And my head told my heart: "Let love grow"
But my heart told my head: "This time no, this time no"
Dianna ha il passo svelto di chi cerca di lasciarsi troppe cose alle spalle, di chi pensa troppo anche se vorrebbe mettere a tacere tutto. Il passo di chi è in trappola, di chi sta crescendo e non ha neanche avuto un’adolescenza. Sua madre le ha sempre detto che le donne maturano più velocemente, hanno un maggior senso del dovere e si godono di meno la vita, ma cazzo nessuno le ha mai detto che sarebbe stato così maledettamente difficile. Nessuno le ha mai parlato degli attacchi di panico nella biblioteca della scuola e nessuno ha mai minimamente accennato al senso di solitudine ed abbandono che una donna può provare. Neanche sua madre.
Quando arriva all’università ha il fiato corto e le guance arrossate dal freddo, i capelli biondi scompigliati e le dita irrigidite dal freddo che stringono l’iPhone bianco mentre cerca di stoppare la musica. Stava ascoltando i Flyte, uno di quei gruppi che scopri per caso o per fortuna e che poi ti tieni stretti per le notti in cui fa tutto troppo male, per tutte le volte in cui vuoi essere sordo al mondo, per le attese, la metro e l’anima.
Trova l’aula di storia dell’arte moderna praticamente vuota e Dianna si concede il lusso di scegliersi accuratamente il posto. Si guarda intorno, i primi banchi meglio evitarli, la professoressa Stader è capace di interrompere la lezione e lasciare la classe sbattendo la porta se becca qualcuno con il cellulare in mano, un comportamento da diva e da vittima che ha trovato sempre incredibilmente irritante. Gli ultimi posti sono proprio da escludere, l’acustica in quella stanza è pessima e lei capirebbe solo metà delle parole della Stader. Ci sono quattro file di banchi, due banchi per fila, ed ogni banco offre quattro posti, per un totale di trentadue posti che raramente vengono riempiti. Dianna opta infine per il posto vicino alla finestra, nell’estrema sinistra della seconda fila di banchi. Si siede con quasi dieci minuti d’anticipo sull’inizio della lezione, prende il cellulare dalla tasca interna della borsa e risponde ad un messaggio di Camille, una sua amica del liceo.
Ci sono tante cose che Dianna non può minimamente sapere, quel giorno. Non può sapere che il professore di latino darà di matto e fisserà un esame da preparare in dieci giorni ad esempio, così come non può sapere che pioverà tutto il giorno; e non potrebbe in alcun modo sapere che il ragazzo riccio con gli occhi verdi si siederà vicino a lei, di nuovo.
Arriva alle 10.01, poco prima della professoressa. L’aula è ormai immersa nel chiacchiericcio tipico degli universitari preoccupati per un esame troppo vicino, o troppo difficile. Dianna sta parlando con Lysa, seduta proprio dietro di lei. La ragazza ha i capelli corvini tagliati in un look maschile che risalta i suoi zigomi alti ed il taglio degli occhi nocciola, sorride sempre e chiacchiera volentieri con Dianna prima delle lezioni, anche se la loro amicizia non è mai uscita dai convenevoli e dalle aule dell’università. Ha il piercing al naso e le labbra sottili, i denti un po’ storti ma bianchissimi.
«C’è questa mia amica che studia scienze politiche in Francia, e io mi chiedo: ma c’è qualcosa più noioso della politica in francese?»
Dianna scoppia a ridere e fa spallucce. «Economia aziendale, in francese?» suggerisce. Lysa ridacchia ed annuisce, spostando poi lo sguardo alla destra di Dianna.
«Ehy Harry!» esclama con un sorriso.
Dianna segue lo sguardo della compagna di corso e sente distintamente il sangue nelle sue vene smettere di scorrere, il cuore arrestarsi con una dolorosa contrazione e le guance avvampare. Quindi si chiama Harry. Bene. No, male male male.
Harry, proprio in quel momento, sta scostando la sedia accanto a quella di Dianna. Si toglie il cappotto nero, lo appoggia alla sedia e sorride a Lysa prima di sedersi. Sembra un modello, con i jeans grigi e stretti che gli fasciano le gambe toniche e un maglione color panna. In momenti simili Dianna vorrebbe davvero essere capace di controllarsi, di scrollarsi di dosso il rossore alle guance, l’insicurezza dipinta negli occhi ed il gigantesco punto interrogativo che proprio in quell’istante le lampeggia sul volto. Perché si è seduto di nuovo vicino a lei? Dio quanto è bello.
