One.

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Teneva una bandana a strisce bianche e nere annodata nei capelli tinti di rosso come il fuoco ardente ,sparati all'aria senza alcuna sistemazione.

Nelle mani stringeva una chitarra elettrica nerissima con disegnata sopra una croce capovolta di un giallo fosforescente che catturava lo sguardo di tutti verso il palco, verso di lui.

La pelle era lucida per il sudore ed era illuminata dalle luci, la canotta rossa e senza maniche, abbinata ai suoi capelli , lasciava scoperte le braccia abbastanza robuste, marcate qua e là da qualche cicatrice dettata dal passato o da qualche bruciatura di sigaretta.

Portava dei jeans neri e attillati, strappati sulle ginocchia sbucciate e tenuti fermi da una cintura di pelle stretta ai fianchi.

Cantava con una voce roca e baritona, per molti seducente, mentre con le dita lunghe pizzicava quella chitarra a cui aveva donato la propria vita e con cui si stava facendo una carriera, insieme alla sua band.

Portò gli occhi chiari al pubblico, catturando sguardi eccitati, ma anche il cuore di molti.

Due occhi lo colpirono particolarmente: erano verdi su quel viso angelico e cosparso di lentiggini che stonava in quella situazione, in mezzo a quella folla che urlava senza alcun remore e logica, quel viso esprimeva calma e sicurezza.

Era inebriato dall'eccitazione del momento, aveva il cuore in gola, ma teneva le mani salde sul suo strumento.

Quando i loro sguardi si incastrarono, le guance pallide di quel ragazzo si colorarono di un rosa tenue, cosa che portò il rosso a sfoggiare un ghigno malizioso che lasciava intravedere dei denti bianchissimi, due canini marcati ed appuntiti.

Fu come rinato davanti a quegli smeraldi luccicanti, suonò come mai aveva fatto prima d'ora, provocando urla d'eccitazione nella folla e sguardi d'approvazione da parte dei suoi compagni di band.

Bastò un attimo, lasciò che i loro sguardi si scollegassero e lo perse, probabilmente non avrebbe mai più rivisto quei pozzi d'anima che erano i suoi occhi, eppure li aveva impressi nella memoria e mai li avrebbe dimenticati.



Aveva la testa piena di pensieri che gli martellavano il cranio, che gli impedivano quasi di respirare e godersi quella che i suoi amici chiamavano festa, ma che lui considerava una enorme ed inutile perdita di tempo.

Cosa c'era di tanto bello nelle discoteche?

Masse di corpi sudanti senza nome e senza storia che si strusciano uno contro l'altro cercando un minimo segno di attrito.

Si guardava intorno, stringendo l'ennesima bottiglia di birra ancora troppo piena per i suoi gusti, gli occhi semichiusi e una smorfia sulle labbra per la troppa musica di quel bar pieno di giovani e adulti che non avevano niente di meglio da fare, se non scambiarsi saliva con qualche sconosciuto.

Tutto ciò portò un forte senso di disgusto in Elijah, un senso di claustrofobia gli stringeva forte lo stomaco.

No, le serate a divertirsi in bar o discoteche non le capiva e mai lo avrebbe fatto.

Persone senza dignità che cercano in tutti i modi di portarsi a letto qualcuno o perlomeno entrare nella sua bocca, per appagare forse il proprio ego distrutto col tempo.

Un ego inginocchiato nei bagni di quella discoteca, un ego spesso brutale, meschino.

Alzò gli occhi al cielo guardando il soffitto illuminato di mille colori e sfumature diverse, sbuffando sonoramente, facendosi spazio a spallate per uscire da quell'afa di metà luglio.

Appena fuori da quel casino, prese un'enorme bloccata d'aria, si riempì i polmoni di odore di mare e salsedine, sentiva ancora la musica forte e gli schiamazzi della gente, ma finalmente era solo.

Prese un lungo sorso di birra e cominciò a correre.

Arrivò presto in quel luogo tranquillo, che lui riteneva segreto e di sua proprietà, quel luogo che lo conosceva meglio di qualunque altra persona al mondo.

Cominciò finalmente a sentirsi più tranquillo, mentre il rumore del mare gli si insinuava nelle orecchie e il vento gli soffiava sulla pelle che aveva lasciato volutamente scoperta.

Si calmò del tutto, lanciando qualche sasso nell'acqua limpida davanti a lui.

Si fermò per qualche minuto, forse qualche ora, a guardare le stelle, così lontane e irraggiungibili, eppure così vicine a lui.

Provò stupidamente a contarle, come spesso aveva fatto da bambino in quei pochi momenti di serenità della sua infanzia.

Gli vennero in mente ricordi che avrebbe dovuto seppellire, sangue e lacrime si mischiavano insieme nella sua mente, non gli lasciavano tregua.

Fu risvegliato dai suoi pensieri da un rumore dietro di lui,che lo portò a girarsi velocemente e di scatto.

Subito le sue labbra rosse si aprirono in un sorriso che era strano sul suo viso, quasi sempre triste e serio, o piegato in un'espressione maliziosa.

"Non pensavo di rivederti"

[Every Time We Touch] Boy×BoyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora