Capitolo Tre.

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𝑇𝑟𝑒𝑦

Non seppi con esattezza quanto tempo avevo dormito, però immaginai fossero trascorse diverse ore, forse troppe, dall'ultima volta che avevo focalizzato qualcosa di reale, ovvero quella ragazza bionda.

Quando riaprii gli occhi mi ritrovai all'interno di una stanza tutt'altro che sciatta. Ogni cosa era al suo posto in quel momento. Le pesanti tende rosse erano tirate e lasciavano entrare la luce arancione del sole ormai prossimo al tramonto, pensai. Mi alzai da quel letto morbido e, passandomi una mano sul viso, mi avvicinai alla finestra. Come immaginavo, il sole stava tramontando e l'acqua della piscina si era colorata di un leggero arancione. Era da tanto che non avevo una visione del genere ed era rilassante, ma sentivo ancora la testa girare.

«Che cazzo avevo bevuto?» dissi tra me e me, «ma, soprattutto, che fine avevano fatto Dylan e Austin?»

Ripensando a quei due, mi precipitai fuori dalla stanza, imbattendomi nel lungo corridoio e ricordandolo leggermente diverso dalla sera prima. Ero intenzionato a ritrovarli, ma non sapevo da dove cominciare, così iniziai a cercare la rampa di scale, perché ero sicuro di aver percorso diversi piani qualche ora prima, eppure non trovai ciò che cercai.

Quel corridoio mi sembrava infinito, ma finalmente raggiunsi l'uscita e mi ritrovai davanti alla piscina, ancora affollata di gente.

Ciò che ebbi davanti non era minimamente mutato: le ragazze erano coperte solo dai bikini e reggevano ancora bicchieri colmi di sostanze colorate. Poco prima di raggiungere un gruppo di ragazzi intenti a fumare, una ragazza mi porse un bicchiere colmo di una sostanza rossastra ed ero sicuro di aver già vissuto una situazione del genere, così rifiutai e la cosa parve infastidirla leggermente, ma non le badai.

Raggiunsi il gruppetto di ragazzi e, come speravo, vi trovai Austin, impegnato a fumare una canna e a ridere come un pazzo. Lo afferrai per il colletto della maglietta e lo trascinai violentemente lontano da lì.

«Dov'è Dylan?» gli domandai, ma avrei dovuto immaginare che non avrei ricevuto risposte sensate.

Era fuori di testa e Dio solo sapeva cosa accidenti stesse fumando.

Gli strappai la canna dalla bocca e la distrussi sotto alla scarpa, costringendolo poi a seguirmi nuovamente all'interno dell'hotel.

Mi soffermai qualche istante ad ammirare quello strano edificio e lo trovai notevolmente diverso dalla sera prima. Era immenso, decine e decine di finestre si affacciavano sulla piscina, ma, contrariamente a quanto ricordavo, si ergeva tutto su un piano.

Mi voltai di scatto, intento a ritrovare la via che mi avrebbe condotto all'entrata, ma era così pieno di gente che a stento riuscivo a vedere oltre le loro teste.

E, comunque, anche se avessi trovato la via d'uscita, non me ne sarei andato senza Dylan.

Entrammo nell'hotel e ora, su entrambi i lati di quel lungo corridoio, vi erano diversi tavoli colmi di cibo e sostanze alcoliche. Austin stette per avvicinarvisi, ma lo ritrassi nuovamente, afferrandolo per il collo e dandogli un leggero pugno sul braccio.

«Amico, che problemi hai?» sbottò, guardandomi torvo ed intravidi nei suoi occhi uno strano luccichio. La sbronza non gli era ancora passata, era evidente, ma non avevo alcuna intenzione di vederlo peggiorare davanti ai miei occhi.

Scostai per un attimo lo sguardo da lui per posarlo avanti a me ed inquadrai proprio ciò che, inconsciamente, stavo cercando.

Una ragazza dai lunghi capelli biondi stava animatamente discutendo con un'altra ragazza, sicuramente ubriaca fradicia, e, sebbene non riuscissi ad inquadrare a pieno il suo viso, capii che fu la stessa bionda che la sera prima mi aveva fatto quel discorso intimidatorio sul luogo nel quale mi trovavo.

The JourneyWhere stories live. Discover now