𝐈. 𝐚𝐧𝐠𝐞𝐥𝐢 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝗺𝗼𝐫𝐭𝐞

74 9 7
                                    

Non batteva ciglio, la guardava dritta negli occhi. Le stava mentendo o probabilmente voleva convincerla di qualcosa.

Spostasti lo sguardo.
Tossicchiava a intervalli precisi, era scomodo sulla sedia, sopracciglia alzate. Era nervoso, stava nascondendo qualcosa?

Il tuo sguardò vagava su ogni persona in quella immensa sala. Lo sapevi che non c'era neppure una persona sincera a quel ricevimento. Non era una festa in maschera eppure tutti ne avevano una, compreso l'uomo seduto accanto a te.

Stava sorridendo e tu quel sorriso lo vedevi da quando ne avevi memoria. Era un movimento ormai automatico, era forzato ma fatto così bene da non darlo a vedere, i suoi occhi non si mossero a quel gesto. Il sorriso più finto di tutta la finzione concentrata in quella villa più simile a un castello.

Non avevi mai messo piede fuori da quella villa, nemmeno una volta. La conoscevi come le tue tasche. Quelle mura erano il tuo mondo e i domestici, l'uomo accanto a te, i suoi sottoposti e tutti quegli invitanti che si riunivano nel grande salone una volta all'anno erano gli abitanti.

Eri convinta, ormai, che non esistessero persone diverse da quelle. Tutte pensavano a propri comodi, tutte tradivano, tutte mentivano, tutte fingevano. Nessuno meritava fiducia. Ma dopotutto, cos'era la fiducia se non un sogno sbiadito a cui ci appigliamo nella speranza che un giorno diventi realtà.

Ne valeva la pena?

Di certo tu non potevi saperlo. Tu che eri priva di qualsiasi interesse, tu che non avevi una ragione per vivere o una per morire, tu che le emozioni potevi vederle solo dietro ad uno schermo, tu che non davi importanza a quella infinita e pungente sofferenza che a poco a poco divorava il tuo cuore, tu che guardando l'uomo che pretendeva di essere un padre per te vedevi solo menzogne, tu che pur sapendo di essere usata e presa in giro non muovevi un dito.

Cosa potevi saperne tu di cosa valesse la pena fare?

Ti alzasti e ti sistemasti il vestito di pizzo bianco che ti arrivava alle ginocchia lasciando le tue spalle scoperte.

L'uomo accanto a te, Yang Hyunsuk, ti lanciò uno sguardo interrogativo.
«Vado in bagno, torno subito.» sibilasti facendo un piccolo inchino automatico.

Il sorriso finto sul suo viso non scomparve, nonostante lo sguardo leggermente infastidito. Lui lo sapeva bene che tu potevi capirlo quando fingeva, ma continuava a sorriderti in quel modo.

«Fai in fretta. Ho una negoziazione tra poco.»

Annuisti e ti incamminasti lontano dal divano in pelle. Non eri mai mancata a una negoziazione, a lui servivi. Ti usava come se fossi una macchina della verità solo perché eri brava a capire le persone. Non avevi mai capito che emozione si provasse quando si viene usati. Non eri delusa, o amareggiata, o arrabbiata. Non eri nulla.

Lasciavi semplicemente che quella sofferenza che era nata insieme a te ti divorasse senza riuscire a capire cosa realmente fosse.

Quando raggiungesti le scale alzasti lo sguardo e ti fermasti ai piedi del primo gradino ricoperto dal tappeto rosso. C'erano sette giovani uomini su quella grande scalinata.

Conoscevi tutti in quella villa eppure loro non li avevi mai visti.

Il primo su cui ti soffermasti era quello seduto più avanti a quattro gradini distante. Aveva i capelli di un grigio chiaro e il ciuffo gli cadeva ribelle sull'occhio destro. I suoi occhi erano terribilmente annoiati, sedeva pigramente al centro del gradino con le gambe aperte e i gomiti sullo scalino alle sue spalle. La sua testa era leggermente inclinata lateralmente mentre ti osservava con circospezione.

𝗼𝐫𝐩𝐡𝐚𝐧 𝐛𝐥𝐚𝐜𝐤 | 𝐤𝐭𝐡Where stories live. Discover now