i don't want children

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Yoongi sbuffò per l'ennesima volta in solo un'ora di lavoro, la testa tra le mani, imprecando contro gli stagisti che avevano nuovamente confuso i documenti sulla sua scrivania, solo per sfogare parte del malessere accumulato negli ultimi giorni.

Lui e Jimin stavano litigando in maniera così furiosa e costante che quella mattina il maggiore si era alzato dal letto senza trovare suo marito a fianco, e in cucina non c'era un biglietto, sul tavolo o attaccato al frigo, che avvisasse di dove fosse andato; non aveva nemmeno preparato il caffè com'era solito fare.
Era sparito, e Yoongi, troppo orgoglioso, non lo aveva chiamato per sapere come stesse.

E tutto per cosa?, continuava a chiedersi il corvino con rabbia, per cosa? Solo perché non voleva firmare dei moduli per essere inseriti nella lista delle famiglie adottive. Aveva spiegato, davvero, ci aveva provato con tutto sé stesso, a Jimin che, nonostante i tre anni di matrimonio, lui non si sentiva pronto, certo che, senza una degna figura paterna da bambino, non sarebbe mai stato un bravo padre.

Si alzò dalla sedia girevole e prese a camminare in maniera nervosa per il suo ufficio: più che arrabbiato, era terribilmente spaventato. Aveva paura che Jimin lo avrebbe abbandonato, lasciato solo dopo tutti quegli anni, tra fidanzamento, convivenza e matrimonio, passati insieme, privandolo dell'aria di cui aveva bisogno per respirare, del motivo stesso della sua vita. Se suo marito se ne fosse andato, Yoongi non sarebbe più stato in grado di vivere con sé stesso.

Quasi avesse avvertito quella profonda disperazione, il suo telefono prese a squillare, mostrando sul display il nome di Jimin.

«Pronto?»

«Yoongi!» la voce del minore sembrava stentata, il suo respiro affannoso «Sto andando in ospedale.»

«Cosa?!» il corvino dovette appoggiarsi alla scrivania per non cadere: uno strano formicolio si era impossessato del suo corpo, la testa gli girava, tutta l'aria si era bloccata nel suo petto e premeva contro il suo cuore distrutto da quelle poche parole.

«Mi ha chiamato Taehyung, ha avuto un incidente, niente di grave, sto andando a vedere come sta. Mi chiedevo se potessi passare a prendere Hyemi a scuola, Tae mi ha chiesto se potessimo tenerla noi...»

Stava bene. Suo marito stava bene, grazie al cielo. «Certo, certo io... Dio, Chim, pensavo che tu...» le parole di Yoongi si ruppero. Era sempre stato il più sensibile ed espansivo, tra i due, e nemmeno in quell'occasione era riuscito a trattenersi.

«Oh, no Yoon...» il tono del biondo si era calmato, abbassato, addolcito, forse, pensò il maggiore, si era reso conto di essere stato troppo brusco. «Io sto bene, amore, stai tranquillo. Ci sentiamo dopo?»

«Certo. Ti amo.» nonostante le liti, Yoongi non si sarebbe mai stancato di ripeterlo.

«Ti amo anch'io.»

La giornata lavorativa del corvino si concluse per le quattro, orario dopo il quale mise via i numerosi documenti su cui ancora doveva lavorare, insieme al suo portatile, e, indossata la giacca, uscì dall'ufficio senza dare spiegazioni alla sua segretaria. Quello, il fatto di potersi stabilire autonomamente gli orari di lavoro, era forse l'unico vantaggio dell'essere a capo di un'azienda.

Durante il tragitto verso la scuola elementare si domandò se Jimin avesse avvisato le maestre, e di conseguenza quella che consideravano come la loro nipotina, del fatto che Taehyung non sarebbe andato a prenderla, ma l'espressione sorpresa della piccola Hyemi, accompagnata dal sorriso rettangolare che aveva ereditato dal padre, gli fece comprendere in fretta la risposta.

«Zio Yoongi!» la bimba gli saltò addosso, allacciandogli le braccia intorno al collo, e l'uomo la abbracciò con tenerezza, prima di poggiarla a terra e mettersi il suo zaino rosa in spalla.

I don't want children - {Yoonmin}Where stories live. Discover now