«Buongiorno Lysa» Harry sorride alla ragazza e Dianna si chiede come faccia ad essere ancora intera, perché lei con sorrisi del genere va in pezzi.
«Oh, lei è Dianna» la ragazza fa un cenno verso di lei con la mano e per la prima volta si guardano negli occhi. Un’altra delle cose che Dianna non poteva sapere quel giorno è che gli occhi di Harry sono capaci di inghiottire un essere umano e risputarlo con i pezzi totalmente scombinati. Lui le sorride amichevolmente, ha uno di quei sorrisi luminosi e dolci che sembrano fatti apposta per far sciogliere le ragazze –e i ragazzi, non si salva nessuno da sorrisi così-, e quando le tende una mano lei impiega diversi istanti a collegare i pezzi e a capire cosa sta accadendo intorno a lei.
«Piacere, io sono Harry».
Dianna stringe la mano del ragazzo e nota per la prima volta la croce tatuata sul dorso del pollice.
Sta davvero cercando di prendere appunti, e sta davvero cercando di ignorare la consapevolezza di due occhi verdi fissi sul suo viso. La Stader è entrata nell’aula come un tornado, è particolarmente nervosa ed ha intimato più volte il silenzio a Cory Cooper, seduto in prima fila esattamente al centro dell’aula, esattamente a tiro di quella donna tanto teatrale.
Harry ci mette un po’ a parlare, ha le mani intrecciate sul libro aperto davanti a lui ed i capelli ricci legati in un codino che su chiunque altro Dianna troverebbe semplicemente ridicolo ed antiestetico. Su chiunque altro, perché su Harry è sexy. Dannatamente sexy.
«Ti piace il caffè?» le chiede sorridendo. Sono le prime vere parole che si scambiano e sembrano strane come inizio di una conversazione con una perfetta sconosciuta, ma Dianna sorride quasi inconsciamente.
Si sente una stupida mentre annuisce con foga eccessiva e cerca di non fissare le labbra di Harry, schiuse in un sorriso.
«E…bho, ti va’ di prendere un caffè, nel pomeriggio?» continua lui, pacato.
Le serve qualche istante per assimilare correttamente ogni parola, ogni sillaba ed ogni lettera uscita da quelle labbra rosee, adesso strette in una linea insicura.
«Certo…cioè, sì.» cerca di improvvisare un sorriso sereno, mentre dentro di lei si scatena la danza dei dubbi e delle paranoie. Dianna non è mai stata il genere di persona che i ragazzi notano. Non importa che sia una bella ragazza, che abbia gli occhi azzurri e quel sorriso dolce che tutti dicono di cercare, lei semplicemente è diversa. Come se ci fosse un muro che la separa dai suoi coetanei, dalle altre persone. Un muro che pochi riescono a scavalcare, perché i più solitamente neanche ci provano.
Eppure Harry sembra non averlo neanche visto il muro. Le sorride ancora, fa un cenno verso la professoressa Stader che ha iniziato a lanciare occhiate infastidite nella loro direzione, ed entrambi tacciono con un’occhiata d’intesa. Con la coda dell’occhio lo vede scribacchiare qualcosa su un foglietto, per poi passarglielo. Trattiene un sorriso nel prenderlo, perché è un gesto talmente da scuola elementare che la riempie di tenerezza. Sul foglietto, sotto al numero di telefono di Harry, c’è l’indirizzo di Caffè nero ed un orario: 5.00pm.
Lei ci scarabocchia un ‘ok’ distratto e si copre la bocca con la mano per nascondere un sorriso che non proprio non riesce a reprimere.
