Di nuovo

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Un nuovo blackout ci annuncia che no, anche se sembrava fosse finita, non lo è affatto. L'ascensore si ferma ancora, questa volta assestandoci una scossa che ci fa vacillare ma non cadere.

Stefano, in piedi accanto a me, perde l'equilibrio ma riesce a riacquistarlo prima di cadermi addosso; io sono sempre seduta a terra, la schiena contro la parete e una mano tra i capelli, a studiare le sue reazioni.

Deve essersi accorto che qualcosa non andava perché non è stato colto impreparato dal brusco arresto -al suo posto io sarei crollata a terra senza ombra di dubbio-, tuttavia non comprende del tutto cosa stia accadendo.

«Forse stanno avendo dei problemi a tirarci fuori» suppone, il tono basso di chi sta cercando in sé una calma che non è sicuro di avere.

Non mi sento pronta per sostenere una crisi di nervi, per cui decido di far forza sulla caviglia sana e mettermi in piedi, raggiungendo quasi la sua altezza. Stefano mi sorride ma in realtà non fa altro che arricciare le labbra e mostrare i denti. È teso –chi non lo sarebbe, bloccato in un ascensore con una sconosciuta e un taglio sulla testa medicato con un crop top- ma ha le mani ferme. Sta tastando le porte dell'ascensore, forse per accertarsi di poterle manomettere, ma dal modo in cui serra la mascella credo che la risposta sia negativa.

«Credi che sappiano che c'è qualcuno?» domando, senza togliergli gli occhi di dosso. Si è arrotolato le maniche della camicia in un momento imprecisato e adesso posso vedere i suoi muscoli guizzare mentre tenta di forzare la porta interna.

«Non lo so, nel dubbio premi di nuovo il pulsante d'emergenza» consiglia a denti stretti. Tutti i tentativi precedenti sono stati fallimentari in questo senso, ma magari l'ennesimo blackout ha resettato i sistemi.

Siccome non tutto può sempre andare storto, questa volta il pulsante si illumina di un rosso vivo che mi fa sussultare. Nel medesimo istante si ode il rumore di una sirena che risuona nell'androne, per cui deduciamo di esserci fatti notare.

Stefano mi sorride, questa volta più sinceramente, e si avvicina a me per sostenermi quando, saltellando dalla contentezza, una fitta di dolore più acuta del solito mi ha attraversato la caviglia. Non ha mai smesso di far male eppure questa volta sembra diverso, a momenti sarei caduta se non mi avesse afferrato al volo.

Per la seconda volta nel giro di una notte, le sue mani sono di nuovo sui miei fianchi, pronte a sorreggermi quando il mio equilibrio precario decide di abbandonarmi. Tuttavia, adesso mi sembrano più sicure, più forti, complici anche la sbornia ormai smaltita e la confidenza che si è instaurata a causa della condivisione forzata di questo spazio angusto.

«Sono un disastro, scusami» biascico incerta, mentre i suoi occhi vagano sul mio corpo. Rafforza la stretta quando si posano sul profilo del seno, coperto solamente dal reggiseno in pizzo. Quasi mi viene da ridere a pensare che Livia me l'ha fatto indossare con la forza mentre io volevo metterne uno più comodo.

«E se poi devi spogliarti?» ha insinuato con malizia, strappandomi dalle mani il reggiseno a balconcino che tenevo stretto sopra l'asciugamano. Devo ricordarmi di ringraziarla dopo averla uccisa per avermi trascinato alla festa.

Il pomo d'Adamo si muove su e giù, attirando la mia attenzione sul volto criptico di Stefano. Deglutisce ancora a vuoto finché i suoi occhi tornano a posarsi sul mio viso, sulle mie labbra.

A questo punto sono io che deglutisco, avvampando sotto il suo sguardo famelico. Spesso ho pensato a lui, desumendo i suoi modi di fare dai comportamenti che tiene con gli amici e immaginando la sua personalità. Non ho mai pensato che fosse ipocondriaco, a tratti sfacciato e persino passionale.

Sì, passionale, perché è passione quella che avverto quando poggia le labbra sulle mie suggellando un bacio che forse entrambi abbiamo anelato per troppo tempo.

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