Let Me See You

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Let me see you

Harry's POV

Avete mai provato la sensazione di essere soli al mondo?
Ci si sente come un minuscolo granello di polvere al vento, come una piccola goccia di acqua in un'immensa distesa, come il singolo canto di un uccello in mezzo ad uno stormo. Ci si sente irrilevanti, inutili, spenti. Del resto, che differenza può fare una goccia in un mare, un granello di polvere in mezzo ad un'intera distesa di terra o la singola voce di un uccello in mezzo ad una moltitudine? Nessuna.
E ci si sente come trasportati dal vento, dalla corrente, dal resto dello stormo, dagli eventi. Come se nulla avesse importanza, come se nulla di ciò che fai avesse il potere di cambiare il mondo, le situazioni, il corso degli eventi, che si susseguono come fossero scene di uno spettacolo del quale il regista ha perso il controllo.
E' come se la propria presenza fosse qualcosa di estremamente trascurabile, insignificante, qualcosa che nessuno potrebbe notare. Ed allora ti spegni, ti lasci andare, ti chiedi che differenza possa fare agire o meno, a favore o contro qualcosa che, comunque, continua a fare il suo corso, con o senza di te. Che senso ha cantare, se nessuno ti ascolta? Che senso ha scrivere parole che nessuno può leggere? Che senso ha urlare, se sei chiuso in una torre troppo lontana da tutto e tutti, mentre gli altri continuano a far festa?
Eppure, per quanto effimeri i tuoi sforzi possano essere, tu sei qui. Tu vivi, respiri. Il sangue fluisce nelle tue vene proprio come quello di tutti gli altri. E ti inizi a chiedere il perché: perché vivi, se la tua vita è irrilevante? Perché respiri, se il calore del tuo respiro si disperde nel vento come quello di ogni altra creatura? Perché il tuo cuore continua a battere, se quel battito non ha una melodia da accompagnare? E' questo, il punto: che per vivere, respirare, cantare, far sentire la tua voce, devi trovare un senso. L'assenza di un'arpa in una melodia è perfettamente percepibile all'orecchio attento di chi vuole ascoltare. Ed ecco il senso di tutto: devi trovare chi vuole ascoltare la tua melodia. Ed allora sì, qualcuno la noterà quella tua assenza, qualcuno noterà quel tuo spegnerti lentamente, e con cura saprà procurare la legna necessaria affinché il tuo fuoco possa continuare a bruciare, fino a renderlo vivo, alimentandolo fino a renderlo un incendio fuori controllo. E solo allora, la tua voce esploderà come il fuoco in una foresta. E solo allora farà la differenza, perché avrai qualcosa da dire, qualcosa per cui combattere, qualcosa che farà ardere il tuo essere, qualcosa che non credevi potesse esistere, qualcosa che ti farà sentire vivo.
Ed io lo avevo cercato, lo avevo immaginato, sognato. Avevo sperato che arrivasse e mi tirasse fuori dalla mia voglia di lasciarmi andare, dalla mia apatia, dal mio torpore. Volevo che ravvivasse la mia fiamma tiepida, volevo che mi rendesse libero come il vento, volevo che scaldasse il mio essere e la mia anima, alimentando i miei desideri più nascosti e profondi. E lui era arrivato a tirarmi fuori dalla mia prigione. Il mio futuro aveva una voce, e due occhi, due mani calde, un respiro costante e presente.
Ma prima di costruire, è necessario distruggere. E mi sarei lasciato distruggere molto più facilmente, se avessi saputo che lui era come una catarsi, come una purificazione. Dalle mie ceneri sarei rinato, grazie al suo incantesimo.



