Le scarpe rosse

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Era distesa nel letto, chiusa dentro la sua cella, che era solita definire "spaziosa quanto una bara".
I giorni passavano e niente cambiava. Solo un susseguirsi di notti insonni, ripetitività di azioni identiche scandivano il tempo interminabile che ognuna delle carcerate era costretta a passare lì.
Clara era sul punto di arrendersi, forse già l'aveva fatto. Da qualche giorno la pancia aveva smesso di brontolare per la fame, lei mangiava il minimo indispensabile per sopravvivere, beveva solo quando casualmente si ricordava di farlo.
La vita lì dentro, se tale poteva definirsi, la stava portando piano piano ad annientarsi. Aveva imparato a fare i conti con l'ansia, il mal di testa, la nausea. Adesso capiva perfettamente ogni segnale che le dava il suo corpo, anche se spesso e volentieri tendeva ad ignorarlo.
Spostò lo sguardo sulla porta della cella che emise un cigolio e notò senza alcuna sorpresa che stava entrando una guardia, mai vista prima.
Era giovane, alto, biondo, le braccia possenti e uno sguardo serio. Aveva in mano un foglio che guardò non appena mise piede nella stanza.
"Clara Anderson?" alzò lo sguardo dal pezzo di carta.
Lei annuì. La permanenza in carcere le aveva fatto capire che era meglio parlare solo quando strettamente necessario.
"Hai la visita medica" interruppe la frase dando una rapida occhiata all'orologio che portava al polso "adesso. E dovresti prendere tutte le tue cose, perchè non dormirai più qui".
Clara aggrottò la fronte confusa "Che significa? Dove mi spostano?"
"Avrai una compagna di cella che ti presenteremo dopo la visita. Dovresti alzarti dal letto ora, il dottore ti sta aspettando".
Mentre faceva come le era stato detto, si interrogò sul perchè, il minimo sforzo rappresentasse per lei un'enorme fatica in quei giorni.
Prese in mano il suo borsone e ci buttò indolente tutto quello che aveva: spazzolino, dentifricio, quattro paia di mutande, calzini e la foto sorridente di Violet. Strisciò verso la porta con poca convinzione.
Si sentì gli occhi della guardia puntati addosso mentre porgeva le mani per farsi serrare i polsi dalle manette. Che umiliazione sentirsi sempre così pericolosa.
Il corridoio era buio e rumoroso, fu come doversi tuffare bruscamente tra la folla di gente, consapevole che intorno non vorresti avere nessuno.
Clara come sempre camminava a testa bassa, in modo da non incrociare lo sguardo delle altre carcerate. Il ragazzo biondo la scortava, seguendola a passo lento.
Fu più rapido del previsto raggiungere la destinazione.
"Dobbiamo entrare qui"indicò la porta socchiusa alla loro destra, dopodiché la spinse col palmo della mano, lasciando passare prima la ragazza.
Nella sala c'erano tre persone: il medico del penitenziario e due infermiere.
"Grazie Edward, aspetta pure fuori. Ci vorranno solo dieci minuti, dopodiché potrai accompagnarla nella sua nuova cella".
La guardia uscì chiudendosi la porta alle spalle, mentre Clara, come ipnotizzata, non riusciva a staccare gli occhi dalle ballerine di vernice rosse di una delle due operatrici sanitarie, in piedi davanti a lei.
In un attimo nella sua mente era giugno del 1953 e i festeggiamenti per il suo quindicesimo compleanno erano già iniziati.
La giornata era meravigliosa, un tavolo pieno di bibite e panini era posizionato in giardino, dove alcune ragazze, tra cui Bree stavano giocando a pallavolo.
Clara raccolse da terra un palloncino rosa. "Grazie per la avermi aiutata ad organizzare la festa, papà. E' tutto come volevo". Baciò sulla guancia il suo uomo. Da grande sarebbe voluta diventare come lui, in tutto e per tutto.
"Tesoro, mi sembra il minimo. Ieri i professori mi hanno parlato benissimo di te, dicono che sei studiosa, che sei migliorata anche in Matematica quest'anno. Io sono molto fiero della mia bambina e... Lo sarei anche se tu fossi un asino a scuola!". Robert sorrise e Clara guardando i suoi occhi, si rese conto che stava trattenendo le lacrime.
"Ti voglio bene, papà. Hai fatto un ottimo lavoro con i tuoi figli negli ultimi anni e anche Thomas lo pensa, nonostante non te lo dica spesso. Vado ad aprire i regali, che muoio dalla curiosità!". Strizzò l'occhio a suo padre, che appoggiato al muro di casa, l'ammirava, innamorato.
Aveva molti pacchetti da scartare quell'anno, tutta la sua classe si era presentata alla festa. Bree era eccitata.
"Spero ti piaccia". Clara tirò fuori dal sacchetto, un libro dalla copertina verde scura, il cui titolo era "Il giovane Holden".
Sospirò emozionata, pensando che nessuno la conosceva così bene come Bree. Adorava leggere, e passando davanti alla libreria di Clevedon con la sua amica, una mattina, aveva espresso curiosità proprio per quel libro.
"Grazie mille, davvero".
Bree stava aguzzando la vista verso l'auto che qualcuno aveva appena parcheggiato dentro il cancello di casa.
"E' arrivato tuo fratello con... Chi è quella?"
Clara si voltò incuriosita, notando che Thomas, tenendo un enorme sacchetto in mano, stava camminando verso di loro, accompagnato da una ragazza bionda che indossava un vestito bianco estremamente corto e scollato.
"Auguri rompiscatole", disse sorridente, non appena fu abbastanza vicino a Clara, da porgerle il regalo.
La sorella lo guardò con aria interrogativa, poi tornò ad osservare la bionda dal rossetto rosso fuoco che ora, con una mano stava stringendo quella di Thomas, con l'altra si portava alla bocca una sigaretta.
"Lei è Susan, la mia nuova ragazza. In realtà è già qualche mese che stiamo insieme, ho pensato che ti avrebbe fatto piacere conoscerla. Il regalo è anche da parte sua, ovviamente". Thomas masticava nervosamente un chewing gum.
Ci teneva che l'incontro tra loro andasse nel migliore dei modi, era evidente.
"Piacere di conoscerti, Susan", Clara abbozzò un sorriso, guardando negli occhi quella ragazza, tanto bella quanto inespressiva, che contro ogni previsione non proferì parola.
"Ciao Bree, non ti avevo vista, come stai?" Thomas si tolse gli occhiali da sole, tentò di cambiare
argomento per far fronte al disagio che lo aveva sorprendentemente colto in quel momento.
Bree, accanto all'amica, avrebbe voluto urlare, ma si limitò a fissare il bicchiere di aranciata che aveva in mano
"Alla grande", disse poco convinta. Nell'aria si creò un'atmosfera di profondo imbarazzo e per qualche secondo calò il silenzio, poi interrotto con prepotenza.
"Ci sono alcolici a questa festa?", gli occhi glaciali di Susan stavano penetrando dentro quelli di Clara, che, impacciata, abbassò involontariamente lo sguardo, giusto in tempo per vedere la sigaretta schiacciata con forza, da una scarpa rossa di vernice.

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