4. Ne resterà soltanto uno

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Limes guardò la fila di candidati celando ogni pensiero dietro uno sguardo professionale. Doveva ammettere, almeno a se stesso, d'essersi sbagliato: non era la peggior marmaglia in circolazione. Almeno un paio si salvavano, non tra i parenti dei suoi sottoposti ma poco importava.

«Bene, signori, ora io e i miei colleghi ci riuniremo per discutere le vostre candidature...»

«Tutto qui?» Era stata la ragazza a interromperlo.

Chiuse gli occhi per non aprire la bocca: cosa pretendeva? Doveva già essere contenta che l'avessero fatta entrare, una con quel corpo era più adatta ad altri mestieri.

«L'ordinanza di assunzione emanata dal Governo dei Tre Regni impone che i ruoli istituzionali non solo vengano assegnati per pubblica affissione ma anche attraverso una regolare selezione attitudinale.»

Limes fece un lungo sospiro. Curve da cortigiana, lingua da avvocato, per quale insano motivo voleva un posto da boia? «Certo, signorina, lo so bene. Infatti ora io e i miei colleghi andiamo a preparare le prove, per la selezione.»

La donna non parve convinta ma non poté ribattere.

Il Capitano sorrise, e con un cenno ai suoi s'infilò nel suo ufficio.

«Abbiamo delle prove?» chiese allarmato il Sergente, non appena ebbero chiuso la porta alle loro spalle.

«Le avremo, se non vogliamo che quella donna ci procuri qualche guaio. Hai visto il suo sguardo?»

«Capità, lei solo ha guardato gli occhi!» ridacchiò Polporo.

«Basta! Questo poco importa, ha comunque ragione lei. E poi avremmo dovuto farlo lo stesso, non voglio fare preferenze tra i vostri parenti e un modo per scegliere la persona giusta bisognava pur trovarlo.»

«Beh, Capità, quello giusto è chiaramente il gigante. Mio cugino è un brav'uomo ma quello pare nato boia, non c'ha manco bisogno dell'ascia, li fa secchi di paura.»

«Tu vuoi davvero un negro come collega?» sbottò Limes.

«No, io ci vorrei mio cugino, ma...»

«E allora dimmi qual è, tuo cugino.»

«Ulmo.»

«Non me lo ricordo, qual è?»

Polporo ridacchiò ancora: «Eh, lui fa sempre 'sto effetto qui, c'ha una faccia che non la ricordi mai.»

«Sì, va bene, e il tuo qual è» chiese rivolgendosi all'appuntato Martinuzzo.

«Ulmo» sillabò quello.

«Lo stesso Ulmo?»

Martinuzzo annuì. Polporo strabuzzò gli occhi: «Ma dai, siamo parenti allora! Vieni qua, cugino!» e, senza aspettare una reazione del collega, l'abbracciò.

Limes alzò gli occhi al cielo e si rivolse al Sergente, che pareva sempre più frastornato: «Il tuo è Cordo, vero?»

«Come?»

«Tuo cugino... no, cognato, è quel Cordo, vero? Ho riconosciuto il tuo indottrinamento.»

«Sì, Capitano, è lui.»

«Bene, mi pare parta avvantaggiato rispetto a...» si voltò: Polporo stava ancora abbracciando Martinuzzo «Sì, insomma...»

«Ulmo» intervenne il Sergente controllando i suoi appunti.

«Sì, quello.»

«Forse, Capitano, ma è sicuramente svantaggiato rispetto al salleziano. E anche quel Meridio Appio, la Falce d'Acciaio, mi pare un buon candidato.»

«Vero, piace anche a me. Ma tranquillo, faremo in modo che smetta d'esserlo. Ora andiamo, facciamo fare una gita ai nostri ospiti, intanto ci verrà in mente qualcosa.»

Il Capitano Limes imboccò nuovamente la porta. Nella mente gli vorticava un universo di improperi e maledizioni, che saettavano tra i dubbi, ma si stampò in faccia la miglior espressione da Capitano di cui disponesse e dichiarò: «Signori, seguiteci, la selezione ha inizio, e quando avremo finito ne resterà uno solo.»

I sette candidati erano nella medesima posizione in cui li aveva lasciati, e al comando si disposero in buon ordine alle sue spalle. Il Sergente si mise in coda al corteo insieme agli appuntati: Polporo stava ancora stringendo le spalle a Martinuzzo.

«Signori, stiamo per entrare nel cuore della Guardia Carceraria, quello che noi chiamiamo il Miglio Verde. È un nome bizzarro, lo so, dato che non c'è nulla di verde, le cui origini sono andate perdute ormai da secoli, ma ancora lo usiamo per riferirci al braccio della morte» e con un gesto piuttosto teatrale aprì una porta.

I sette candidati lo seguirono all'interno di una lunga stanza, illuminata da due strette feritoie e una torcia sulla parete d'ingresso: dentro solo due vecchie sedie occupavano l'angusto spazio antecedente le otto celle.

I cubicoli, delimitati da pareti ammuffite e da spessi tondini di ferro, erano bui e sudici, e un inconfondibile fetore di piscia ne permeava ogni mattone.

Qualcuno trattenne un conato di vomito e il Capitano Limes memorizzò mentalmente i colpevoli. Florio stava facendo lo stesso sul suo taccuino ma lo vide fermarsi: avrebbe dovuto appuntare il nome di suo cognato, oltre a quello del cugino degli appuntati.

«Qui dentro i condannati trascorrono gli ultimi giorni in attesa del boia» continuò il Capitano, facendosi da parte in un gesto che era chiaramente un invito a fare una passeggiata tra le celle.

I più parvero accogliere di buon grado la sfida. Meridio e Karina furono i primi ad avanzare, seguiti a ruota da Willam Bordo, il padre di famiglia. Non che questi ci tenesse ad essere in prima fila, ma era rimasto schiacciato tra la donna e il gigante salleziano che gli era dietro. Chiudeva il corteo il piccoletto dall'aria omicida. Cordo e Ulmo non si erano mossi.

«Come potete vedere a questi bastardi non risparmiamo proprio nulla, anzi, ci impegniamo affinché i loro ultimi giorni su questa terra siano il peggio possibile.»

Stava per sottolineare il concetto con una risatina maligna, ma fu interrotto.

Un braccio lurido emerse dal buio della cella due: con un gesto fulmineo tentò d'agguantare Karina, ma la giovane fu svelta a evitarlo e tra quegli artigli finì Willam Bordo.

L'uomo, tirato con violenza contro le sbarre, provò a gridare, ma quando dalla grata vide emergere il volto osceno di Zuccasicci, ingoiò ogni parola.

Il condannato, invece, non si trattenne: «Ora, carogne, aprite la gabbia o giuro su Babuz che cavo gli occhi a questo scemo e poi me li mangio.» 

Boia chi restaWhere stories live. Discover now