Durante la lezione Dianna ha modo di studiare meglio il ragazzo seduto alla sua destra. Nota i due anelli che ha alla mano destra: uno semplice, d’argento, spesso e senza incisioni al pollice, ed un secondo anello dalle sfumature bronzee e ramate all’indice, dalla fattura semplice come il primo ma più sottile. Quelle di Harry sono il genere di mani che quelle come Dianna potrebbero sognare ogni notte della propria vita. Mani grandi e sicure, mani in cui affondare il viso per nascondersi dal mondo, il tipo di mani che desidereresti sul viso quando stai piangendo e sul corpo quando ormai ti fidi e sai che non ti faranno del male. E tutto questo, in una manciata di secondi, lo pensa di un perfetto sconosciuto. Distoglie faticosamente lo sguardo da quelle mani, ma ogni dettaglio di quel ragazzo sembra calamitare la sua attenzione con una forza tremenda. Cerca di non fissare troppo a lungo le labbra, il modo in cui si schiudono per pronunciare le ‘o’, così diverso dal modo che ha di lasciar uscire le ‘i’; tenta di non lasciar correre troppo i pensieri sulla croce tatuata sulla mano, o sui suoi capelli. Ma la parte davvero ardua sono gli occhi: due schegge verdi incagliate nel viso abbronzato, una vera e propria trappola. Occhi a cui potrebbe confessare tutti i suoi segreti, in cui annegare le paure ed ogni traccia di dubbio. Si ritrova così a fissare le proprie mani, a consumarle con gli occhi per non inciampare di nuovo nei dettagli e negli angoli di Harry.
La lezione finisce due faticosissime ore dopo. La Stader li congeda con un gesto annoiato della mano, intenta a sistemare appunti e libri nella borsa di cuoio marrone che ha posato sulla cattedra. È una donna abbastanza attraente, nonostante qualche chilo di troppo. Ha dei capelli biondi perfettamente acconciati in uno chignon che le ore di lezione non sono riuscite a sfaldare, indossa dei pantaloni bianchi e stretti ed un maglione rosa pallido, ai piedi delle ballerine beige che le fanno sembrare i piedi piccoli, da bambina quasi. Dianna si alza con cautela, cercando di non sfiorare Harry. Le sudano le mani mentre infila nella borsa la penna e l’agenda degli appunti.
«Dianna.» Harry la chiama, la voce roca e bassa.
Lei alza lo sguardo e, maledizione, incontra gli occhi verdi del ragazzo.
«Devo scappare, quindi…ci vediamo dopo?» la frase è perfettamente a metà strada tra l’essere un’affermazione ed una domanda.
Lei sorride, annuisce e si da’ nuovamente della stupida perché se non la smette di esprimersi a gesti la prenderà per una ritardata. «Sì, da Caffè nero.»
Harry sorride nell’infilarsi il cappotto e Dianna si concede di osservarlo mentre esce dall’aula a passo svelto.
Sono le 17.05 e di Harry nessuna traccia, ma è ancora presto e la colpa in fondo è sua: è arrivata in anticipo, come sempre. Si sistema il cappotto color panna, accavalla le gambe seduta su una panchina proprio di fronte a caffè nero e stringe le mani dentro le maniche per proteggerle dall’aria fredda. Ha le guance rosse per colpa del vento, si è truccata poco, giusto un po’ di fondotinta e di mascara, ed inizia a sentire l’ansia addosso come un vestito troppo stretto. Nella sua testa si affollano dubbi e paranoie, dai pensieri più stupidi alle congetture più angosciose.
“Forse avrei dovuto truccarmi un po’ di più. Magari mettere la matita per le labbra.”
“Non avrei dovuto anticipare tanto, sono le donne che si fanno attendere per Dio!”
“Ho dimenticato le gomme da masticare. E se mi baciasse? Ma no, è solo un caffè, non significa nulla. Ma se mi bacia davvero? Potrei andarle a comprare…ma no, sono le 17.10, e se arriva mentre sono via, non mi trova e se ne va?”
“Non arriva, forse ha cambiato idea. Forse se l’è dimenticato del nostro caffè.”
Quando controlla di nuovo il suo orologio da polso sono ormai le 17.45. Verifica anche l’ora dal cellulare, nel caso l’orologio si fosse rotto. 17.46. Si guarda intorno, cerca una via d’uscita qualsiasi dalla quella verità che le si sta parando prepotentemente davanti agli occhi nonostante lei faccia di tutto per evitarla, come una bambina. Si alza in piedi, liscia il capotto in un gesto distratto e cerca Harry con lo sguardo. Magari non lo ha visto, magari anche lui era seduto ad aspettarla e si sono attesi a vicenda come due scemi. Si avvicina alla caffetteria, lancia un’occhiata all’interno ma nessuna testa riccia spunta tra i clienti seduti a chiacchierare, a gustarsi un caffè dopo il lavoro o lo studio. Allora Dianna capisce, si arrende e abbassa lo sguardo con il cuore pesante. Prende l’iPhone dalla tasca interna della borsa, sfoglia qualche secondo il lettore multimediale e quando trova la playlist si sente un po’ meglio, meno sola dopotutto. Quando Reminder dei Mumford and sons parte ha già le cuffiette che la isolano dallo spazio circostante e sta camminando a passi svelti verso la metropolitana, cercando di lasciarsi dietro la terribile sensazione che, in fondo, in un modo o nell’altro, è tutta colpa sua.
