CAPITOLO V

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Il giorno della partenza non potevo essere più riposato. Erano passate più di tre settimane dal mio ritorno a casa, Bologna la vidi solo di sfuggita quando, con mio padre, tornai per recuperare i miei ultimi oggetti e consegnare la Vespa al corriere.

Le settimane passarono tranquillamente, dormivo fino a tardi, studiavo il mio percorso e prenotavo voli, spostamenti e alloggi.

«Almeno fino a Mosca» dissi una sera al mio amico Mario.

«Come almeno fino a Mosca? Non volevi arrivare fino in Australia?» mi rispose stupito.

«Certo ma vorrei fare delle valutazioni strada facendo, non mi piace pensare che sia tutto programmato, altrimenti potrei andare con qualsiasi tour operator, non credi?»

«Si ci sta come ragionamento, ma non sei in un reality, non puoi rischiare Andre» disse il mio amico in un misto di preoccupazione e curiosità.

«Non ho mai rischiato in 20 e passa anni, figurati se non posso permettermi di farlo ora che ho un bell'anno sabbatico e un posto di lavoro che mi aspetta quando torno» risposi divertito.

Già, quel posto al BolognaDaily, volevo davvero tornarci? Dentro di me sapevo già la risposta, ma mi serviva come faro per farmi luce nella nebbia in cui stavo entrando per la prima volta. Senza dubbio non sarei mai andato fino in fondo se non avessi avuto quella piccola speranza a darmi l'occasione di tornare sui miei passi una volta che mi sarei reso conto di star commettendo un errore.

D'altronde, non si può cambiare il carattere a 15 anni, figurati alla mia età, quella parte razionale non mi avrebbe abbandonato mai, ma stavo cercando di darle meno retta, poco alla volta, facendomi cullare dalle onde dell'imprevisto.

«E poi vediamo come va, magari a Helsinki mi innamoro di una bella finlandese e non torno più» scoppiammo a ridere.

In tv trasmettevano una partita di Champions League di cui a nessuno importava molto, era una semplice partita di girone fra Ajax e Porto, ma tutti erano incollati allo schermo, tracannando birra in una piovosa serata di ottobre.

L'Old England era il ritrovo preferito dei miei vecchi amici, un posto in cui ci rifugiavamo le rare volte in cui riuscivamo a trovarci, fra i diversi impegni di ognuno che, per un motivo o per un altro, ci avevano allontanato dalla nostra città.

Mario lavorava per una multinazionale delle telecomunicazioni a Milano, dopo aver finito in tempo record ingegneria informatica al Politecnico, mentre Gregorio si era trasferito a Treviso per lavorare nello studio legale di suo padre. Francesco invece, dopo aver concluso gli studi poco dopo di me, sempre in lettere, aveva iniziato un corso di recitazione a Roma, guadagnandosi da vivere come teatrante.

Per questo motivo quel piccolo pub era per noi simbolo di unione e di ritorno ai migliori anni passati, quando da "sbarbati" passavamo intere serate a parlare di calcio, ragazze e a raccontarci dei nostri stravaganti progetti per passare l'estate o il capodanno.

Quella sera c'era solo Mario, l'amico di vecchia data, ci conoscevamo dai primi anni in cui iniziai a giocare a basket e da allora siamo diventati inseparabili. In lui ho sempre trovato quella schiettezza e sincerità che in pochi altro ho trovato, dimostrandosi più volte una fidata spalla in cui riporre fiducia e cercare dei buoni consigli.

«E quanto stai ad Helsinki?» mi domandò il mio amico.

«Non so ancora, penso non più di una settimana, poi penso di stare almeno altre due settimane a Tampere a casa dei miei nonni, in modo da ammortizzare un po' le spese prima di prendere il treno Helsinki-San Pietroburgo, anche perché il visto per la Russia non mi arriverà prima di un mese» risposi «e poi, vorrei godermi un po' l'inverno finlandese, per quanto freddo dicono che sia molto bello, mio nonno mi ha parlato di un luogo a nord dove si possono trovare ancora i lupi e, se sei fortunato, vedere l'aurora boreale».

Iperbole, la nascita di una canzoneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora