20 Anni. Parte 2

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Leo fece due profondi respiri, un po' per la felicità di risentire di nuovo il profumo dello shampoo che Katia usava da anni, un po' perché vedere Federico l'aveva così tanto destabilizzato che ancorarsi a sua madre era l'unica cosa che gli era venuta in mente per riprendersi.
La donna lo strinse a sé, consapevole della tristezza e dello sconforto del figlio, colpevole di aver tentato un approccio con una delle motivazioni che avevano spinto il figlio ad allontanarsi dall'Italia. Una, ma non la sola ragione.
Si staccò dal figlio e lo guardò negli occhi, lo vide tentennare, quindi gli sorrise e gli accarezzò la testa, ormai così più in alto di lei che dovette farlo in punta di piedi.
«Federico, sono felice di averti rivisto,» disse poi voltandosi verso l'altro ragazzo. «Ma dobbiamo andare, salutami tanto i tuoi genitori.»
Fu Katia a trascinarlo via, ad allontanarlo dal ragazzo di cui ancora, faticava ad ammetterlo anche con se stesso, era innamorato.
«Grazie,» bisbigliò piano Leonardo, mentre si allontanavano e uscivano finalmente dall'aeroporto.
La donna gli accarezzò piano il polso e poi lo strinse.

***

Arrivarono all'ostello un paio d'ore dopo e ancora Federico non riusciva a togliersi dalla testa l'immagine di Leo. Erano passati due anni ma era bastato un secondo perché il suo corpo reagisse e iniziasse a bramarlo.
Erano stati due anni d'inferno, suo padre adesso neanche gli parlava più. Alla fine aveva capito che era giusto ammettere prima con se stesso, poi con la sua famiglia, che provava attrazione solo ed esclusivamente per gli uomini.
Non erano stati momenti facili, anzi.
Poche settimane dopo aver scoperto della partenza dell'amico d'infanzia, aveva deciso che "ora o mai più" era proprio quel momento e si era presentato ad una cena di famiglia, serio, col volto contratto e l'aveva semplicemente detto. Non aveva neanche provato ad addolcire la pillola, per cosa poi? Se ne era uscito con un semplice: «Sono gay,» detto con l'innocenza di un bambino, certo, ma con la convinzione che solo un adulto avrebbe potuto avere.
Sua madre era stata in silenzio, zitta, incapace di proferire una parola; suo padre invece... Lui aveva parlato per entrambi, aveva urlato, sbraitato, aveva rinnegato di avere un figlio e l'aveva sbattuto fuori casa, così, su due piedi.
Aveva passato la serata sul portico di casa, l'aria autunnale non era ancora così fredda da costringerlo a elemosinare di rientrare dentro, così aveva semplicemente aspettato e alla fine era arrivata sua madre. Si era seduta accanto a lui e aveva sospirato pesantemente.
«Sai, lo sospettavo già da un po', credevo saresti venuto a confidarti con me, prima o poi.»
Gli aveva preso il volto fra le mani e l'aveva costretto a guardarla.
«Ma così, Federico, tuo padre è un idiota. L'hai sconvolto.»
E per la prima volta, in tutta la sua vita, Federico aveva stretto la madre a sé con un vero affetto, una vera riconoscenza. Qualcosa che supponeva ogni figlio dovesse provare ma che difficilmente faceva.

«Ehi.» Sofia gli si sedette accanto, posandogli una mano sul ginocchio e stringendolo appena.
«Non gliel'hai mai detto, non è così?» gli chiese e subito dopo sentì il peso dei bei capelli scuri dell'amica gravargli sulla spalla. Un braccio intorno alla vita, lasciato abbastanza lente in modo che non si sentisse in trappola.
«Cosa vorresti dire?»
Cercò di fare il vago, anche se sapeva benissimo a cosa lei si stesse riferendo, ma non era sicuro che lui invece ne volesse parlare. Anzi, non voleva parlarne e basta.
«Sai che con me non funziona, Fede. Sono talmente invadente che riuscirò a cavartelo fuori di bocca, in un modo o nell'altro.» La sentì sospirare di nuovo, vicinissima al suo orecchio.
«Perché non hai detto a Leonardo del tuo coming-out? Magari avreste potuto riallacciare i rapporti?»
«E come, Sofia? Gli avrei dovuto fare una chiamata via Skype? Mi avrebbe mandato a quel paese, sempre che poi avesse deciso di rispondere,» disse tutto d'un fiato. Le lacrime gli pungevano il retro degli occhi, cercando di scappare fuori e metterlo ancora più in imbarazzo.
«E poi l'hai visto,» continuò, il tono di voce strozzato. «Hai visto come mi ha guardato? Mi detesta.» E dirlo, ammetterlo con se stesso, gli fece talmente male che dovette portarsi le mani allo stomaco e stringere, per evitare di vomitare.
«Per favore, non parliamone più.»
Si alzò in piedi e si voltò a guardarla, sperò davvero che con quell'ultima frase l'amica si mettesse il cuore e l'anima in pace.

