La terra del silenzio

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ɴᴇɪ ᴍᴇᴅɪᴀ : ᴋɪʟʟ ᴏᴜʀ ᴡᴀʏ ᴛᴏ ʜᴇᴀᴠᴇɴ, ᴍɪᴄʜʟ

1.

Durante le vacanze del mio secondo anno di università, girovagando per Hokkaido ebbi la fortuna di conoscere un ragazzo di quattro anni più grande di me. Normalmente l'istinto mi suggerisce di evitare automobilisti sbronzi e anche Midori a suo dire, li aveva sempre descritti come lo stereotipo di Clint Eastwood, dai mezzi pieni di granate e i giubbotti polverosi. Ricordo però che quella sera l'oscurità stava cominciando a calare sul ponte e io, a corto di benzina, decisi di fare un eccezione.

"Il catorcio è rotto?" mi chiese ridacchiando con il dito puntato verso il veicolo. Feci una smorfia.
"Mi sarei dovuto fermare al primo benzinaio"
Il ragazzo portava un berretto di cotone sciupato che, non si sa come, con il tempo aveva perso i suoi attributi. Aveva un viso allungato, con qualche lentiggine e un sorriso disteso che lo illuminava. Se ne stava a bere birra al fianco dei distributori del ponte superiore poiché i locali, a quell'ora, erano già chiusi.
"Fumi?"
"Si, ne vuoi una?"
"No grazie. Fumo le mie. Magari più tardi". Così accesi la cicca e tirai. Se anche io, come mio padre, fossi morto a causa del fumo non avrei potuto lamentarmi ma dopotutto avevo bisogno di rilassarmi ed evitare di pensare alla situazione in cui mi trovavo. Non che mi gravasse poi così tanto, l'auto era a noleggio e del resto, avrei potuto fare una chiamata con la scusa di aver avuto un guasto.
"Hoseok. Coreano mancato e, senza vergogna-,"
"Giapponese di serie B. Sono Jungkook"
Sospirai. Se non altro, non sarei rimasto a piedi in quell'enorme piazzale sul ponte. O almeno era quello che speravo. Hoseok non rispose, le sue spalle distese, sembrarono irrigidirsi per un attimo. La luce fioca di un sottile spicchio di luna proiettò sulle sue guance l'ombra delle ciglia, scosse da un sussulto che non riuscii ad interpretare. Che non gli andassi a genio? pensai. Lui, in tutta risposta, guardò per un po' la birra che sventolava davanti al naso, dopodiché le sue palpebre tremarono e, trangugiando, distolse lo sguardo.
"Andiamo, ti offro un passaggio"

Da lontano, seduto su quella motocicletta, il cielo era così nero da mettere i brividi. Il rombo del motore era chiaro nel silenzio della notte e io teso, ammiravo il ponte come se fosse sospeso nel vuoto. L'aria gelida si scontrava violenta contro di noi e muoveva incessante le nostre magliette fin troppo leggere. Il rosso portava dei pantaloni larghi e una maglia gialla, un po' scolorita, che lasciava intravedere i lineamenti del corpo. A poco a poco finii per rilassarmi contro la sua schiena anche se, a dire il vero, non era stato del tutto sufficiente a ripagare dell'imbarazzo e del giramento di testa che ne seguì. Hoseok se ne stava seduto con lo sguardo fisso sull'asfalto, azzardando con le curve e i lunghi rettilinei, ogni tanto affondando le dita sul freno e sgommando fino a fermarsi.
"Scusa" aveva detto alla quinta sgommata "farò più attenzione". E dopo qualche minuto rallentò avvertendomi che di lì a poco saremmo arrivati a destinazione. Dove ci stessimo dirigendo, ancora non lo sapevo. Al pensiero di rivedere Sapporo, mi sentivo tutto sottosopra e gli feci sapere che qualunque altro posto sarebbe andato bene.
Come un razzo dentro una galleria del vento, ci lanciammo sull'uscita dell'autostrada e percorremmo tutta la costa liberi dal controllo automatico della velocità di crociera. Un faro a strisce bianche e rosse sbirciava sopra le piccole colline e le strade, spazzate dalla sabbia, parevano essere disabitate.
"Mi piace qui" proferì il rosso togliendosi il casco in carbonio e affrettandosi a spegnere la motocicletta.
"Calma la mente".
La piazzola in cui aveva abbandonato la sua moto, sembrava una piccola piattaforma di un telescopio per guardare le stelle.
"Che bella vista". Ma non serviva. Me ne stavo lì nella brezza di marzo, guardando la notte farsi più intensa e le luci più vivide quando Hoseok scivolò di fianco a me con una sigaretta appena confezionata.
"Il suono di Obira" disse fissando il mare "Il suono di Obira, ascolta".
Il mio momento di apprezzamento iniziò con un tonfo, la musica cominciò. Ci aggredì. Esplose. Mi prese a schiaffi senza ritegno. Era più sfrenata dei tamburi logori di Kato, più gioiosa e folle.
Disabituato all'ascolto tesi l'orecchio e seguii il liquefarsi della mia mente, volenterosa ad imparare l'assurdo.
Ero vivo. Vivo in quella indescrivibile serenità e con lo sguardo accesso su ogni dettaglio. Lì non c'era anima viva. L'insenatura rifletteva brillanti fiumi di luce che si snodavano tra un vicolo e l'altro mentre il silenzio ovattato galleggiava sul porto come una sola grande nuvola. Chiusi gli occhi e nel buio mi immersi un po' nei ricordi. Cercai di ricordarmi quando avevo visto l'ultima volta quel posto. Possibile che lo avessi già visitato? La veduta me la ricordavo, il rumore sordo del mare abbattersi contro le scogliere mi sembrava molto familiare. Quello che proprio non riuscivo ricordare era il periodo e l'occasione. Sulla superficie dell'acqua sembravano fluttuare i petali dei fiori, isolette rinate dal freddo inverno che venivano continuamente trascinate a riva e poi, nuovamente, tra le onde. Un assurdo tira e molla.
"Ti mostro una cosa". Il rosso, distogliendomi dai pensieri, tirò fuori dalla tasca dei jeans un taccuino, lo aprì all'ultima pagina ed estrasse una fotografia non più grande del palmo di una mano, perfettamente conservata. Un immagine in bianco e nero per via del tempo: un ragazzo in uniforme, capelli corti e sorriso a cuore. Sullo sfondo lo stesso paesaggio che si stagliava davanti a noi.
"Ti somiglia"
"Ci mancherebbe, avevo dodici anni" rispose lui sorridendo.
"Cosa ci facevi a Obira?"
"Sono scappato, non ero ancora pronto a morire. Seoul era dannatamente noiosa per uno come me. E poi, questo è il mio posto felice. Devi ringraziare la tua auto di essere esplosa"
Hoseok era uno strano tipo. Me ne rendevo conto sempre di più man mano che imparavo a conoscerlo. Di persone strane ne avevo incontrare a bizzeffe nella mia vita, ma nessuna più strana di lui.
"Con questo non voglio dire che non mi fido delle città in assoluto. È solo che non vorrei sciupare il mio tempo come un normale moccioso"
"Sarei un moccioso?"
"Che importa. Mi piaci"
Cercai di fare un rapido calcolo. Si sarebbe potuto pensare che quella osservazione gli costasse un certo sforzo, ma in realtà sono sicuro che gli riuscisse piuttosto naturale. Aveva una vena affettuosa, un talento particolare nel riuscire a mettere a proprio agio le persone. Esattamente ciò che a me mancava. Per questo, quando parlavo con lui mi sentivo molto più stuzzicante. Tuttavia, non riuscivo a capire perché un tipo come lui, volesse sprecare del tempo con uno come me. Io ero uno di quei ragazzi con la mania per la lettura e le sigarette, e a parte le nostri origini comuni, non avevo nulla di speciale. Era fatto così a dirla tutta, nulla a che vedere con il sottoscritto. Se gliel'avessero chiesto, avrebbe risposto che la sua vita sarebbe dovuta cambiare in qualche modo. Eppure, anche dopo mesi dal nostro incontro, continuavo a non capire il motivo della sua improvvisa fuga.

