50. Ho ferito di nuovo

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SOPHIE

«Gabriel.»

Mi sollevo di colpo a sedere, guardando il suo viso contorto in un'espressione confusa, mentre le palpebre rimangono aperte e il suo sguardo incontra il mio.

Mi stropiccio gli occhi, ancora non totalmente cosciente dopo la dormita di cinque minuti fa. Ma una lieve risata mi fa riportare l'attenzione su di lui, convincendomi che non sto sognando.

«Tranquilla, sono reale. Credo.»

In preda all'eccitazione e all'euforia, mi fiondo ad abbracciarlo, il cuore a mille e il corpo percorso da un forte tremore. Dopo ore passate accanto a lui, ad aspettare che si svegliasse fino ad addormentarmi, sentire la sua voce, il divertimento nel suo tono e quella solita nota d'amore, mi provoca le lacrime.
Non le mostro.

«Gabe.» pronuncio il suo nome, come se volessi sentire una conferma da parte sua, che lui si affretta a darmi.

Mi stringe a sé, tenendo le braccia avvolte attorno alla mia schiena e la testa nascosta nell'incavo del mio collo. «Sì, sono io.»

«Mi dispiace, mi dispiace tanto.» sussurro con tono agitato, accarezzandogli la nuca.

«Non dirlo. È passato.»

«No, Gabriel. Ascoltami.» incateno i miei occhi ai suoi, appoggiando la fronte sulla sua. «Ho avuto paura... ho avuto così tanta paura di averti perso. È successo tutto per colpa mia, ogni cosa. Avrei dovuto pensarci due volte, e parlarne con te e Kyle. Vi ho messo in pericolo.»

Mi tiene i capelli lontano dagli occhi, incorniciandomi il viso. Scuote la testa. «Ragazzina, ero lì perché ti amo, e ho fatto quello che ho fatto per scelta, per amore, e anche per egoismo. Stavo per perderti già una volta, questa non l'avrei permesso.»

«Gabriel.»

«E Kyle si trovava lì perché ti vuole bene. Capisci? Sei importante per entrambi. Non puoi dispiacerti per le azioni degli altri.» mi interrompe, passandomi i pollici sulle guance e incurvando le labbra in un fugace sorriso.

Ricambio. «Mi sei mancato, per un giorno e due ore.»

Ridiamo insieme, e l'atmosfera diventa così leggera che anche il mio cuore si libera di quel peso provato in queste ore.

Felice, stringo forte la presa su di lui e nascondo la testa nel suo petto, quasi dimenticandomi di ciò che è avvenuto la sera scorsa.
Un suo gemito mi rammenta il tutto.

«Piano, piano ragazzina. Sono un po' arrugginito.» preme le mani sulle mie spalle, ma senza spingere.

Sono io ad allontanarmi, rendendomene conto solo ora. «Oh, Dio, mi dispiace. Scusa, ora rimango lontana. Hai bisogno di qualcosa? Che chiami il dottore? Deve sapere che ti sei svegliato. Oppure posso prenderti qualcosa da mangiare. Staresti meglio se...»

La frase rimane a metà, perché le sue labbra fanno in fretta ad appoggiarsi sulle mie. Allenta la presa sulle mie spalle, facendo scorrere le dita giù per la schiena, fino ai miei fianchi. I miei muscoli trovano un momento di relax, mentre mi godo la familiare sensazione della sua bocca sulla mia.

Ma se i miei muscoli sono rilassati, il cuore è nel bel mezzo di una corsa. Batte contro il petto come se fosse pronto a uscire.

Gli accarezzo la guancia, trascinando le dita verso la mandibola, fino al collo.

«Ho bisogno...» parla con le labbra premute contro le mie, con affanno. «Ho bisogno di sentirti, Soph. Di sentirti completamente.»

Trattengo il fiato, ma lui lo cattura con un altro bacio. Le sue parole mi vorticano in testa, confermate dalle sue mani che si insinuano sotto la maglietta che indosso da quando mi sono svegliata in ospedale.

DifficultWhere stories live. Discover now