UN VERO GENTILUOMO

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Le lenzuola hanno un odore diverso

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Le lenzuola hanno un odore diverso. Non puzzano di colonia maschile, l'odore di Diego, che è la puzza di chi si imbelletta per coprire il marcio sottostante. Una macchia nera balza sul letto e mi si accoccola accanto. Billy Idol mi dà il buongiorno picchiettandomi il muso contro il collo.
Gli gratto il dorso e lui ricambia con un borbottio soffuso.   

Un altro borbottio mi desta dal torpore mattutino. Proviene dalla cucina. È quello del microonde in cui qualcuno sta scaldando qualcosa.
Emergo dalle lenzuola con fatica e mi trascino. La testa mi pesa, il viso e le costole mi fanno male, ho parecchi buchi di memoria della sera prima, ma tutto sommato sono stata peggio.

Claudico verso la fonte del rumore e la capigliatura rosa pallido di Lalo entra nel mio campo visivo, cozzando con lo squallido filtro mortalmente bluastro che riempie la stanza. È di spalle, con addosso una felpa così larga che gli arriva a metà coscia.

Sta versando il caffè in un'alta tazza gialla. «Sei sveglia.»   

Non rispondo. Fisso la sua schiena, il tessuto che riporta ideogrammi giapponesi stampati con la termopressa, poi sposto l'attenzione sul tavolo e sulla pila di toast imburrati, le frittelle e il tè fumante. Neanche la ricordo la mia ultima colazione decente.

Lalo prende posto e lo imito senza pensare, ché la testa mi fa troppo male e il mio stomaco brama da mangiare. Addento il toast con una voracità non proprio femminile, sotto gli occhi divertiti di quel gattaro psicopatico. Aspetto di aver placato il languore per restituirglieli: «Che c'è?».

«Niente.»

Billy Idol fa il suo ingresso dalla porta finestra e mi salta in grembo, pretendendo la sua dose di attenzioni. Lo gratto dietro le orecchie e il suo corpo vibra tra le fusa.

«Ricordi qualcosa di ieri sera?».

Mi irrigidisco, raschiando la gola con un colpo di tosse. Ricordo una tempesta di fotogrammi senza senso, delle urla, la faccia di Diego contro il terreno. «Qualcosa» mormoro, assalita da una sconcertante vampata di disagio. «Perché l'avete fatto?»

«Perché se tu aiuti noi, noi aiutiamo te.»

Non è stato Lalo a parlare. Mi pietrifico sulla sedia alla vista di Virgilio Spina, piantato sulla soglia della cucina. Indossa la giacca di pelle rovinata e porta con sé il freddo del mondo esterno, segno che deve essere appena rientrato.

«Ciao» dice.

«Ciao» rispondo. «Dov'eri?»

«Giro di ricognizione. Io e Tank controllavamo che il tuo ormai ex ragazzo non fosse nei paraggi.»

Attraversa la cucina e con la coda dell'occhio intravedo Tancredi in sala che si sfila il giubbotto. Virgilio attira su di sé tutta la mia attenzione, comunque, perché le sue parole ripercorrono la mia mente in un lampo: «Scusa, cosa hai detto?».

Parola di gattoWhere stories live. Discover now