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Ho fatto un incubo,
e immaginavo la sua morte.
E morivo anche io con lei.
Vedevo molte persone piangere,
ma nessuno quanto me.

Mi vedevo in un letto da sola,
senza le sue braccia attorno a me.

Mi svegliavo.
Mi riaddormentavo piangendo.

Ancora lo stesso incubo.
Lei: morta, all'interno di una bara, bianca,
sta volta ero in una chiesa, a recitare una poesia che ho letto almeno una trentina di volte. "Fermate tutti gli orologi", si chiamava, di Wystan Hugh Auden.

Mi risvegliavo tra le lacrime.
Tirai su col naso.
Bevvi un sorso d'acqua.

Tornai a dormire.
Questa volta fu più terribile.

Ero nella casa che avevamo sempre sognato,
un loft per l'esattezza.
E ogni fottuta cosa mi faceva disperare.

Provavo a mettere della musica, ma ricordai che in qualsiasi posto, ballavamo sempre insieme, sulle note di qualsiasi brano.

Aprii il frigorifero, ma non toccai cibo,
c'erano i resti della nostra ultima cena insieme.
Mi accasciai a terra piangendo, mi trascinai in camera, presi tutti i suoi vestiti, ancora impregnati del suo profumo.
Mi distesi sul letto matrimoniale,
dal suo lato,
con i vestiti attorno, addosso,
abbracciata a essi.

Mi svegliai un'ultima volta,
con il cuore in gola.
Le quattro del mattino.

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⏰ Last updated: Jan 03, 2020 ⏰

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Un giorno, tre autunni. Where stories live. Discover now