Nove

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"Buongiorno," sorrido.
Metto in pausa gli Ultra Q e tolgo gli auricolari.
In una mano ho pane guttiau, panadas e pardule, nell'altra un foglio arrotolato.
"Hey, cosa ci fai qui?"
"Volevo vedere Lu'."
Martino accenna un sorriso e mi stringe in un abbraccio. Poi si mette da parte per farmi entrare nella camera d'albergo.
I letti sono ancora sfatti e le serrande sono ancora abbassate.
Giovanni ha in pugno la chitarra, Luca la bottiglietta d'acqua.
Ha il labbro gonfio e l'occhio nero, ma sembra stare bene.
"Sorpresa!" dico, mostrandogli la busta della spesa.
Mi siedo sul bordo del letto e apro il sacchetto di pane guttiau.
"Se questa è la ricompensa, cercherò di farmi picchiare più spesso."
Martino addenta una panada e annuisce.
Cerco con lo sguardo Elia, ma non è nella stanza.
"È uscito presto" dice Gio. I suoi occhi azzurri si incastrano timidamente con i miei. "Sembrava un po' giù. Puoi provare a chiamarlo. A me non risponde."
"Oh, ok," mi sento arrossire. Lego i capelli in una crocchia e poggio la testa sulla spalla di Luca. "Ma quindi volete dirmi cosa è successo?"
"Ci sono due versioni: quella in cui Luchino è un eroe e quella vera. Quale vuoi sentire?"
Sorrido.
"Entrambe, ovviamente."
"La leggenda narra che un tipo abbia dato della troia ad una ragazza e che Luchino l'abbia difesa. In un qualche modo la lite si è trasformata in una guerra apocalittica tra noi Contrabbandieri e una decina di Tamarri di Cagliari."
"La realtà," continua Martino. "È che eravamo io, Gio e Luchino strafatti contro sei discotecari ubriachi marci. Per colpa di Lu', che non sa stare zitto e che, quando uno di quei colossi ha detto che la sua fidanzata era una troietta, se l'è presa a morte."
"Mi ricordava Silvia."
Accenno una risata e scompiglio i capelli di Luca.
"Per me hai fatto bene. Hai tutto il mio appoggio."
Martino scuote la testa e mi lancia addosso una pardula.
Rispondo con il pane guttiau.
Gio inizia a suonare.
'Sette camicie'.
Gli Eugenio in Via Di Gioia.
Luchino allunga una mano verso il materasso e afferra il foglio arrotolato che mi sono portata dietro.
"Posso?" chiede.
Mi stringo tra le spalle e cerco di nascondere la mia timidezza.
Martino e Giovanni si avvicinano al disegno.
"Ma è la spiaggia in cui siamo stati l'altro giorno!"
"Su Giudeu."
"E questi siamo noi!"
"Ci sei anche tu."
"Ci hai fatti più fighi di come siamo realmente, eh."
Sorrido e mi nascondo la faccia con le mani. Giovanni mi stringe in un abbraccio.
"Che pensiero carino, Mon. Come arriviamo a Roma lo stampiamo. Io me lo appendo in camera."
Martino mi dà un bacio sulla fronte e Luchino si corica sulle mie ginocchia.
Mentre Giovanni continua a strimpellare la chitarra, qualcuno entra nella stanza.
È Elia.
~
"Mi dici cosa succede?"
Io, Gio, Marti, Lu' ed Elia siamo ai Giardini Pubblici.
A tenerci compagnia ci sono solo tre ragazzini delle medie e due gatti selvatici.
Giovanni si arrampica negli alberi, Luca prova a fare lo stesso e Martino li riprende col telefono.
Io ed Elia siamo seduti sul ramo del ficus magnoloide -un albero di 125 anni che, secondo alcuni, è il gigante buono della Sardegna.
"Ti comporti in modo strano. È per colpa mia?"
"Non è niente. Non è davvero niente."
Mi circonda il collo con un braccio e poggia il mento sulla mia testa.
"Ho visto il disegno che hai fatto, comunque," accenna un sorriso. "È bello."