In metro si concede tre lacrime, non una di più. Se le permette perché è stanca, perché ancora una volta non è stata abbastanza: abbastanza interessante, abbastanza bella, abbastanza ammaliante da incuriosirlo e da fargli ricordare del loro caffè. È stata la solita Dianna, quella tanto facile da dimenticare il venerdì sera e ignorare per strada, la Dianna che vorrebbe urlare ma non se lo permette, e rimane composta ad asciugarsi le tre lacrime tenendo lo sguardo basso per non farsi notare. Dopotutto, si rincuora, nessuno le ha viste quelle lacrime. In metro sono sempre tutti soli, non importa quanto sia affollata. E le lacrime sono per se stessa, non per Harry. Harry è solo l’ennesima prova del suo essere schifosamente sbagliata per il mondo.
Trova il coraggio di parlare con qualcuno di quello che è successo solo il giorno dopo, quando è ormai sicura di avere la stabilità necessaria a raccontare l’accaduto senza che gli occhi le diventino lucidi e le mani stringano con troppa forza la manica del maglione di lana intrecciata. Si è truccata, ha messo i pantaloni neri che le slanciano le gambe e gli stivali di cuoio neri, ha i capelli legati in una coda alta e quella notte ha dormito bene, sette ore filate. Non ha permesso ad Harry di turbarla al punto di non dormire, ma non è riuscita a studiare neanche una pagina per colpa dei pensieri, continuando a distrarsi e a chiedersi il perché di quella sua inadeguatezza costante. Alla fine ha raccolti i libri, cellulare, portafoglio e cuffiette ed è andata a Camden da Georgia e Niall.
Georgia la accoglie in pigiama, con i capelli scuri arruffati e gli occhi stanchi.
«Fai colazione con noi?» le propone, facendosi da parte per farla entrare in casa.
Dianna annuisce, sorridendo all’amica.
In cucina trova Niall e Kyle intenti a fare colazione come una vera famiglia, seduti a tavola e allegri nonostante siano le 8.30 del mattino, orario in cui non c’è assolutamente motivo per esserlo. Niall è in mutande, seduto scompostamente sulla sedia. Ha una sigaretta dietro l’orecchio destro e sta mescolando i cereali nel latte caldo. Si lascia sfuggire uno sbadiglio prima di salutarla.
«Sorella!»
«Fratello in mutande!» ricambia il saluto, sedendosi vicino a Kyle. Il ragazzo la saluta con un gesto della mano mentre butta giù un sorso del suo caffè macchiato. Almeno quest’ultimo ha avuto la decenza di presentarsi con i pantaloni del pigiama ed una t-shirt scolorita con stampata la faccia sorridente di Einstein.
«Lo so, sono sexy.» ammicca Niall, tendendo una gamba in aria in quello che dovrebbe essere un movimento seducente. Dianna scoppia a ridere sfilandosi il cappotto mentre Georgia guarda il coinquilino con disgusto.
«Togli quella cosa dalla mia vista.»
«Sei solo invidiosa delle mie gambe.»
Kyle, rimasto in silenzio per tutto il tempo, approfitta della vicinanza per tirare uno schiaffo dietro il collo di Niall, colpendolo con un sonoro ‘pat’.
«Ehy!»
Georgia e Dianna si scambiano uno sguardo, divertite.
«Novità?» le chiede l’amica, ignorando il battibeccare di sottofondo di Niall e Kyle.
Dianna annuisce, ma rimane in silenzio e l’altra capisce che è meglio parlarne dopo, in privato. Le sorride e le passa una tazza pulita.
«Tè, latte o caffè?»
È il turno di Kyle di sparecchiare, quindi, mentre Niall prende possesso del divano e del telecomando, Dianna segue Georgia in camera sua.
«Certo che non ti annoi mai con loro eh!» commenta divertita, sedendosi sul letto sfatto.
