27.

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POV Sophie

Strinsi gli occhi, sentendo del bruciore al lato della testa. Aprii leggermente le palpebre, richiudendole subito dopo per via della luce accecante, e mi portai una mano sugli occhi, sfregandoli e cercando di fare andare via quella sensazione di intorpidimento. Riaprii lentamente gli occhi, iniziando a guardarmi intorno la stanza dalle pareti color panna, una stanza che non era la mia.

Mi alzai di colpo, procurandomi un capogiro alla testa che per un attimo mi fece vedere nero. Ero su un letto ben fatto, dalle lenzuola in lino di un rosa pallido; la finestra da cui entrava tutta la luce mostrava un paesaggio rupestre, con una valle verde e con delle montagne lontane; ma oltre a questo, non c'era né una casa né segni di civiltà.

Scesi dal letto, toccando con la punta dei piedi nudi il pavimento freddo, che mi mandò una scarica di brividi lungo la schiena; barcollante iniziai a girovagare, cercando di fare mente locale su dove fossi e come ci fossi arrivata soprattutto. La mia immagine riflessa su uno specchio catturò la mia attenzione, così mi avvicinai, notando come una banda macchiata leggermente di rosso mi avvolgesse la fronte: probabilmente era dovuto a questo il bruciore per cui mi ero svegliata. La spostai attentamente verso l'alto, scoprendo un taglio ricucito alla perfezione sul lato della mia fronte, e guardando quello ricordai. Degli uomini avevano fatto irruzione in casa, quando stavo parlando con Stefan e avevano bloccato mio padre e poi tramortito me con un colpo alla testa. Sudore freddo iniziò a percorrermi il corpo... se prima ero spaventata ora ero terrorizzata.

Notai all'angolo della stanza dei vestiti perfettamente piegati e stirati, con sopra un bigliettino con scritto in una calligrafia perfetta e pulita

/ Non appena sarai sveglia, cambiati e scendi al piano terra.

Non vedo l'ora di conoscerti, papà /

Il bigliettino cadde a terra, svolazzando con un movimento ondulato prima di finire ai miei piedi. Cesare Moretti mi aveva trovato. E questo voleva dire che né mio padre, quello che consideravo il mio vero padre, né tanto meno Stefan erano al sicuro. Sapeva che qualcosa non andava, considerando che era al telefono con me e aveva sentito tutto, e probabilmente era già sulle nostre tracce... il che era incoraggiante, sapevo quanto era bravo nel suo lavoro e sapevo che avrebbe fatto di tutto pur di ritrovarmi. Ma sapevo anche che era solo.

Lasciai perdere i vestiti, infilandomi solo le scarpe e scendendo con i vestiti macchiati di sangue, quelli con cui mi ero addormentata a casa mia.

Prima di uscire, notai una penna stilografica su una scrivania e l'afferrai, incastrandola nell'elastico dei pantaloncini e coprendola con la maglietta. Almeno avrei potuto usarla come arma per difendermi, anche se non era mortale, ma di sicuro avrebbe fatto male infilzata nel punto giusto e con la giusta forza.

Aprii la porta, cercando di non fare rumore, e guardai il lungo corridoio vuoto, aspettando qualche minuto per vedere se arrivava qualcuno, cosa che non avvenne. Cautamente cercai con lo sguardo le scale, trovandole poco più avanti sulla destra. La casa sembrava una residenza estiva di campagna, dai pavimenti in marmo e dipinti ottocenteschi appesi sulle pareti, le scale avevano il corrimano con motivi dorati ed erano percorse da un tappeto grigio perla, perfettamente pulito e lucente. Scesi le scale, cercando di non fare rumore, aiutata dal tappeto che attutiva i miei passi, e mi ritrovai in una grande hall, anche questa piena di dipinti e statue

"Ti sei svegliata a quanto pare"

Ero troppo impegnata a studiare l'ambiente intorno a me per rendermi conto della presenza alle mie spalle. Mi girai di scatto, guardando l'ultima persona che mi sarei mai aspettata di rivedere, osservarmi con un angolo della bocca alzato

Love is a strange thingWhere stories live. Discover now