Essere o non essere

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NO! Stupido infame, rotto in culo! Che cazzo fai? Che stai facendo? Cos'è quel grasso da vecchia scrofa in calore che ti copre l'addome? Maria, quei muscoli! Ma te li ricordi? Io sì, cazzo, e che boni! Sia da vedere che da gustare. Mannaggia a te, con il fisico che t'eri costruito andando a raccogliere frutta e verdura in campagna con tuo padre, ti eri fatto certi bicipiti e certi tricipiti e, insomma, tutti quei bei muscoli che facevi girare la testa a tutte le donzelle del paese, a tutte le milfone del paese, che con quelle loro tettone un poco cadenti a causa della vecchiaia ma grandi e gustose, mizzica, mi ci sarei tuffato a capofitto lì in mezzo pure io! E poi i vecchi contadini del paese, seduti sopra i loro sgabelli di legno consumati dal passare del tempo, di cui certi ancora ne sfoggiavano i decori infantili, loro giravano il collo verso di te come se di fronte ai loro occhi vitrei sfilasse la più bella delle modelle, di certo non quelle che girano oggi sotto i riflettori, nelle loro ammuffite menti si nascondono certe forme e certe prosperità che richiamavano subito il volto sensuale della bella e immortale Sophia Loren. Quei contadini, con tra i denti aguzzi e gialli, il succo dei chicchi del melograno di stagione, parlavano della tua statura da Ercole, commentavo le tue abilità di Achille e le tue qualità ereditate da Ulisse in persona! I preti del paese, poi, fin da quando eri piccolo, fischiavano al tuo passaggio: vedevano le tue gambe succulente e tonde, i tuoi glutei sodi... E qualcosa si rizzava in mezzo alle loro gambe, chissà perché, mascalzoni! Tu, di rimando, acceleravi il passo, tiravi dritto e, girato l'angolo, correvi a perdifiato al fine di arrivare al più presto in casa, dove gridavi: Per Dio, mamma! Quell'uomo tutto nero, con il colletto brutto brutto, stretto e soffocante, con la righetta bianca in mezzo... Ma ce l'hai presente? Mi ha fischiato dietro manco fossi una signorina di quelle! Cavolo, ricordo molto bene come nessuno ti credeva e ti davano tutti del bugiardo in famiglia perché "Siamo una famiglia cristiana da sempre! I nostri discendenti lo sono stati, noi lo siamo e tu, assieme alla tua famiglia, lo sarai!". "Ma mamma!", ti ribellavi come un pazzo si dimena nel tentativo di trovare un po' di comprensione negli occhi di chi lo guarda. E tu, come sempre, non la trovavi: "Ancora? Non voglio sentire "ma"!". "No, ascoltami", piccolo sbruffone, "Ma - sottolineavi - tu ci credi per davvero in questo famigerato Dio, che nemmeno passa a salutare a Natale, o fingi di crederci soltanto perché tutta la nostra famiglia lo ha sempre inseguito?".

Quando arrivava l'ora del catechismo era un incubo: piangevi e ti dimenavi, urlando ogni cosa pur di non andarci; i vicini erano sempre pronti a chiamare i carabinieri o, quando diventavi proprio esasperante, gli assistenti sociali. Se tu non avessi smesso di urlare stridulo con tutto quel tuo fiato di bambino ti avrebbero soppresso come si fa con gli animali! Così ti ci portavano a forza: tua madre ti sculacciava con gli occhi e tuo padre lo faceva per davvero, soltanto che non voleva sporcarsi le mani con le tue rogne e utilizzava come tramite la sua maledetta cintura di cuoio. Arrivavi in oratorio non solo muto perché avevi perso la voce ma anche rosso in viso, dolorante e convulso, quasi fossi l'ultimo martire di una guerra assai travagliata. Superavi l'entrata, con appesa sopra la porta d'ingresso la scritta "Comunità cristiana della Corea del Sud", con un non so che di trionfante nello sguardo, come per dire a tutti: "Guardatemi, sono ancora vivo!". Ti osservavo con la coda dell'occhio e, nonostante tu fossi lì lì per disperarti e affogare in un pianto liberatorio, che a dieci anni era pur necessario, ti mostravi tutto orgoglioso e fiero di te. Ne ero incredulo quanto estasiato. Continuavi a dire: "Sì, sì. Guardate pure, vedete bene: questo taglio me lo sono fatto l'altro giorno in mezzo al campo di grano, quello del signor Kim". E, allora, tutti gli altri bambini strabuzzavano gli occhi increduli: "Cosa? Come hai fatto? Se quello ti beccava, era per te la fine!" E tu annuivi, certo, ma non raccontavi molto di più. Mi mettevi una certa tenerezza che ti guardavo e pensavo: Vorrei dirgli che, con me, può non fingere! Ma poi non ti dicevo nulla, tacevo, sia perché ti conoscevo ancora a malapena e soltanto dopo un paio di settimane, da quell'episodio, incominciammo ad essere amici. Diventammo presto un tutt'uno, incredibilmente! Fin da subito eri diffidente e, seppur schietto, cercavi di nascondermi molto più di quanto concretamente riuscivi a fare; quando la nostra conoscenza sembrava raggiungere un altro livello, facevi sempre un passo indietro e stentavo davvero a credere ch'io non potessi trasmettere fiducia! Mi ero fatto coraggio e, a undici anni, avevo scelto di sfidare le regole gerarchiche della nostra cultura per poter finalmente urlare a quei deficienti di adulti che avevano sbagliato tutto, fin dall'inizio, e che cercando di salvarci dalla miseria delle nostre mediocri vite, non facevano altro che farci affogare. Tua madre restava allibita di fronte ai miei discorsi ma io volevo soltanto difendere un amico a cui venivano spezzate continuamente le ali perché, davvero, di questo passo, come ti tenevano incatenato con i loro stupidi ideali, temevo non trovassi mai l'opportunità di spiccare il volo, di fare la tua vita; se con o senza errori, se con o priva di felicità non importava, purché fosse frutto dei tuoi passi.

Essere o Non essereWhere stories live. Discover now