Uno

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"Sai cosa? Vaffanculo, Ric, non cercarmi più."
Dico al telefono in un grido strozzato, sull'orlo del pianto. Chiudo gli occhi e sento una lacrima bollente scorrermi sul viso, contrastata dal freddo vento della sera.
Mi accendo una sigaretta e vado verso la stazione. Le strade sono deserte e tutto ciò che si può sentire è la musica dei locali. Cammino a passo svelto, con cento pensieri in testa e nemmeno uno concreto, gli occhi stanchi e le labbra secche.
Passo davanti ad un bar e, senza accorgermene, mi fermo a guardare ciò che succede al suo interno. Quattro ragazzi ridono sguagliatamente davanti al bancone, tenendo strette in mano delle ichnusa.
Incrocio lo sguardo con uno di loro. Mi sorride.
Ha un volto familiare.
Lo vedo alzarsi e uscire dal bar, farsi sempre più vicino.
"Ciao, Monica!"
Quella voce. L'accento romano.
È Giovanni.
Mi abbraccia. Poggio la testa sulla sua spalla e chiudo gli occhi. Non lo vedo da sei anni.
"Tutto a posto?"
Mi dà un bacio sulla guancia.
Probabilmente ho gli occhi ancora pieni di lacrime, ma sforzo un sorriso gentile.
"Una giornata pesante," dico. "Ma tu da dove spunti fuori?"
"Sto con dei miei amici qui in vacanza, siamo arrivati ieri sera. È la prima volta che vedono la Sardegna."
Stringo le labbra e do un rapido sguardo al gruppo, che ora chiacchiera tranquillo.
"Comunque sei cresciuta, eh! L'ultima volta che ti ho visto avevi iniziato la scuola media -avevi il caschetto e dicevi che il tuo cantante preferito era J-Ax."
"Oddio," arrossisco. "Che passato imbarazzante. Però anche tu non eri esattamente il cugino più figo del mondo. Te la tiravi perché vivevi a Roma," sorrido impacciata. Non sono un tipo socievole.
Gio si stringe tra le spalle e mi guarda in silenzio per qualche istante. Nascondo il naso rosso sotto la sciarpa.
"Vabbè, visto che è stata una giornataccia ti va di prendere qualcosa da bere? Ti presento gli altri."
~
Ho le gambe incrociate e tengo in mano una lattina vuota di ichnusa.
La mia giacca è appesa alla sedia e il telefono è dentro la tasca dei jeans.
Guardo timidamente i ragazzi intorno a me, che parlano tra loro serenamente, come se io non ci fossi. Citano compagni di scuola, imitano professori e canticchiano pezzi di Calcutta.
Gio mi mette una mano sulla spalla.
"Tu che ascolti, Mon? J-Ax è ancora il tuo cantante preferito?"
"Oddio, no."
L'alcol mi scioglie un pochino. Ordino un'altra lattina di ichnusa.
"Calcutta lo ascolto quando sto giù. In generale, tutto l'indie lo ascolto quando sto giù. Ad eccezione di Willie Peyote," sottolineo. "Il mio gruppo preferito al momento sono i Grapetooth."
"I chi?" domanda Luca.
È seduto vicino a me, il suo alito sa di birra artigianale e marijuana. È un tipo strano: per quanto mi sia sembrato goffo appena gli ho stretto la mano, adesso sembra rivolgersi a me in maniera disinvolta. È a suo agio. E mi mette a mio agio.
"Andiamo, ragazzi, non potete dire di ascoltare indie se non conoscete artisti davvero indipendenti!"
Martino sorride.
"Non hai tutti i torti," ammette.
"Quindi ci stai dando dei finti indie?"
"Dei poser!"
"Tradotto dall'inglese," dice Elia con tono serio, leggendo la pagina di Wikipedia. "Grapetooth è il nuovo duo influenzato dalle onde di Chicago. Il progetto, composto da Clay Frankel e Chris Bailoni, è stato avviato nel 2015."
Alza lo sguardo su di me.
"Questo è tutto ciò che c'è scritto," sorride. "Adesso, non vorrei dire, ma allora anche mio padre che canta mentre cucina è un'artista indipendente!"
