30 - CONDANNA E REDENZIONE

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L'inserviente strinse i denti e con fatica si sfilò la cintura dei calzoni sporchi di sangue. Ansimante e dolorante me la porse come fosse un manufatto dal valore inestimabile.

«Cosa dovrei farci?» domandai titubante.

«Devi legargli i polsi prima che riprenda conoscenza.» Si fermò a riprendere fiato. «N-non vorrai di certo... c-che se la dia a gambe dopo tutta la fatica... c-che abbiamo fatto?» Tossì e non potei fare a meno di guardare gli orrendi sfregi sul suo volto tumefatto: l'occhio destro era coperto da un rigonfiamento violaceo, mentre l'altro aveva la sclera vermiglia; gli zigomi, le labbra e il mento erano pieni di ecchimosi e tagli, a completare come delle disturbanti pennellate una macabra opera d'arte.

«Certo che no!» Afferrai la cintura e mi avvicinai al direttore. Lo misi a pancia in giù e mi affrettai a legargli i polsi ben stretti. «Sai», riflettei una volta assicuratomi che non potesse liberarsi in alcun modo, «se non fosse stato per il tuo intervento...» Sospirai nel rivedermi ancora una volta in bilico sul cornicione. «Avremmo fatto di sicuro una fine orribile.»

«Non pensarci più, Noah.» Mi arruffò i capelli con la mano illesa. «Adesso è tutto finito e quando si risveglierà sarà dietro le sbarre.» Accennò un sorriso ricco di sofferenza.

«M-ma come facevi a sapere che avevamo bisogno di una mano?»

«Faccio ancora fatica a crederci, ma è stata Amanda a dirmelo.» Si strinse nelle spalle.

«Amanda?» ripetei stupito.

«Già» affermò pensieroso. «E-ero andato a farle visita. Sai, per assicurarmi che non le mancasse nulla. Parlando del più e del meno, di punto in bianco, iniziò a comportarsi in modo strano. N-non l'avevo mai vista fare in quella maniera.» Si fermò per via del dolore. «A un c-certo punto ha rovesciato gli occhi come se... fosse piombata in uno stato catatonico. È durato una manciata di secondi e quando si è ripresa ha cominciato a dire con insistenza che tu e Mia eravate... i-in grave pericolo e che dovevo raggiungervi sul terrazzo dell'ospedale.»

«Come faceva a sapere che eravamo qui?» chiesi interessato.

«M-mi stai facendo veramente questa domanda? Proprio tu?» ribatté divertito e la risata gli provocò un'ennesima fitta dolorosa. «S-so soltanto che... ho pensato che il coma le avesse fritto in qualche modo il... cervello. I medici mi avevano accennato che ci sarebbe stata questa possibilità, tuttavia, quando sono arrivato al quarto piano e ho visto il poliziotto di guardia privo di conoscenza, mi sono messo a correre come un matto per raggiungervi. Il resto è storia.»

«Da non credere. Tua figlia possiede un dono proprio come me. Appena questa storia sarà finita proverò a capire come sia potuto accadere.»

«Sei il solo che può riuscirci.»

«Noah!» Ricomparve Mia in compagnia dell'agente di guardia e di un medico. «Per fortuna state bene, abbiamo contattato la polizia. I soccorsi saranno qui a momenti.» Mi venne incontro e mi abbracciò. «Ho temuto di perderti» mi sussurrò in un orecchio.

«Anche io.» La strinsi forte.

«Ma che cos'è successo quassù?» domandò il poliziotto con lo sguardo ancora inebetito. «Non riesco a ricordare nulla. Qualcuno deve avermi tramortito in qualche modo.» Cercò di fare mente locale, grattandosi il capo.

«Dev'essere stato quello squilibrato» ipotizzò con freddezza l'inserviente, impegnato a farsi medicare le ferite dal dottore. «Ma non si preoccupi, d'ora in poi non farà più male a nessuno.»