Ma io questo non lo sapevo, in quel momento. E la mia mente era troppo annebbiata perché potessi anche solo pensare di articolare un simile pensiero. La testa mi faceva male, ed il mio corpo era freddo e dolorante. Ma di quello me ne accorsi solo dopo aver passato diversi minuti ad occhi chiusi, tentando di capire dove mi trovassi. Odori e suoni che non conoscevo, che non mi erano familiari, colpivano i miei sensi, quasi schiaffeggiandomi per svegliarmi da quel sonno nel quale ero crollato. Ero confuso e smarrito, spaesato. Tentai di muovermi, ma qualcosa mi teneva fermo, bloccato a qualcosa che, decisamente, non era il mio letto. Le mie gambe sembravano legate, così come il mio busto. Aprii gli occhi lentamente, ed un raggio di sole mi colpì in pieno viso, facendomi distogliere lo sguardo dal punto attraverso il quale la luce filtrava. Lasciai correre i miei occhi sul mio corpo, per scoprirmi legato a qualcosa che sembrava un giaciglio di paglia e legno, molto rudimentale e neanche lontanamente simile a quello che solitamente chiamavo letto. Ero coperto da qualcosa che sembrava la pelle di un gigantesco orso, almeno tre volte più grande di me, e quando la sollevai, un odore davvero poco gradevole esalò da sotto quella coperta, se così si poteva chiamare. Scoprii, con stupore, che la mia veste, cucita dal mio sarto personale per la festa del mio fidanzamento, era lacerata in vari punti, e sul mio fianco, uno squarcio nella veste lasciava scoperta una ferita che, mi accorsi, faceva molto male, ed era stata ricoperta con una strana sostanza che, a quanto sembrava, era la causa di quell'odore nauseabondo. Voltai il capo, disgustato da quell'olezzo che mi rendeva pari a chi sa quale animale selvaggio in termini di odori, e mi guardai intorno, tentando di capire dove mi trovassi. Dedussi di trovarmi in una tenda, una sorta di capanna rudimentale costruita con pelli di animali e legno, le cui dimensioni erano modeste ma abbastanza da ospitare almeno quattro o cinque uomini tutti insieme. Nell'angolo, un grosso cumulo di armi, scudi e medicamenti era ammassato, accanto ad una serie di indumenti e tessuti che non avevo mai visto prima. All'esterno di quella capanna, una serie di voci di uomini riempiva l'aria, confondendomi ancora di più. Tentai di sollevarmi leggermente, ma quelle corde strette intorno al mio corpo me lo impedirono, causandomi solamente una serie di ulteriori dolori per via delle numerose ferite riportate in tutto il corpo.
"Dannazione!" sibilai fra i denti, tentando con le mani di allentare la stretta di quei nodi che, però, sembravano solo diventare più intricati ad ogni strattone. Mi sarei fatto molto male se una presenza non avesse interrotto quella mia attività: un uomo di media statura, con il viso da ragazzino ed i capelli biondo cenere era entrato nella tenda, portando con sé un'ascia dalla quale colava il sangue di chi sa quale bestia. Lo squadrai, e lui squadrò me, prima di sorridermi con aria beffarda. Lanciò l'ascia in un angolo, aggiungendola al disordine che già regnava in quel luogo, e si avvicinò a me, scoprendomi completamente e facendomi sobbalzare.

"Ma che diamine! Chi sei? E dove sono? Che posto è questo?!" vomitai quella serie di domande in successione, tentando di placare i miei dubbi e di dissolvere la nebbia nella mia mente.

"Aaah buongiorno! Dormi sempre così tanto, principessa?" aveva esclamato il ragazzo, prima di scoppiare in una fragorosa risata che aveva solo aumentato il mio mal di testa.
Aveva usato una lingua che avrei giurato di conoscere, sebbene non fosse la mia, decisamente. Ma avevo già sentito quei suoni, ed ero in grado di capire...mi tornò alla mente ciò che uno dei diplomatici di mio padre mi aveva insegnato da ragazzo: quell'uomo aveva viaggiato in lungo e in largo, conosceva le lingue ed i popoli, ed aveva provato ad introdurmi allo studio di quella lingua che, in quel momento, mi scoprii perfettamente in grado di parlare e comprendere, sebbene non ricordassi a quale popolazione appartenesse.

Allargai le narici per il nervoso e tentai ancora una volta di sollevarmi, senza alcun risultato. Feci uno sforzo per comunicare e tentare di capire e farmi capire.