"Hai l'aria triste," insisto. Però la mia voce assume un tono infantile, di accusa. È lo stesso che usavo con Riccardo. Lo stesso che detestavo, perché mi faceva sentire stupida.
"Mon, va tutto bene. Sono gli ultimi due giorni che posso passare con te, ok? Voglio viverli serenamente."
"È per questo?" Stringo le labbra. "Perché anche a me dispiace, Eli. Però non voglio pensarci. Voglio stare con te."
"Nemmeno io voglio pensarci. Perché ne stiamo parlando?" aggrotta la fronte.
Gli stampo un piccolo bacio sulle labbra.
Da lontano, Martino ci fa il ghigno.
"Mi dispiace averti lasciata in quel modo, ieri sera. L'ho fatto perché ero preoccupato per Luchino, ma anche per tenerti lontana. Scusami davvero tanto," sospira. "Ho avuto delle ragazze prima, ma non ho mai cercato nulla di serio- l'impegno mi angoscia. E adesso che vorrei vivere questa cosa il più a lungo possibile, devo partire."
"È ok. Non devi scusarti."
Poggio la mia mano sulla sua. Sento gli occhi dei ragazzini delle medie addosso. Faccio un grosso respiro.
"Anche io vorrei durasse di più, ma sapevamo entrambi che saresti dovuto tornare a Roma, no? Sarebbe più facile se fossi sardo. Ti ci immagini con l'accento sardo?" accenno una risata.
Elia arriccia il naso.
"Che incubo."
"Hai problemi con l'accento sardo, scusa?"
Lo guardo scuotere la testa con un sorriso e abbassare lo sguardo. La sua espressione torna seria.
"Mi sento una merda. Mentre io cercavo di scappare e affogare i miei sentimenti, tu stavi disegnando noi quattro. Non so davvero come comportarmi, Mon. Non ne ho idea."
"Nemmeno io. Vuol dire che faremo cose a caso. Più di questo cosa possiamo fare? Non c'è una guida."
"Polipetti!" esclama Giovanni. "Invece di deprimervi e dirvi addio con largo anticipo, perché non guardate Luchino che cerca di arrampicarsi? È uno spettacolo più unico che raro."
Elia mi tende la mano e insieme corriamo verso il resto del gruppo. Martino zooma prima su di noi e poi sul sedere di Luca, che inveisce.
"E sarai
Veloce come veloce è il vento
E sarai
Un uomo vero senza timore
E sarai
Potente come un vulcano attivo
Quell'uomo sarai che adesso non sei tu" canticchia Gio.
Elia e Martino si uniscono a lui, mentre io scoppio a ridere.
"Siete delle vere merde."
~
Mamma e papà preparano i culurgiones.
Io faccio la doccia nella stanza accanto, con la musica punk a palla e i vetri delle finestre appannati.
'And I'm so fuckin' cheap
And I'm so fuckin' broke
And I don't have a job
And I don't have a phone
Don't have a life
And I'm always stoned'
Raccolgo i capelli in un turbante e guardo lo schermo del telefono.
Ho un messaggio da parte di Riccardo.
Mi ha inviato la storia Instagram di Martino.
"Quindi ora stai con quel tipo? Elias?"
Guardo il video più volte.
Si sente Gio che canta, Martino che ride, Luca che impreca. L'inquadratura, però, alla fine è sulle mani mie e di Elia. Sono strette tra loro. In modo dolce, spontaneo. Mi spunta un piccolo sorriso sulla bocca.
Per quanto sappia che Riccardo ha scritto "Elias" di proposito, vorrei correggerlo. Non lo faccio. Rispondo solo "sì".
Compare mio padre sulla soglia della porta.
"È pronto."
Si sistema gli occhiali sul naso e inclina poco poco la testa. Finisco di mettere i pantaloni del pigiama e sospiro.
"Adesso scendo."
Poggio il telefono sul lavabo -ignorando un altro messaggio di Ric- ed esco.

Elia Santini || FacileDove le storie prendono vita. Scoprilo ora