutto solo?».
«Non so dove mi porterai».
«Ovunque ti porterò, sarai felice!».
«Come puoi dirlo?».
«Sono tua madre. Soltanto la mia anima può scorgere il cordoglio della tua».
«Ma non i suoi desideri».
«Oh, che cosa intendi?».
«Io non voglio venire con te, mamma!».
«E che cosa sceglierai se non verrai con me?».
«Sceglierò il meglio per me!».
«Che cos'è per te il meglio?».
«La via romita della mancanza».
«Preferisci il dolore al mio amore sempiterno?».
«Sì, mamma. Soltanto io potrò abbandonare la via del dolore!».
«E come farai?».
«Gli altri esseri umani potranno aiutarmi».
«No, figlio caro, gli altri esseri umani sono malvagi, ti uccideranno. Solamente io posso redimerti».
«No, mamma, in tutti gli esseri umani alberga un barlume d'amore».
«Ma questo amore non sarà mai come il mio».
«Il tuo amore è andato via da troppo tempo».
«E non ne senti minimamente la mancanza? Non desideri provarlo nuovamente? No?».
«Ho imparato a discernere la realtà dall'illusione anche grazie a te, mamma».
«Quindi mi rifiuti così? Alle porte dolcissime del gaudio eterno?».
«Sì, mamma, ho bisogno di sentire la verace guisa dell'anima che plasma la mia carne. E con te non potrò riuscirvi».

«Non piangere, mamma!».
«Come posso non farlo? Come?».
«Potrò finalmente trovare la mia felicità».
«Anche senza di me?».
«No, anche grazie a te».
«Mi prometti che sarai felice?».
«Farò del mio meglio».
«Ti prego, stella mia, non tradire questa promessa».
«No, mamma, non lo farò. Promesso!».
«Allora che cos'aspetti? Forza, va'! Corri verso la tua felicità!».
«Sì, mamma, vado!».

Cantarono insieme la gloria del corale amplesso così discinto d'amore e grazia d'immagine. Si riunirono con gli occhi all'ubera terra.
Caddero le ali immense esplodendo nel seme d'uomo e le anime sorrisero innanzi alle loro cuoia che poi ripresero il vital cammino.
Il tempo poté nuovamente conoscere la bellezza del proprio crudele fluire, nel labere lento di macule d'umana mestizia, nella nostalgia della scelta e della conclusa via, grondante sogni ed illusioni, realtà e sangue, sorrisi che soltanto possono nascere nel dolente cuore terreno, in quanto realizzazione caduca dell'illusione, congiunzione della realtà amara al dolce sogno.

Si fece innazi, ancora, un inulto vapore postremo. Sorrise mellifluo nel caos strutturante.
«Dunque, alla fine, hai scelto che cos'è meglio per te, vero?».
«Sì, Izabella, ce l'ho fatta».
«D’ora in poi sarai posto innanzi alla tua propria responsabilità, danzerai alla volta dell'Amore. Perché hai scelto questo?».
«Perché la storia di tutti noi, quali impercettibili esseri animati, ha bisogno di continuare, di snodarsi tra le insidie della vita e di scoprirne la foggia sua bollente, con cui potrà avviarsi sulla via del miglioramento. Per ora, va bene così».
«Sono fiera di te! Ora continua a vivere, combatti, sconfiggi, conquista!».

La realizzazione del soggetto condusse a quella del mondo cognito, il pensiero divenne proprio solamente dell'individuo, divelto dall'immacolata gipsoteca.
L'Eden si sfece entro mura d'amore e di malvagità, tra il seme e il sangue.
Il cromosoma umano riprendeva possesso della versatile ghiaia, le acque ripresero a scorrere gemmee e i monti a rinsaldarsi tra i cieli azzurri come occhi, come il mare che dal pianto umano bagnava la ghiaia umida, scottata dal sole.

Tutti poterono incontrarsi, toccarsi, volersi, amarsi.
L'odio cominciò ad ammorbare il mondo e la malattia e consumarne le genti, ma anche così si poteva trovare la felicità, anche così ogni essere umano avrebbe avuto in sé un barlume d'amore, avrebbe potuto aiutarmi a scoprire il vero senso della vita, attraversando il terreno ostico del dolore e il ghiaccio perfido della solitudine; soltanto in questo modo l'anima avrebbe conosciuto il piacere della gioia terrena e dello scibile trascendentale in essa contenuto.

Tutti erano pronti, la vita si profilava dinanzi al pandere dei loro movimenti, ed ogni pensiero generava realtà e non stordente illusione.
L'orizzonte luceva nitido, segnato dalla forma scoscesa dei monti grigi, mentre la luna poté di nuovo conoscere lo scintillio gelido delle stelle.

Andava bene così.
Certo, ognuno di noi avrebbe dovuto ricercare sé stesso in quel mondo, ma così avrebbe trovato anche la felicità.

Mi tese il candido braccio. La luce si dipanava coesa tra le dita. M'illuminò il volto gaudioso, gli occhi fulgidi di felicità.

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