Giapponese, serie B

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Introduzione

"Vizio idiota"
La voce di Midori attraversa gli anni: rivedo mia madre indicare la direzione del bancone al quale sta seduto un uomo, debole e col sigaro tra le dita. Proprio l'ultima cosa di cui avevo bisogno, un falso e impenitente stronzo giapponese di serie A. Io lo guardavo senza veramente vederlo, e poco dopo aprivo la finestra della mia stanza sulla nebbia di Sapporo, aspirando a pieni polmoni non solo l'umidità autunnale ma la prima boccata di una sigaretta. Ne traevo piacere, mi sentivo rassicurato nella mia convinzione che non sarei mai cascato nello stesso trabocchetto dell'uomo e, visto che non mi era piaciuta affatto, pensavo di poter interrompere il processo. All'inizio non osavo aspirarla e, se ne fumavo troppe mi girava la testa e mi veniva la nausea. Tutto quello che desideravo era buttare via quella schifezza. La ragione per cui ho continuato? Certe situazioni non sarebbero state più le stesse, credevo che la nicotina mi avrebbe aiutato.
Sono passati oltre nove anni dal mio primo tiro, nove anni di bugie, di veri o finti tentativi di smettere, tutti comunque falliti. Sono passati oltre nove anni dalla morte di quel malato impenitente stronzo giapponese di serie A, mio padre.
"Buon per te e che ti serva di lezione" disse Midori la sera di quel triste martedì indicando le cicche sul vecchio pavimento "Giapponese di serie B". E se ne andò con il passo pesante e qualche anno di troppo.
Insomma, che ci crediate o meno, la mia vita è qualcosa di più sottile della caricatura che vi sto proponendo ora. Talmente impercettibile per un giapponese di serie B come me che quasi fatico ancora ad accorgermene. Sono un tipo così. Il che non mi infastidisce, intendiamoci. Ma di Koyama Midori, che passava il tempo a masticare pelli e sputare veleno l'un sull'altro, ne avevo le tasche piene. Così piene che un ufficiale avrebbe potuto pensare che facessi parte di una qualche importante e ricca associazione di serie A, per capirci. Eppure, nonostante avessi sempre cercato di ignorarla, quella sera risi di lei. Una vittoria di Pirro certo, probabilmente ero stato avvelenato anche io da tanta arroganza e Midori avrebbe trovato il modo di farmela pagare abusando del suo potere da madre, ma che cazzo, ne era valsa la pena. Jeon sei proprio uno scemo mi dicevo. Ma ero felice. Anzi, non ero stato mai così euforico come in quel momento. Scossi la testa alzando gli occhi al cielo richiudendo con un pesante tonfo la porta alle mie spalle. Mia madre, quella donna misteriosa e bigotta, era sempre stata un grande tarlo. Con quell'atteggiamento, tanto fastidioso quanto stranamente amabile tipico delle donne giapponesi, mi aveva portato letteralmente all'esasperazione e l'avevo persa per davvero a causa del mio sporco masochismo. Non poteva neanche immaginare come si sentisse un autentico fumatore giapponese di serie B ad essere suo figlio. Magari ti diceva ti capisco, col più docile dei sorrisi ma si curava solo e sempre di quello che la gente avrebbe potuto pensare di noi. Per anni tutto andò secondo i suoi piani, e io avvertivo istintivamente che era meglio così. Quindi, sebbene fossi rifiutato dai suoi colleghi in quanto figlio adottivo, io mi godevo la vita delle cose più semplici e banali. Infondo, era troppo tardi per cambiare, la cosa faceva già parte degli eventi irreparabili. Uno più di tutti.
Era stato un sabato. Come un cliché e dopo una lunga serie di estenuanti trattative che l'avevano convinta a rassegnarsi al mio essere sadico, una sera d'inverno Midori mi lasciò definitivamente sullo stesso pavimento sul quale qualche mese prima raccoglieva la cenere della pipa di Kato.
"Hokkaido ti piacerà. Conosci il detto: clima freddo, sangue caldo". E si spense.

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