Che visse Adele Turinetti

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Adele Maria Anna Turinetti fu una donna dimenticata, che non avrà mai il suo degno ruolo nella storia.
Ella fu per me una cara amica, una saggia consigliera, una sognatrice sprecata, una silenziosa sovversiva, una discreta studiosa e una sfuggente bellezza.

La conobbi tra il 1773 e il 1775, durante la mia relazione clandestina con sua cognata, l'odiosamata Signora, Gabriella Falletti di Villafalletto.
Adele, infatti, era sorella minore di Giovanni Antonio Ercole Turinetti, marchese di Priero e marito di Gabriella.
La giovane donna non aveva certo la bellezza ammaliante della cognata, ma non posso non ammettere che avesse il suo fascino.
Era poco più giovane di me, un anno forse, e si intratteneva con la coppia in attesa di trovare marito, che poi fu il giocoso Tommaso Gerini di Firenze, un gentiluomo appartenente a una famiglia famosa per il suo mecenatismo.
Adele aveva sempre amato l'arte, per questo accettò quel matrimonio: era una promessa di vedere straordinarie opere umane per gli anni a venire.

Oh, lei amava la cultura, la bellezza, la musica.
Credo che sia l'unica persona che io abbia mai conosciuto a sorridere durante il tragitto per raggiungere i teatri, dove ci imponevamo di assistere al tediosissimo divertimento che era l'opera.
La vivacità mascherata e l'insulso entusiasmo che usava sfoggiare moderatamente l'avevano resa intrigante ai miei occhi: perché mai gioire per una vita vuota e fatta di inutili sfarzi come la nostra? Non vedeva che eravamo come barocche cornici vuote?
Eravamo al pari degli esotici animali annoiati che affollavano i nostri giardini, senza scopi.

Bastava vedere quel vizioso amico di suo fratello, quel Giovanni Casanova.

Non vi era più traccia dell'onore che era solito contraddistinguere la nostra classe.
Ma lei...sorrideva.
Ciò che più mi faceva voltare lo stomaco, però, era che il suo fosse un sorriso sincero e sentito, al pare di quello dei lodevoli e onesti.

Ricordo come rideva di gusto per le mie disgrazie con Gabriella, come si divertiva a canzonare gli ospiti della sua dimora, come giocava con gli amanti.
Ci esaminava come si studia la scena di uno spettacolo.

"Mio imbronciato Vittorio!" Esclamò "non vedi come questa corte sia una comica tragedia? Amanti e omicidi efferati, personaggi titanici miserabili, schiamazzi pesanti come il ferro per drammi leggeri come le piume. Siamo in un vortice di passioni travolgenti come le onde dell'oceano. Dovresti ridere, Vittorio, dovresti sbellicarti a vedere certi uomini e certe donne. Assorti dal gioco e imbevuti di vino, ammaliati dall'adulterio. Non infatuarti della mia crudele cognata: ricorda che una donna annoiata è più feroce di una belva."
Ancor oggi mi domando perché non la ascoltai.
Sembrava così ingenua.
Così ridicola.

Eppure riconsiderai tutto una notte, proprio durante quel supplizio sociale che occupava le nostre serate, mentre Gabriella civettava sfacciatamente con un ricco gentiluomo nella nostra stessa nicchia.

Non vidi alcuna differenza tra la sua persona e la satirica figura nella commedia che stavano inscenando.

Quella sera compresi i fronzoli che imbellivano il nostro quotidiano palco scenico.

La notte scrissi.

Il mattino rilessi e feci le valige.

Lasciai Gabriella, il suo palazzo, la follia della nobiltà e ripartii.

Scrissi ad Adele e Tommaso, ma con grande amarezza scoprii che lei si era ammalata e il suo spirito aveva ceduto al richiamo della morte.

Dedico "Antonio e Cleopatra" ad Adele per la sua lungimirante saggezza e a Gabriella per avermi insegnato ancora una volta la frivolezza di una nobildonna annoiata.





~Vittorio Alfieri~

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jan 27, 2019 ⏰

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