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Un'ora passa e il sole inizia a calare. Mario non ha ricevuto risposta e, inutile negarlo, quel pizzico di ansia si fa sentire. È in piedi con la tempia sul muro e lo sguardo fisso fuori dalla finestra. Ormai è la terza birra aperta.

Sta per controllare per l'ennesima volta il cellulare, odiando se stesso per sentirsi come un ragazzino in piena fase ormonale, quando vede spuntare da dietro l'angolo un ragazzo semplicemente elegante con jeans e maglioncino nocciola, i capelli castani e gli occhi verdi, le mani in tasca, quel tatuaggio che spunta dalla manica tirata su. Battendo dolcemente la fronte sul muro e stringendo il pugno in segno di vittoria, ce l'ha fatta, lui è lì, si scosta dalla finestra per non farsi vedere.

Claudio, appena voltato l'angolo, si trova davanti l'edificio che ha segnato l'inizio della sua lunga e non sospetta guarigione nonché l'inizio di quella cosa che con un solo nome si può chiamare: Mario. Fa un grosso respiro e inala l'odore forte di pino e cipresso che sempre ha contraddistinto quei pochi passi che lo separavano dal cancello. Guarda in su, in modo automatico, ma non lo trova alla solita finestra. Un sorriso involontario esce fuori al solo pensiero di quell'artista maledetto che mezzo nudo lo aspettava alla finestra con la sigaretta in bocca, come il lupo aspetta cappuccetto rosso. Claudio spinge il cancello e si avvia all'entrata iniziando a provare quell'ingenuità da novellino intrinseca all'atmosfera di quel posto.

Mario va con lo sguardo dal disegno alla porta, dalla porta al disegno e poi, come prima di salire su un palco, chiude gli occhi e trova se stesso. Sa che deve solo lasciarsi andare e seguire l'istinto.

Claudio, come se dovesse fare colpo ad un primo appuntamento, si ferma ogniqualvolta si trovi di fronte a un simil specchio, e prima il maglione va dentro, poi fuori, poi le maniche su, poi giù, finché non arriva di fronte a quella porta impreparato, com'è sempre stato di fronte a chi la porta nasconde.

Claudio apre la porta.

La prima cosa che vede, amalgamata all'arancione del sole che sta ormai scomparendo, è la luce delle decine di candele accese e sparse per lo studio. Un classico di Mario.

Claudio chiude la porta.

Sente odore di sigaretta misto a pittura e un leggero brivido gli scivola in mezzo alle spalle. Come ha sempre fatto, rimane lì impalato con le mani in tasca per non disturbare.

"Puoi venire avanti, non ti mordo".

La voce di Mario arriva dalla zona lavoro dietro i teli. Ma si fa più vicina insieme a lui.

"Pensavo non arrivassi più".

Eccolo che appare nella sua mise più iconica, nel suo habitat naturale. Claudio si schiarisce la gola.

"Dovevo finire delle cose in ospedale... Sono venuto appena possibile".

Mario annuisce mentre pulisce un pennello con un pezzo di stoffa vecchia.

"Certo, tranquillo. Mettiti comodo".

È calmo, ha un tono rassicurante e questo, su Claudio, fa l'effetto completamente opposto. Si guarda attorno come per cercare una sedia, come se fosse ad un colloquio di lavoro. E Mario, che lo spia con la coda dell'occhio mentre passa lo straccio sul pennello, si mette a ridere tra i suoi ciuffi neri.

"Claudio..."

E Claudio lo guarda colpevole di imbarazzo.

"Ti ricordi che sei mio marito, giusto?"

Claudio spalanca gli occhi come se lo avesse dimenticato sul serio.

"Io... Certo... È solo che..."

Mario intanto gli si avvicina.

"Noi due viviamo insieme da quasi un anno, non ci vediamo per tre giorni e mi torni al punto di partenza?"

Come balinesi nei giorni di festaOnde histórias criam vida. Descubra agora