Quando le autorità ci raggiunsero sul terrazzo non persero tempo e ci domandarono come si erano svolti i fatti, perciò passammo tutta la notte a raccontare ogni cosa dal principio. Spiegammo al detective che la sera precedente avevamo trovato il diario del defunto Alejandro Ramìrez nella guardiola e che, essendo scritto in spagnolo, nel pomeriggio eravamo andati in biblioteca per tradurlo. Lì avevamo scoperto che il guardiano aveva visto la dottoressa Mason uccidere una paziente senza nome dell'ospedale e che quest'ultima lo aveva costretto al silenzio, minacciando di fare del male alla sua famiglia. Una scoperta che ci aveva obbligati a chiedere l'aiuto del direttore Moore per farla arrestare. Per forza di cose dovemmo stravolgere le dinamiche con cui avevamo raggiunto il terrazzo, poichè era più che comprensibile che le nostre parole avrebbero perso totalmente di credibilità se avessimo accennato di un'entità paranormale che, mossa dalla sua vendetta, aveva posseduto la responsabile del reparto di terapia intensiva per costringerla a gettarsi da oltre quindici metri d'altezza. Ragion per cui dichiarammo una versione alternativa e più plausibile, dove eravamo stati noi ad attirare con l'inganno la donna sul terrazzo, con la speranza che una volta ritrovatasi sul luogo del delitto avrebbe confessato l'omicidio. Regina Mason a quel punto rivelò di non aver ucciso la paziente, ma di essere solo la complice del vero assassino. La convincemmo quindi a confessare tutto alla polizia, ma venne messa a tacere dal direttore Moore con un colpo di pistola. Divenne palese che il vero assassino dietro le quinte era sempre stato lui e che saremmo stati le sue prossime vittime, essendo i soli rimasti in vita a conoscere la sua colpevolezza. Certo di avere la situazione ormai in pugno, confessò tutto quello che aveva dovuto fare per mantenere sepolto l'omicidio della paziente sconosciuta, ovvero Aurora Miller. Per prima cosa aveva inscenato, con l'aiuto della dottoressa Mason e con l'omertà del vecchio guardiano notturno, che la donna aveva deciso di togliersi la vita gettandosi dal terrazzo dell'ospedale. Successivamente aveva fatto lo stesso con Alejandro Ramìrez, quando quest'ultimo gli aveva rivelato che aveva intenzione di confessare tutto alla polizia. Spiegò di averlo convocato nel suo ufficio, di averlo messo fuori combattimento con un sonnifero e infine di averlo gettato dal terrazzo proprio come aveva fatto con la paziente. A quel punto era chiaro che il direttore Moore ci avrebbe uccisi sfruttando lo stesso modus operandi, conscio del fatto che in seguito sarebbe riuscito a farla franca distorcendo per la terza volta i fatti. Letteralmente a un passo dalla morte intervenne Larry Hall. Quando il detective gli chiese come facesse a sapere che ci trovavamo sul terrazzo, diede una versione dei fatti più che accettabile, omettendo la premonizione avuta da sua figlia. Dichiarò che si era insospettito non vedendoci tornare dall'ufficio del direttore e che, dopo esserci venuti a cercare prima nella guardiola e dopo nel reparto di terapia intensiva, aveva deciso di recarsi al quarto piano. Tuttavia, trovando il poliziotto svenuto ai piedi delle scale, si era subito precipitato sul terrazzo.

A questo punto sono costretto ad aprire una piccola parentesi spiegando che il detective se la prese duramente con l'agente di guardia per non essere stato abbastanza vigile. Quest'ultimo, in sua discolpa, ribadì per l'ennesima volta di non ricordare come fosse stato tramortito. Difatti non presentava alcun livido che dimostrasse un colpo in testa. A tal proposito il capo delle indagini, grazie a una più che brillante intuizione derivata dalle nostre informazioni, decise di sottoporlo a un esame tossicologico nell'eventualità che si riuscisse a far luce sul mistero.

Una volta ascoltate le nostre dichiarazioni, alla polizia non rimase che chiarire se le nostre parole corrispondessero a verità. Questo perché il direttore Moore si era viscidamente avvalso della facoltà di non rispondere, se non in presenza del suo avvocato. Inoltre, bisognava scoprire chi avesse freddato la dottoressa Mason, poiché sull'arma del delitto comparivano sia le mie impronte digitali che quelle del suo effettivo carnefice.

