Central Park.

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Kamar-Taj, Katmandu

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Kamar-Taj, Katmandu.
13 /02/2019.
11:50 a.m.
Cortile di Kamar-Taj.

Erano passati tre giorni da quando io e Stephen avevamo risolto i nostri problemi, e le cose tra noi andavano meglio.
Il suo comportamento nei miei confronti si era addolcito un pochino, perché di tanto in tanto continuava a comportarsi come sempre, ma provava, almeno nei miei confronti, a fare sempre meglio, come aveva promesso; ciò mi aveva aiutato ad apprezzare quei tre giorni come mai prima.

Mi stava mostrando la sua parte migliore: la gentilezza, l'educazione, la sua flessibilità, la sua curiosità, la sua volontà ferrea, la sua fiducia, il suo altruismo, la sua bontà e il suo essere comprensivo nei miei riguardi...non mi sarei aspettata che sotto sotto era così, e se me lo avessero detto, tre giorni prima, molto probabilmente sarei scoppiata in una risata derisoria, ma a quanto pareva era veramente una buona persona.
So che era soltanto l'inizio, e che molto probabilmente non conoscevo ancora molte cose di lui, e che probabilmente avremmo litigato ancora per cose futili, però come inizio mi andava bene; per come tutto il resto, ci voleva del tempo, non era di certo tutto immediato. Come si diceva? Dai tempo al tempo!

D'altro canto, Wong era felice che le cose tra noi si fossero risolte.
Sembrava un cane trattenuto al guinzaglio, o peggio, una mamma che non vedeva l'ora di sgridare suo figlio, rendendosi poi conto però che non serviva; la sua faccia, un misto tra la sorpresa e la felicità, mi faceva sempre ridere.

Qualcosa di strano, però, mi succedeva quando ero al suo fianco: il mio corpo veniva scosso da una strana elettricità, soprattutto quando i nostri occhi s'incontravano o capitava di sfiorarci, solitamente per sbaglio; mi capitava addirittura di arrossire, sotto il suo sguardo azzurrino, e provavo a nascondere la cosa per non farmi scoprire.
Che lo notasse o meno, faceva finta di niente, taceva, anche se gli angoli della bocca gli si sollevavano in un sorriso ogni volta che le mie guance si tingevano di un rosso porpora, perciò era abbastanza ovvio che lo notasse, ma che tacesse per non peggiorare la situazione: che gentiluomo che era, il mio padrone di casa.

Facevamo molte cose insieme e cercavamo reciprocamente la compagnia dell'altro: avevamo appreso che la lettura era una cosa che ci accomunava, molte volte c'eravamo ritrovati a leggere in soggiorno insieme, e a commentare le nostre letture, o almeno quelli che non riguardavano gli incantesimi, perché io non ne sapevo praticamente niente.

Avendo portato con me il Trono di Spade, finivamo per commentare il grande tomo in ogni suo particolare, e ad ogni capitolo letto dicevamo la nostra in merito; avevamo persino stilato una lista di personaggi e delle cose che c'erano piaciute o meno.
Era un nostro giochino che ci divertiva moltissimo, tanto che Wong insisteva sempre per partecipare, e noi quasi sempre glielo consentivamo.

Lui invece leggeva Sherlock Holmes, di Arthur Conan Doyle; un giallo letterario deduttivo, che raccontava per l'appunto di Sherlock Holmes, che insieme al suo amico e assistente fidato John Watson, indagava su crimini misteriosi in cerca del colpevole da consegnare alla giustizia.

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