Rebecca e Marcus

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Rebecca si alzò in piedi alla svelta massaggiandosi l'anca. Appena sentì la risata alle sue spalle, con gli occhi ridotti a una sottile fessura, si voltò e fissò Marcus con odio.

«Non è divertente», sibilò al chiarore della luna.

«Avanti tesoro, lo è. Sei... precipitata» e si avvicinò a lei.

«Non sono precipitata, mi sono distratta e non ho visto quegli alberi e così...»

Marcus, in tutta risposta, indicò un ammasso di ferraglia davanti a loro.

Le scocciava ammetterlo, aveva sbattuto contro un albero, poi era scivolata dalla collina e dopo una serie di capriole era atterrata sul lato di un piccolo capanno di legno, riducendo a un ammasso di ferraglia un taglia erba e un decespugliatore.

«Ok, ormai è fatta. Procediamo, abbiamo poco tempo» e avanzò di qualche passo con la mano di Marcus nella sua.

«Sei proprio sicura di volerlo fare? Siamo in un giardino, immersi nell'oscurità, in piena notte e stiamo per bussare alla porta di una donna che, appurate le nostre generalità, chiamerà di certo la neuro.»

Rebecca si avvicinò a Marcus, si specchiò nei suoi occhi azzurri illuminati dalla luna e poi lo baciò.

«Lo so, ma è un'occasione unica. Pensa, renderemo reale ciò che è irreale.»

Marcus annuì.

Si avvicinarono al portone di una villetta e Rebecca suonò il campanello. Poco dopo, una signora dall'aria assonnata la fissò stranita.

«Salve», salutò sorridendo mentre l'altra spostava lo sguardo da lei a Marcus che, come al solito, non mancò di farsi conoscere per quello che era: uno sbruffone.

«Non siamo rappresentanti porta a porta.»

Rebecca, dopo averlo colpito con un cazzotto al fianco, riprese la parola: «Lei è l'editore vero?»

Niente. Mutismo totale.

«Ok... so che è notte fonda e quello che sto per dirle potrà sembrare assurdo, ma ecco... io sono Rebecca e lui è Marcus.»

Nessuna reazione.

«Posso mostrare le zanne?» chiese Marcus con un ghigno.

La ragazza si voltò fulminandolo con i suoi occhi gialli e quando tornò a guardare la donna, successe il fattaccio.

La donna sobbalzò all'indietro terrorizzata, Marcus sogghignava e Rebecca comprese che presentarsi in quel modo, senza, per altro, aver avvisato, era stata una mossa non esattamente ortodossa.

«Oddio, mi dispiace, davvero. Non sono pericolosa, non lo è neanche lui... ma adesso credo abbia capito no?»

«Non è possibile. Voi non esistete davvero.»

«Ecco... che dire. Ciò che si nasconde nell'ombra è più reale di quanto tutti possono pensare. Però niente è nero a prescindere, e non lo è per sempre, noi ne siamo la prova vivente. Se mi promette di non svenire e non urlare, possiamo entrare e fare due chiacchiere.»

Mi spostai di lato e li lasciai entrare. Quei due non potevano esistere veramente, ma erano lì e si erano già seduti sul divano.

«Tu... io ti ho letto», dissi. La ragazza mi sorrise.

«Già, una vita intensa e particolare.»

«Non può essere... come... perché... cosa...» e fissai Marcus.

Era imponente e seduto in maniera regale sul divano.

Aveva i capelli neri come la pece e gli occhi di un azzurro mai visto prima. Non erano reali, e nemmeno umani, eppure erano davanti a me e si tenevano per mano.

Senza sapere il perché, sorrisi e mi sedetti di fronte a loro.

«Quindi siete reali?»

«Beh, se non lo fossimo sarebbe un gran dispiacere per i nostri fan», disse lui, incrociando le braccia sul petto, con i muscoli tesi.

«Siamo qui solo per una notte, questa notte. L'allineamento dei pianeti e i miei poteri hanno reso questa notte perfetta. Volevo solo che lei sapesse che noi siamo sparsi, ma uniti tra noi da un filo invisibile, da lei che ci ha creato», disse Rebecca.

La fissai senza capire. «Noi chi?»

La ragazza si alzò dal divano e mentre gli occhi diventavano gialli aprì un poco le ali: erano una nera e una bianca.

Marcus l'affiancò e la strinse per la vita.

«Dovresti mostrarglielo», sussurrò Marcus a Rebecca.

La ragazza, come se conoscesse la casa da sempre, si avviò verso la porta finestra che dava sul giardino e uscì. Li seguii senza rendermene conto.

Lì, Rebecca spalancò le ali e apparvero anche una miriade di sfere luminose.

«Sono mondi bellissimi. Unici e speciali. Creati nel nero di una pagina nascosta e che col tempo, grazie agli autori, a lei e a tutti voi che vi occupate di stampare i libri hanno preso vita. Siamo milioni e cresceremo sempre di più.»

Osservai quelle piccole sfere luminose sospese nel nulla ed era impossibile contarle.

Marcus si avvicinò.

«I mostri, nel nero della notte, esistono.»

Il viso del ragazzo mutò in qualcosa di inspiegabile e terribile: il ghigno di un vampiro. Poi continuò: «Elfi, fate, streghe, fantasmi, killer, assassini e forse anche unicorni rosa», e mi fece l'occhiolino.

Sorrisi, in quel momento sembravano solo due semplici ragazzi.

«Non smetta mai di dare speranza ai sogni e...», disse Rebecca guardando il giardino accanto, «mi scusi col suo vicino. Ho avuto un piccolo incidente durante l'atterraggio e credo di aver distrutto alcuni attrezzi.»

Marcus rise, una risata cristallina, con i canini bianchissimi e sporgenti che mostravano la sua natura.

Lei lo spinse via. «Siamo precipitati...»

«Non siamo precipitati, siamo qui per un motivo ben preciso. Raccontagli cosa...» Rebecca gli chiuse la bocca con una mano.

«Niente spoiler, ricordi? Ci scusi e scusi anche questo incontro assurdo e strambo. Mi ha fatto piacere non solo vederla, ma mostrarle le sfere. Buona notte.»

La osservai voltarsi, afferrare per mano il ragazzo e dopo aver spalancato ancora le ali, sparire.

Rientrai come un automa in casa e mi sedetti sul divano. Chiusi gli occhi un attimo.

Era tutto assurdo e quando sentii la sveglia e riaprii gli occhi mi resi conto di essere nel mio letto e che fuori era giorno.

Abbozzai un sorriso.

«Era uno stupido sogno», mormorai. Infilai le prime cose che trovai sulla poltrona accanto al letto e uscii in giardino. Il mio vicino era nero, imprecava più di sempre.

«Teppisti», urlava, e appena mi vide si avvicinò.

«Ti rendi conto Rita che stanotte qualcuno mi ha distrutto il capanno? Attrezzi accartocciati, tetto distrutto. Hai sentito nulla?»

Osservai incredula la piccola struttura e il decespugliatore distrutto, così come il taglia erba.

Era stato un sogno no? O forse... Sollevai lo sguardo al cielo e per un attimo rividi le piccole sfere luminose. Altri mondi? 

(Questo racconto è il frutto della "penna" di Sara Marino, autrice della saga fantasy "Rebecca e Marcus")

Nera a prescindereWhere stories live. Discover now