36. Smettila di lasciarmi andare

17.6K 1K 1.3K
                                    

Okay, lo ammetto: il mio piano si era dimostrato più ottimista del dovuto.

Io e Mike avevamo passato l'intera giornata a cercare Feng. E anche il giorno dopo, e quello dopo, e quello dopo ancora. Dopo quattro giorni di ricerche a vuoto, della ragazza neanche l'ombra.

Era stato solo giovedì che zio Nash si era deciso a rivelarci che Feng aveva lasciato la città. Apparentemente aveva deciso di passare qualche giorno da una vecchia compagna di college a San Francisco, senza dare troppe spiegazioni. Ovviamente io e Mike conoscevamo la ragione di quella fuga improvvisa, ma non ci parve il momento adatto per dirlo allo zio.

In quei quattro giorni avevo avuto anche modo di approfondire meglio con Cressida la questione della rottura fra lei e Mike. E anche se all'inizio non ero rimasta del tutto convinta del fatto che fosse stata una "rottura voluta da tutti e due", alla fine dovetti ricredermi. Le cose fra loro erano tornate alla normalità praticamente subito, come se la confessione inaspettata di Feng avesse aperto gli occhi ad entrambi. Così Cress si era unita alle ricerche, e stare da sola con loro due si era rivelato meno imbarazzante di quanto mi aspettassi.

Altra nota dolente: tutto quel cercare e Feng e, contemporaneamente, organizzare il gala di beneficenza mi avevano lasciato zero tempo libero. Il ché voleva dire che io e Scott non avevamo ancora avuto modo di parlare.

Non che lui avesse fatto molti sforzi, diciamolo. Forse era troppo occupato a stare dietro alla sua amichetta norvegese per ricordarsi di me, la sua vecchia amica Camille, che aveva baciato e confuso rovinando il rapporto con lei in maniera quasi indelebile.

Ma non me l'ero presa. Per niente. Affatto.

Mancavano solo due giorni al gala, e il tempo per i preparativi stringeva sempre di più. Così, dopo aver abbandonato una volta per tutte le mie ricerche di Feng, saltai la pausa pranzo per andare alla villa d'epoca che Adrien aveva affittato per l'occasione.

Attraversai il viale alberato cercando di osservare le statue di marmo nel giardino da sotto il mio ombrello. L'erba del prato era la più verde che avessi mai visto, e c'era addirittura una fontana al centro del campo.

Attraversai il porticato con il colonnato di pietra, fino ad arrivare ad un enorme portone di legno con le rifiniture in ottone. Sgattaiolai nella porta laterale che era rimasta socchiusa, per poi abbandonare l'ombrello grondante in un angolo.

Attraversai il corridoio fino all'unica porta aperta, da cui veniva della musica. E non appena fui dentro, rimasi a bocca aperta.

Il salone era magnifico.

Enorme, in stile liberty dei primi anni venti. C'era un lampadario in cristallo grande almeno quanto il mio appartamento che pendeva dal soffitto. Delle scalinate con i corrimano in ferro battuto portavano ad un piano rialzato al fondo della sala, che si apriva poi in una gigantesca vetrata che dava sul giardino.

Al centro della stanza i tavoli erano stati adibiti da piani da lavoro, sommersi da decorazioni da terminare. Henny e Scott erano lì, ad un capo della tavola, intenti a ridacchiare di qualcosa.

Sbuffai.

«Ehi, Cami!» la voce di Adrien mi costrinse a distogliere lo sguardo. Mi voltai verso di lei, che nel frattempo mi era corsa in contro. Portava la chioma riccia e corvina stretta in una coda alta, e al posto del solito completo elegante con cui la vedevo a lavoro indossava un paio di pantaloni della tuta macchiati di vernice e una canotta.

Per un secondo vederla così mi fece uno strano effetto.

«Che dici, ti piace?» chiese, facendo un cenno verso la sala.

Questa non è una storia d'amore Where stories live. Discover now