***

Quando mise piede in casa, lasciando che la madre posasse la valigia, si sentì come svuotato. Aveva mantenuto un finto atteggiamento rilassato per tutto il tempo, e aveva silenziosamente ringraziato sua madre per aver evitato l'argomento Federico fino a quel momento, ma non sapeva quanto ancora avrebbe potuto rimandare quella chiacchierata.
Non aveva più visto Federico da quella volta e vederlo adesso gli aveva fatto sprofondare il cuore nel petto, adesso era sotto le suole delle sue scarpe e lo stava calpestando ad ogni passo.
Scappò letteralmente nella sua camera, salutando malamente il padre e chiudendosi dentro. Fece i pochi passi che lo separavano dal letto e si buttò letteralmente a facci in giù sul materasso, chiudendo gli occhi nell'impatto.
«Perché adesso?»
L'aveva detto a voce alta? Ma alla fine, a chi importava che stesse iniziando improvvisamente a parlare da solo? Era solo l'ennesima stranezza che si sovrapponeva a tante altre.
Aprì gli occhi, sbattendoli ripetute volte per snebbiare la vista, sentiva le voci ovattate dei suoi genitori provenire dalla cucina, delle risate ad un certo punto e Leonardo si sentì morire dentro perché invece di essere là con loro, lui riusciva solo a disperarsi nel suo letto, come il fottuto adolescente che era.
Tirò fuori il cellulare dalla tasca posteriore dei jeans e guardò lo schermo, continuava a fissarlo non decidendosi se sbloccarlo o meno, se chiamare o meno Jay. Magari parlarne con lui avrebbe aiutato.
Sospirò, sedendosi poi sul bordo del letto e asciugando delle stupide lacrime con la manica lunga della maglia. Premette sul pulsante centrale per sbloccare con l'impronta digitale e scorse la rubrica fino a trovare il numero giusto.
Per un attimo si chiese se era giusto farlo. Se sarebbe stato giusto contattare l'amico in un momento critico del genere. Dopo due anni, due anni in cui credeva di essere riuscito ad andare avanti anche grazie all'aiuto di Jay, ci era ricaduto dentro con tutte le scarpe. Era bastato uno sguardo ed era sprofondato di nuovo nel baratro.
Si sentiva in colpa, in modo sciocco ovviamente, per aver detto all'amico che ne era uscito grazie a lui, e adesso... Adesso aveva capito che nessuno avrebbe mai davvero preso il posto di Federico.
Si portò una mano davanti agli occhi e strizzò la base del naso fra pollice e indice, per ricacciare indietro il principio di emicrania che sentiva montargli dentro.
Sospirò e guardò di nuovo lo schermo del telefono, ora completamente buio.
Beh, alla fine se non voleva parlarne con i suoi genitori, cosa anche abbastanza imbarazzante, a dire la verità, le scelte erano poche.
Ma fu il destino a scegliere per lui, perché all'improvviso il cellulare iniziò a squillare, una delle sue canzoni preferite dei Metallica riempì la quiete della sua camera da letto.
Rispose senza neanche far caso al numero, notando solo il prefisso italiano. Forse sperando un po' troppo.
«Pronto?» Era aspettativa quella che aveva appena sentito nella sua voce?
«Ehi, non credevo mi avresti risposto, ma forseneanche hai più il mio numero salvato in rubrica.»
E in effetti era proprio così, ma avrebbe potuto riconoscere quella vocesquillante anche dopo anni.
«Sofia,» disse semplicemente e sul suo volto comparve un piccolo sorriso.
«Ti va se parliamo un po'?» Sentì chiedergli dall'altro capo del telefono.

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