Georgia alza gli occhi al cielo ma sta sorridendo. Prende il pacchetto di sigarette sulla scrivania, apre la finestra e si accende una sigaretta affacciandosi in strada. Cerca di non dare troppo le spalle a Dianna mentre parla. «Qual è il problema?»
Lei si osserva le unghie, tormentandosi le mani in cerca delle parole giuste per inquadrare la situazione.
«Beh, ieri il ragazzo riccio si è seduto di nuovo vicino a me. Si chiama Harry.» Georgia annuisce lanciandole un’occhiata. Sembra distratta, ma sa che la sta ascoltando. Ormai è abituata ai gesti di Georgia, al suo guardarsi intorno durante una conversazione perché reggere gli sguardi è difficile per lei, la fa sentire a disagio. «E mi ha invitata a pendere un caffè.»
L’amica si volta di scatto con un sorriso stampato in faccia, che si spegne nell’esatto istante in cui i loro occhi si incrociano. «Ma?»
«Ma non si è presentato.» lo dice come se fosse la cosa più ovvia del mondo, e quel tono noncurante le costa una certa fatica.
«Stai scherzando?» Georgia sembra furiosa, è sempre stata iperprotettiva nei confronti dei suoi amici, soprattutto con Dianna. Negli occhi verdi lampeggia quella sfumatura di rabbia e seccatura di cui è sempre meglio tener conto.
Lei scuote la testa, abbozza un mezzo sorriso tracciando cerchi concentrici sul tessuto dei suoi pantaloni con le dita.
«No, non è venuto. Ho aspettato quasi un’ora.»
«Ti avrà almeno chiamato, mandato un messaggio…»
«Non ha il mio numero, sono io ad avere il suo.» si sposta una ciocca di capelli dietro l’orecchio, aspettandosi a questo punto un’ovvia domanda.
«E tu non l’hai chiamato?»
«Non…non volevo essere insistente.» mormora con un tono colpevole che sembra far infuriare Georgia ancora di più.
«Beh, mi sembra logico! Lui ti fa aspettare un’ora e tu con una telefonata risulti invadente!» getta il mozzicone di sigaretta dalla finestra, la chiude e si siede sulla scrivania, proprio davanti a lei. «Hai fatto una cazzata, lo sai vero?»
Dianna annuisce, sbatte le palpebre cercando di nascondere gli occhi lucidi.
«Mandagli un messaggio.»
«Ormai è tardi. Può darsi che si è dimenticato, che non gli interesso.»
«O magari si è rotto una gamba, ha avuto un contrattempo, ha sbagliato indirizzo. Non mettere subito le mani avanti. Cazzo ti ha invitata lui, devi interessargli.»
Dianna ci pensa qualche istante, sono le stesse parole che ha cercato di ripetersi da sola tutto il giorno precedente ma che aveva bisogno di sentirsi dire da qualcuno.
«Lo incontrerò di sicuro in facoltà.»
«Brava bambina.» salta giù dalla scrivania e, fingendo un tono distratto, aggiunge: «Io ho tipo chiuso con Louis.»
«Tipo chiuso?» aggrotta le sopracciglia, cercando di studiare il viso sorridente di Georgia. Gli occhi socchiusi però la tradiscono.
L’altra annuisce con forza, quasi convinta. «Credo si senta con una ragazza e…beh, è ridicolo continuare così. Ci sono volte in cui mi abbraccia, si stende sul letto e mi trascina con lui, si presenta ad ogni ora al locale e mi scrive quei messaggi criptici del cazzo, poi gli gira male e smette di cercarmi e di farsi vivo, mi risponde a monosillabi, poi torna ancora a fare il carino…lo strangolerei!» sembra una pentola a pressione in procinto di esplodere. La guarda frustrata ed arrabbiata e Dianna non riesce a trattenere una risata.
«Secondo me gli interessi.»
«Non siamo più alle medie, non ci si comporta così con qualcuno che ti interessa.»
«E’ un ragazzo, un ventenne ancora peggio! Non ragione, semplicemente non è predisposto al pensiero.» Georgia ride nonostante l’amica sia seria. «Non allontanarlo.» insiste Dianna.
L’amica torna seria e scuote la testa.
«Credimi, è meglio così.»
«Lasciagli il modo e il tempo di dimostrartelo.» continua.