Tutto ciò che Hoseok mi raccontò su di lui inizialmente, fu che la danza lo avrebbe portato lontano.
"Dove hai imparato?" chiesi una volta.
"Nelle cascine, a Obira, la gente guardava fiorire le betulle in primavera e stizzire l'inverno successivo. Io avevo trovato in alcune di quelle case abbandonate, una passione da coltivare e far fruttare anche nella stagione fredda" disse lui versando due dita di vino nel calice e assaporandolo lentamente.
Seduto di fronte, ascoltavo immobile con una sigaretta spenta tra le labbra.
Serata di inizio aprile, dopo le nove. A quell'ora, di solito Hoseok aveva già chiuso il locale da un pezzo. Non c'era che spegnere le luci e chiudere. Ma il ragazzo aspettava, il bancone l'aveva pulito così come tutto il resto.
"Mi sono iscritto in accademia"
"E dove sarebbe di preciso, quest'accademia?" chiesi posando la sigaretta sul bordo del tavolo.
"A qualche chilometro da qui"
"E mollerai il locale?"
"Posso gestire entrambe le cose" quindi, come se stesse esaminando un prezioso diamante, mutò più volte l'inclinazione del bicchiere. Io, ero talmente stupito che non riuscii a dire nulla. Hoseok, era determinato a voler diventare un coreografo di professione. La sua dedizione era assoluta e gli sembrava che, nella visione più positiva dei fatti, avrebbe provato le gioie per cui val la pena di vivere. La sua esistenza sarebbe stata un'opera d'arte, bella e di valore. Comunque, su di me, quella dichiarazione ebbe l'effetto di aumentare ancora di più la mia ammirazione nei suoi confronti.
"A volte mi convinco che ballare, sia una pista falsa. Capisci cosa intendo?"
Annuii con un cenno.
"Ultimamente lo penso spesso e mi getta nella preoccupazione. Sono assillato da dubbi e nulla di quello che avevo programmato sembra essere realizzabile. E se penso invece, a tutto ciò che ho sprecato per arrivare qui, vorrei buttarmi sul letto e non svegliarmi mai più. Mi da alla testa"
"E quando balli?"
"Quando ballo?" chiese Hoseok interdetto.
"Quando balli a cosa pensi?"
"A niente"
"Io ho una certezza," dissi spostando lo sguardo dalla sigaretta al ragazzo "Sei sulla giusta strada. Non dico balle"
Hoseok rimase in silenzio qualche secondo.
"Sei sicuro di quello che dici?"
"Ne sono assolutamente convinto, la mia filosofia è che lasciare andare tutto è la cosa più sbagliata che tu possa fare. Se ti rende quello che sei oggi, non è proprio il caso di smettere"
Ci fu una pausa in cui nessuno dei due parlò. Poi ripresi "Ricordati di me quando sarai un uomo occupato, mi annoio facilmente"
Hoseok allungò un braccio della mia direzione e dolcemente mi scompigliò i capelli con la mano morbida, leggermente fredda. Mi promise che saremmo usciti spesso, e come le nostre tante promesse, uscimmo davvero.

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