"Che stai dicendo? Quanto...quanto ho dormito? E chi sei?!"
L'idea di non sapere dove fossi e come mai mi trovassi in quello stato mi rendeva solo più nervoso ed irascibile, ed in più, quello sconosciuto mi sbeffeggiava ridendomi in faccia e chiamandomi principessa.
"Hai dormito per circa due giorni, ed ammetto che inizialmente pensavamo fossi morto, l'ho detto a Zygvarr che non potevi essere morto. Tuttavia, se non ti avessimo curato le ferite, ora probabilmente saresti a far compagnia a Odino nel Walhalla. E... io sono Njall."

"Odino? Wahl...ma che diamine stai dicendo? E chi diamine è Zygvarr? Che cosa è successo"

"Njall! Dovresti portare la legna per...Oh oh, cosa abbiamo qui? Finalmente."

In quel momento, un altro uomo, dalla pelle più scura e dai capelli neri come la notte aveva fatto il suo ingresso nella tenda. Era più alto di quello che aveva detto di chiamarsi...Njall...ed i suoi lineamenti erano più delicati, più simili a quelli dei principi provenienti dal sud che più volte avevano visitato la corte. I suoi occhi erano scuri, come i suoi capelli, ma alquanto attraenti. Avrei giurato che fosse un principe, se non fosse stato per il suo abbigliamento: indossava calzoni di cuoio ed una toga di colore rosso fatta di tela e pelle di lupo che gli arrivava fino alle ginocchia. Tutti quei dettagli sembravano essere per me pezzi di un mosaico che in quel momento non ero in grado di mettere in ordine, e continuavo a guardare tutti quei tasselli come un bambino spazientito.

"Stavo per venire a chiamarti, amico. La principessa si è svegliata, ed è alquanto nervosetta. Non mi avvicinerei troppo se fossi in te."

Il biondo aveva continuato a sbeffeggiarmi con quel nomignolo, e questa volta anche l'altro uomo si era unito a quella risata, mentre i miei muscoli si erano irrigiditi sotto quelle corde strette intorno a me.

"Anche se volesse, potrebbe farmi poco, in questo stato..."
Zygvarr-o almeno così avevo capito si chiamasse- aveva passato lo sguardo sul mio corpo, esposto e coperto di ferite che qualcuno si era preoccupato di medicare, sebbene con metodi alquanto discutibili. Mi aveva rivolto un ghigno beffardo, prima di avvicinarsi al mio giaciglio, osservandomi a braccia conserte dall'alto in basso.

"...tuttavia, devo riconoscere che se fosse in migliori condizioni sarebbe un ottimo guerriero, nonostante il suo aspetto da signorina. Basta guardare le ferite che ha provocato a Louis"

"Oh beh, di certo non è un pappamolle, no, questo no. L'ho visto combattere, quella sera. Louis sarebbe stato nei guai se non mi fossi accorto della situazione!" si era vantato Njall, ripulendo quell'ascia insanguinata che poco prima aveva lanciato nella terra.

Dunque, non ero stato l'unico ad essere ferito- in chi sa quale battaglia poi. Avevo chiuso gli occhi, portandomi le mani sulle tempie ed iniziando a massaggiarle nel tentativo di ricordare e di comprendere. Una serie di immagini attraversò la mia mente, susseguendosi ad una velocità che mi fece venire la nausea: Edmund, Hella, William, mio padre, la festa, il vino, la sua mano su di me...il sangue, le urla. E poi il vuoto. Rimasi ad occhi chiusi, continuando a massaggiarmi le tempie, cercando di ricomporre i pezzi, e ripetei ad alta voce quella serie di informazioni...

"Ferite...combattimenti...Louis..." quel nome...lo avevo sentito, avrei giurato di averlo già sentito da qualche parte... "chi diavolo è Louis?" sbottai nervosamente, stringendo i pugni lungo i fianchi e tendendo i muscoli delle gambe e delle braccia.

"Sono io Louis."

Un terzo uomo era apparso sulla soglia di quella capanna. E tutto mi fu chiaro.

The Rose and the Bleeding StagWhere stories live. Discover now