«Non c’è niente da dimostrare.»
Incrocia Harry nel cortile dell’università, a lezioni finite. Sono le 16.05 e Dianna non vede l’ora di tornare a casa e regalarsi una doccia bollente.
Harry la saluta da lontano, ha già un sorriso di scuse sulle labbra e le mani infilate nelle tasche del cappotto nero. Lei nota appena il viso pallido e le occhiaie, il suo cuore tentenna un’istante ed è una reazione stupida che non riuscirà mai a controllare.
«Dianna!» la chiama, in modo da non darle via di scampo.
Lei lo guarda da lontano, si chiede se sia il caso di sorridere e alla fine si costringe a curvare le labbra verso l’alto, più per educazione che per reale felicità.
Vederlo è solo un pugno nello stomaco, soprattutto perché cammina perfettamente e l’ipotesi di Georgia della gamba rotta va a farsi benedire. Tornano così le paranoie, le paure e la stupidaggine.
Si ferma a pochi passi da lei e si riavvia i capelli con una mano, sembra imbarazzato ed insicuro. Dianna rimane in silenzio, non tocca a lei.
«Scusami per ieri.» cerca di evitare il suo sguardo, lancia occhiate nervose a terra e si passa una mano sul volto. Sembra stanco e stressato. «Ti giuro, ho avuto un contrattempo in famiglia e non sapevo come contattarti. Avrei dovuto chiederti il numero, sono stato un’idiota…» si lecca le labbra e finalmente la guarda.
Lei vorrebbe, dovrebbe dargli dello stronzo, mettere al primo posto se stessa e borbottare un “non mi interessa”, ma proprio non ce la fa. Lo sguardo di Harry sembra veramente dispiaciuto, e lei sente qualcosa all’altezza dello stomaco che gli dice di non scappare alla prima occasione. Non questa volta.
«Non…non ti preoccupare.» gli sorride ed Harry sembra rilassarsi.
«Ti andrebbe di recuperare, magari più tardi? Ho lezione fino alle 18.00.»
Georgia le direbbe di tentennare, di fingere di pensarci e di proporre magari il giorno dopo inventando chissà quale impegno, ma Georgia non si è mai trovata davanti un paio di occhi simili.
Annuisce e si sistema la borsa sulla spalla. «Stesso posto?»
«Se ti va. Magari fammi uno squillo sul cellulare, così salvo il numero.»
Due minuti dopo si sono salutati, Dianna si sta dirigendo verso casa con il passo svelto ed un sorriso sul volto. Harry ha il suo numero di telefono e non si era dimenticato di lei.
Questa volta Dianna non scappa.
Harry la chiama alle 18.05, poco prima che lei esca di casa.
«Dianna…» Un peso allo stomaco sembra presagire le parole del ragazzo. «Ho…ho avuto un altro problema e non riesco a liberarmi. Mi dispiace.»
Tutto ciò che Dianna dice, prima di riagganciare, è un secco: «Ok.» Un ok che sa di delusione, amarezza, sbaglio e rifiuto. È in quel momento che decide di rinunciare, perché due tentativi sono leciti ma il terzo sarebbe semplicemente ridicolo.*Spazio autrice*
Sarò breve: ho già perso 40 mintui per cercare un'immagine adatta per la fine del capitolo, ed esigo un tè caldo.
Questa storia non ha molto successo, e spero davvero che con il tempo vi faccia meno schifo. Prevedo una cosa come 10 capitoli massimo, e anche se è semplice e leggera come storia spero di appassioni.
Questo capitolo vi ha presentato la storia di Dianna, ed è entrato in scena Harold. Cosa ne pensate di lui? Diciamo che fino ad ora I am the antichrist to you sembra un po' la ballata dei maschi deficienti, ma chissà che con il tempo non migliorino.
Il prossimo capitolo sarà totalmente incentrato su Kae. Spero davvero di ottenere qualche parere sincero, e di conquistarvi pian piano.se mi cercate sono sempre qui: http://ask.fm/giulialovedoors https://www.facebook.com/giulia.risingsun
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I am the antichrist to you.
FanfictionDianna ha ventidue anni, tre attacchi di panico alla settimana ed un anello che le ha regalato Niall appeso ad un filo di caucciù nero come fosse una reliquia.Georgia fuma una sigaretta al giorno, ma sostiene di non essere una fumatrice perché non c...