Si dovette attendere l'esame balistico per poter dimostrare che il proiettile fatale era stato sparato dal direttore Moore e non da me, per via dell'incredibile precisione di cui soltanto un cacciatore del suo calibro poteva disporre e per la traiettoria del foro d'entrata, che confermava che il tiratore disponeva di una statura superiore alla media, che per mia fortuna non potevo vantare. L'unico sparo che mi venne attribuito fu quello che colpì la spalla dell'assassino, ma a quel punto era palese che avessi agito per legittima difesa.

Confermata la colpevolezza del direttore, il detective poté fare pressioni ai suoi superiori per ottenere un mandato e perquisire il suo ufficio. Tra i tanti libri della sua libreria v rinvenne il diario del vecchio guardiano e poté finalmente prendere in considerazione che anche Aurora Miller e Alejandro Ramìrez erano stati assassinati.

La vera e propria svolta nelle indagini avvenne con il risultato dell'esame tossicologico sull'agente di guardia al quarto piano. Nel suo sangue infatti venne confermata la presenza di un narcotico, così, spinti dalle nostre dichiarazioni, le autorità poterono cercare quella che si suol dire la "prova del nove". Contattarono la vedova Ramìrez e le chiesero il permesso di poter riesumare la salma del vecchio guardiano notturno per scoprire se su di lui fosse stata usata la medesima sostanza. La donna, avendo sempre dubitato che suo marito non si fosse tolto la vita, acconsentì subito a eseguire un esame autoptico e venne dimostrato che i suoi sospetti erano fondati.

A quel punto il detective, con tutte quelle prove in mano, poté fare incriminare il direttore Moore oltre che per l'omicidio di Regina Mason, anche per gli omicidi di Alejandro Ramìrez e, di conseguenza, Aurora Miller. Giunto a processo la decisione della giuria fu unanime, condannandolo a scontare tre ergastoli con l'accusa di omicidio plurimo ai danni di Aurora Miller, Alejandro Ramìrez e Regina Mason, con l'aggravante di intralcio alla giustizia e tentato omicidio nei nostri confronti. In poche parole sarebbe marcito in una prigione federale per il resto della sua miserabile vita.

Quando la notizia della sua condanna emerse a livello nazionale sui notiziari televisivi e sulle più importanti testate giornalistiche, stentai quasi a credere di aver vissuto un'esperienza di simili proporzioni. Mi sentii come un naufrago che non riesce a capacitarsi di essere sopravvissuto al raccapricciante terrore che si può provare ritrovandosi nel bel mezzo di un mare in tempesta senza saper nuotare. Avevo affrontato per tutto il tempo uno spirito vendicativo pronto a uccidermi a sangue freddo e alla fine avevo scoperto che il mio vero nemico era stato un uomo in carne e ossa come me, che aveva dimostrato di essere di gran lunga più spietato. Quella fu la prima volta in cui mi resi conto di quanto potessero essere imprevedibili le persone, se si trovano nella condizione di poter perdere tutto. Ne erano un chiaro esempio Frederik Moore, Regina Mason e lo stesso Alejandro Ramìrez, che pur essendo di ideali completamente differenti, erano accomunati da un segreto che alla fine aveva fatto emergere il loro lato peggiore. Si erano lasciati inghiottire dalle loro paure e avevano scelto di mentire, piuttosto che fare la cosa giusta. È stato questo a farli sprofondare in un incubo che, al pari di un vortice, aveva finito per fagocitare persone innocenti e del tutto estranee alla vicenda. Persino Aurora Miller, invece di accettare la sua morte, aveva finito per gettarsi a capofitto nella vendetta. Tuttavia, una volta compreso che non avrebbe potuto farcela, se non rinunciando alla sua umanità, aveva deciso di affidarsi alle uniche persone che le avevano dimostrato di volerla davvero aiutare. Quella fu l'unica volta in cui l'egoismo non prese il sopravvento. Se non fosse stato per questo la catena di brutali omicidi non si sarebbe mai spezzata, la verità non sarebbe mai potuta emergere e la giustizia non si sarebbe mai compiuta.

Il gelo della morte ©حيث تعيش القصص. اكتشف الآن