"Ragazzi, state a vedere che anche Luchino è un cantante indie e noi non ne sappiamo niente," dice Gio.
Mezz'ora più tardi controllo gli orari dell'arst per tornare a Frutti D'Oro. È l'una e un quarto e io, Gio, Martino, Elia e Luca sembriamo gli unici ancora svegli in tutta Cagliari.
"Cazzo, l'ultimo bus è passato a mezzanotte e mezza. Ho perso il senso del tempo," sbuffo. "E adesso come faccio? Non dovevo fermarmi tanto a lungo, i miei mi uccideranno."
Gio e Martino si rivolgono uno sguardo in silenzio, mentre Luca ed Elia si prendono a spintoni davanti al locale.
"Puoi venire a dormire da noi. Gli zii li chiamerò io domani."
"Abbiamo una camera al T Hotel," aggiunge Martino. "Suppongo tu lo sappia meglio di me, ma davanti c'è un parco piuttosto carino. È una bella zona."
"Lo conosco," sorrido. La mia timidezza e la mia ansia tornano più forti di prima. Metto le mani nelle tasche. "Sicuri che posso restare? Non voglio disturbare."
Però è l'unica soluzione. Se non vado da loro, devo farmi ospitare da qualcun altro. Ma è troppo tardi per chiamare chiunque.
Gio mi mette un braccio attorno alla spalla.
"Nessun disturbo. Facciamo dormire Luchino per terra."
Elia scoppia a ridere.
"Sembra Gollum, ma è un vero gentleman."
~
Il letto è piccolo e cigola ad ogni mio movimento. L'unica luce nella stanza è quella del mio telefono, che tengo bassa per non svegliare gli altri. Ho indosso una maglietta e un paio di pantaloni di Gio. Fa molto caldo: d'estate per me è sempre difficile prendere sonno a causa della temperatura.
Mi giro da un lato all'altro, cercando un qualche passatempo. Poi poggio la schiena al muro e infilo gli auricolari nelle orecchie.
Nella stanza riecheggiano, incerte, le prime note di "Cosa mi manchi a fare" di Calcutta. La malinconia mi trascina con sé ma mi sforzo di non piangere. Ho la lacrima facile, lo ammetto.
E la mia situazione con Ric non aiuta.
Sento qualcuno sbuffare. Poggio il telefono da un lato e mi guardo attorno.
Elia si alza dal letto con un'aria dolorante. Ha i capelli scompigliati e indossa una canottiera e dei boxer. Quando mi nota accenna un sorriso. Si avvicina.
"Scusami, ti ho svegliato?" chiedo.
"Tu? No, no. È Lu' che è venuto nel mio letto. Si agita un sacco quando dorme. Mi ha appena dato una manata sull'occhio."
Guarda da sopra la mia testa lo schermo del telefono.
"Stai ascoltando Calcutta? Credevo fosse troppo poco indie per i tuoi gusti."
"A volte cado nel main-stream," sorrido. "Soprattutto se non riesco a dormire."
Gli faccio spazio sul bordo del letto e gli passo un auricolare.
"Come mai non riesci a dormire?"
"Per il caldo."
"Nient'altro?" aggrotta la fronte. "Mi fregheresti se non stessi ascoltando Calcutta alle 3:15."
Non rispondo, ma gli rivolgo uno sguardo gentile di sfuggita.
"Beccata."
"Forse. Adesso sta' zitto e deprimiti un po' con me."
Alzo il volume.
'Ma io ti dichiaro dentro una TV
Che io da te non ho voluto amore
Volevo solo scomparire in un abbraccio
Volevo solo scomparire in un abbraccio
Confondermi con, con, con, con'
Chiudo gli occhi ed Elia mi stringe in un abbraccio. Non è romantico, né amichevole. È solo confortante.
"Grazie," bisbiglio. Ma forse l'ho detto a voce troppo bassa per poter essere sentita.
Elia si allontana piano, aspetta che finisca il ritornello e toglie l'auricolare. Si gira dall'altro lato del letto e non lo sento più fiatare per il resto della notte.

Elia Santini || FacileOnde histórias criam vida. Descubra agora