Morning encounter [One shot]

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Sono in ritardo. Ecco cosa sto ripetendo come un mantra da circa tre minuti, tempo che ho trascorso seduta su una panchina della metro di Londra un attesa dell'unico mezzo di trasporto economico che ogni mattina mi porta al college.

Va bene, se proprio devo essere sincera, devo confessare che questa scena si ripete almeno due volte a settimana, precisamente il martedì e il venerdì, i giorni seguenti al mio appuntamento fisso con il club di lettura del quartiere.
Lo so, fare parte di un club di lettura con altre sei signore della terza età è tutt'altro che cool, ma non rinuncerei mai alla mia tisana ai frutti di bosco e ibisco e alle chiacchiere con delle nonne acquisite. E poi non ho amici, non ancora, dato che questo è il mio primo anno e mi sono appena trasferita nella capitale.

Sono in ritardo. E la metro non si sbriga ad arrivare. Salterò ancora una volta la prima ora, rimarrò indietro in matematica avanzata, mi bocceranno, i miei mi taglieranno i fondi e sarò costretta a tornare a casa sconfitta. Tutto questo perché ieri notte non sono riuscita a chiudere Harry Potter e i Doni della Morte prima di arrivare finalmente all'ultimo capitolo.

Harry Potter è il motivo del mio fallimento nella vita.

Fisso il punto più lontano della galleria e mi aspetto di vedere i fari gialli puntare contro di me, consapevole che troverò il vagone pieno e non riuscirò a sedermi fino a quasi al capolinea, che corrisponde precisamente alla mia fermata.

Ma il non riuscire a sedersi non è nemmeno la parte peggiore. Ogni mattina mi ritrovo schiacciata senza pietà tra gente che odora di spezie e altri cibi di varia natura, nello scenario migliore, e altra che emana odori ben peggiori, tanto che scendendo, temo sempre di aver assorbito tutto quel fantastico miscuglio nei miei vestiti e di doverlo sentire per il resto della giornata.

Per non parlare, poi, degli improvvisi guasti che di tanto in tanto si divertono a dare una scossa alla mia routine e a peggiorare ulteriormente il mio umore, segnato già dalla mia condanna di arrivare in ritardo anche quando esco di casa con largo anticipo.

Stamattina pare che tutto ciò che potrebbe andare storto stia andando storto. Il cartellone elettronico segna improvvisamente dieci minuti di posticipo rispetto al solito orario. Attorno a me la folla sta aumentando, facendomi già sentire soffocare. E io sono in ritardo, maledizione!

Va bene. Devo solo mantenere la calma. Non è la fine del mondo.

Mi guardo intorno alla ricerca di qualcosa di interessante da osservare, qualcuno vestito di dubbio gusto per immaginare un repentino cambio di look diretto e coordinato dalla sottoscritta o una persona qualunque di cui provare a indovinare le abitudini.
Questo è ciò che faccio di solito in situazioni come questa.

Eccola! Sta arrivando!

Scatto in piedi, pronta a correre verso le porte scorrevoli come una leonessa che rincorre una gazzella. Tento di intrufolarmi tra la folla ma vengo irrimediabilmente respinta all'indietro, però non demordo. Continuo a farmi strada fino al mio obiettivo.
Almeno fino a che non sento l'inconfondibile rumore delle mie speranze che si frantumano a terra.

È ripartita prima che io riuscissi a salire. Mi ha lasciata qui insieme a un'altra decina di mancati passeggeri, che ora sono in rivolta. Qualcuno borbotta a proposito della disorganizzazione dei mezzi pubblici, qualcuno impreca perché sta facendo tardi al lavoro. Io sono tentata di arrendermi e chiamare casa per annunciare il mio fallimento riguardo la mia vita da londinese.

Il cartellone luminoso segna ora altri cinque minuti di attesa, cinque minuti che mi costeranno un'altra ora di lezione.

Sbuffo e mi accartoccio su me stessa con i gomiti sulle ginocchia e i polpastrelli delle mani a reggermi il mento. Avrei potuto dormire qualche minuto in più, se avessi saputo cosa mi aspettava. Sono anche uscita di casa in stato pietoso, coprendomi a malapena le occhiaie con del correttore risalente al dopoguerra.

Morning encounter [One shot]Where stories live. Discover now