Capitolo 35

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T/N's Pov

Alla fine a salvarci era stato Erwin con il resto dell'Armata Ricognitiva. Non appena avevano scoperto che anche Ymir era un gigante l'avevano legata ad un lettino mentre lei era ancora incosciente. La ferita al ventre che aveva ricevuto in battaglia era molto grave e nessuno sapeva se i poteri di risanamento dei giganti sarebbero bastati a salvarla. 

Dopo aver caricato i corpi su un carro, ci eravamo diretti verso le mura, molto vicine a Castel Utgard, e ci eravamo posizionati sulle loro sommità, poiché temevamo un altro attacco da parte dei giganti. 

Tutti quanti erano indaffarati e impegnati a far qualcosa. Il morale era a terra e tutti erano stanchi, ma nessuno restava con le mani in mano. Per tenere impegnata la mente piena di domande senza risposta, ognuno di noi trovava un impegno da portare a termine. Chi controllava i feriti, chi controllava le cartine, che stava di vedetta e chi, come noi sopravvissuti all'attacco, cercava di riposarsi, un'attività forse molto più difficile di tutte le altre, perché nessuno di noi voleva restare da solo con i propri pensieri. 

Io ero seduta sul bordo del muro, con le gambe a penzoloni nel vuoto. Il vento mi schiaffeggiava violentemente sul viso, senza darmi tregua e facendomi rischiare di precipitare. Erwin aveva chiamato Ginger per parlarle ed io ero rimasta da sola lì. 

Guardai in basso. Stranamente non provavo nessun senso di vertigine. Il terreno era lontanissimo, eppure non mi era mai sembrato così vicino. Sarebbe bastato poco per cadere. Una spinta da dietro, un soffio di vento troppo forte o anche solo un mio errore mi avrebbero condotta velocemente alla morte, se non avessi avuto il 3DGM con me. Allungai una mano verso la terra. E se io non avessi voluto usarlo? Ebbi un singulto, sgranai gli occhi e ritirai immediatamente la mano. 

La morte e lo sconforto mi circondavano, erano sempre accanto a me, ovunque andassi. Mi attiravano come un magnete. Queste due costanti aiutavano la parte più oscura di me stessa a riaffiorare. La bambina insicura e impaurita che avevo lasciato nella Città sotterranea tornava a farmi visita, ricordandomi com' ero e come sarei sempre stata.

Mi guardai il palmo della mano che avevo allungato verso il basso. Era rosso e sudato. Le mie mani non erano mai state tanto grandi, al contrario di quelle dei miei coetanei. 

Quasi non mi accorsi della presenza di un'altra persona in piedi accanto a me.

-Hey T/N- mi salutò Armin. 

Alzai la testa verso di lui. Era controluce, quindi riuscivo a vedere solo una massa oscura di fronte a me. 

-Hey Armin. Vuoi sederti?- gli chiesi indicando un posto accanto a me.

Lui tentennò. Evidentemente stare a gambe penzoloni rischiando la vita inutilmente non era nei suoi programmi. Però non rifiutò. Con molta calma e attenzione, evitando di guardare verso il basso, il mio amico si sedette di fianco a me, lasciando le gambe a penzoloni. 

Il vento lo salutò scompigliandogli i capelli biondi e gonfiandogli la giacca dell'uniforme. Armin spalancò gli occhi per la sorpresa e io ridacchiai. Sorrise imbarazzato e si tenne stretto al bordo con le mani. 

Guardai verso Eren, che stava parlando con Mikasa.

-Mi fa piacere che si sia ripreso. Sarà quasi un secolo che non lo vedo tutto intero- dissi accennando al moro. 

-In effetti...- ridacchiò Armin.

-Gli sei mancata anche tu- 

Sorrisi mestamente. 

Seguì un momento di silenzio. Entrambi non volevamo parlare dell'attacco al castello, ma non trovavamo nessun argomento leggero da affrontare. Non volevamo guardare il presente perché era troppo stancante. Non volevamo guardare il futuro, perché era troppo incerto. Per un po' volevamo fare gli immaturi e bendarci gli occhi. Immaginare per un attimo un mondo alternativo, in cui la morte e la disperazione non ci perseguitasse più. Con Armin era facile fare ciò, perché non chiedeva spiegazioni. 

Armored Heart |Bertholdt X Reader|Where stories live. Discover now