Camera 37 [Prologo]

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Esasperato dal chiasso, dalle volgarità urlate con spirito goliardico, dai lascivi proponimenti che si sarebbero rivelati inconcludenti come sempre, il ragazzo uscì dalla camera affollata lasciandosi alle spalle strafottenti ragazzi annoiati da se stessi per dirigersi verso una porta ben precisa, il cui numero vibrava come un'incisione a fuoco dentro la sua testa. Una porta abbastanza lontana da rendere solo un brusio la cacofonia da cui si era allontanato.
Dopo averci pensato a lungo davanti all'ingresso chiuso, il braccio disegnò una linea verticale nell'aria, la mano si chiuse a pugno e le nocche domandarono permesso.
Secondi alternati col battito del suo cuore accelerato da un senso di eccitazione. Sentì rumori di vita all'interno della stanza, una sequenza di gesti che si conclusero con una maniglia afferrata, girata e una porta dischiusa.
«Ciao Tristan...», mormorò al giovane dentro la camera con il viso vagamente assonnato, occhiaie dalla leggera sfumatura violacea e i capelli scarmigliati dalla morsa del cuscino. «Posso entrare? Non ne posso più di quella gente, potrei urlargli contro di tutto e finire la serata in ospedale...un'idea che non mi entusiasma poi tanto...» disse con un timido sorriso e uno sguardo di supplica divertita.
Il giovane lo guardò, si passò una mano tra i capelli nel tentativo di domarli e trattenendo uno sbadiglio si spostò di lato invitandolo silenziosamente ad entrare. La porta della camera 37 venne chiusa alle loro spalle, escludendo tutto il resto del mondo.
La stanza era in penombra, illuminata parzialmente da una lampada in carta di riso bianca. Nessun odore particolare, se non quello classico di mobili nuovi in un albergo da poco ristrutturato.
Tristan si risistemò sul letto e riprese l'attività interrotta dall'arrivo del ragazzo annoiato. Senza sollevare lo sguardo dal libro gli domandò quale fosse il problema.
«Dall'altra parte del corridoio è in corso una gara a chi è più idiota e dopo un'ora e mezza sinceramente non ne posso più. Ero sicuro che nella tua stanza regnasse il silenzio e per questo eccomi qui...»
Dalle labbra di Tristan sgusciò fuori un mugugno d'assenso e la stanza ripiombò nell'assenza totale di rumore. Neanche il ticchettio di un orologio in sottofondo.
Il ragazzo si accomodò sulla poltrona vicino alla finestra e studiò intensamente l'espressione di Tristan alla ricerca di un segnale d'interesse nei suoi confronti.
«Basthian, che cosa c'è?!», domandò chiaramente infastidito.
«Nulla, è solo che stai fissando il libro come se lo odiassi. Immagino che da un momento all'altro le pagine prendano fuoco per disperdersi nella stanza sotto forma di coriandoli incandescenti...», cantilenò Basthian.
«È solo un libro tremendamente noioso che non ho intenzione di abbandonare. Meglio la noia che lasciarmi vincere da un migliaio di pensieri sconnessi...non oggi, almeno», disse Tristan incupendosi. «Hai intenzione di passare la notte su quella poltrona?», aggiunse ostinandosi ad ignorare lo sguardo indagatore di Basthian che, accucciato sulla poltrona, cambiò posizione senza alzarsi, limitandosi ad un'alzata di spalle. «Se ti serve un invito ufficiale eccolo qua: accomodati pure, questo letto è talmente grande che è uno spreco usarlo a metà...», disse sogghignando, battendo il palmo sulla porzione di lenzuolo alla sua destra.
Ignorò il tono borioso e si sdraiò accanto a lui, affondando nel cuscino dalla consistenza gommosa e osservando il soffitto. La mobilia sarà pure stata nuova ma la parete superiore era vicina al collasso, tutta crepe e fratture. Chiuse gli occhi, lasciandosi sfuggire un sospiro un po' troppo rumoroso. Il libro venne chiuso con uno scatto violento.
«Avanti, qual'è il problema? E non parlarmi di quegli idioti...» disse Tristan con tono esasperato, chinandosi in avanti per osservarlo negli occhi. Basthian non vi lesse né rabbia né noia ma una forma latente d'interesse, vaga ma presente.
«Volevo nascondermi per qualche ora in uno spazio tranquillo, vergine, non corrotto dalla stupidità adolescenziale della peggior specie...», mormorò giocando con la trama del lenzuolo e a fil di voce aggiunse «...avvicinarmi a te...rilassarmi e non pensare a nulla». Si riscosse colto alla sprovvista dalla propria spontaneità. «Ma a quanto pare ho rovinato, anzi disturbato la tua serata... scusa!», continuò senza alzarsi dal letto.
«Non hai rovinato, anzi disturbato la mia serata. Ti sembra una "serata", questa? Mi sto arrangiando per far passare il tempo. Se proprio lo vuoi sapere, prima che entrassi tu mi stavo annoiando. L'unica cosa che mi esaspera è avere qualcuno di fianco a me con un'evidente e rumorosa lotta interiore...», disse Tristan avvicinandosi impercettibilmente a lui.
«Scusa...», borbottò.
«Ti supplico basta con le scuse! Scusati quando mi schiaccerai un dito con la porta...», esclamò. «Mi fa piacere che tu sia qui», disse distendendosi sul fianco destro e appoggiando la testa sulla mano aperta.
Una ciocca di capelli disegnava un'onda appuntita sulla sua fronte e Basthian dovette irrigidire ogni muscolo e spegnere il cervello per non spostarlo con le dita.
«Fallo, se vuoi...», suggerì Tristan allungando le gambe sul materasso, sfiorando i piedi del suo nuovo compagno di stanza.
«Cosa?», domandò ingenuamente.
«Quello a cui stai pensando da dieci minuti. Se non lo farai non avrai una risposta a quella domanda. Formulala a parole tue, anche se ci sarebbe un modo decisamente più diretto per farlo». Lo guardava negli occhi senza accenno di sorriso, senza trasporto. Era un dato di fatto, qualcosa a cui non si poteva replicare senza sbagliare.
«Sembra così facile per te, così naturale. Per me è un delirio. Vorrei distruggere ogni centimetro di questo albergo per poter pensare ad altro. Vorrei urlare la mia frustrazione, vorrei...» e allungando la mano verso la base del collo di Tristan l'attirò a sé, alle sue labbra, alle lacrime che rigavano di sale le sue guance in fiamme.

CanticoWhere stories live. Discover now