Capitolo 5.

492 40 7
                                    

Ringo Star era al massimo volume mentre tutti gli invitati si divertivano, sereni, un bicchiere in una mano e una tartina, delle patatine o un qualsiasi tipo di cibo nell'altra.

La festa procedeva bene: tutti sembravano divertisti, tra i drink, il cibo, la musica, la piscina e la compagnia.

Cesare era sereno, seduto su una sdraio davanti alla piscina del padre di Nelson, con indosso solo un costume rosso e una maglia nera a maniche corte che gli fasciava il petto.

Nonostante fosse il 5 Settembre, lì a Bologna, faceva ancora un gran caldo.
Non c'era più l'afa torrida di metà Agosto, non quel caldo che prosciugava.

Era un caldo diverso, più lieve, persistente ma non sfiancante.

Cesare bevette un sorso del suo drink, mentre vicino a lui Tonno e Nelson parlavano di qualcosa a lui non noto.

Era distratto.
Prese un altro sorso mentre si guardava intorno.

Non avevano invitato troppe persone: i regaz di space valley e rispettive ragazze, quelli dei rovere, i cugini di Nels e suoi, vecchi amici secolari di entrambi.
Poca gente ma buona e tutti si divertivano, contenti.

Dario si era appena lanciato in piscina, ridendo, mentre la musica era altissima. Dopotutto erano in piena campagna, la casa più vicina a circa un chilometro: la musica alta non avrebbe causato problemi.

"PISCINAAAA" Urló Nelson al suo fianco, alzandosi e prendendo in braccio Beatrice, pronto a lanciarsi in acqua.

Cesare si guardò bene in torno, sorseggiando ancora il suo drink, ormai quasi finito.
C'erano tutti, dal primo all'ultimo, tranne lei.
La stava cercando da un po', ormai era circa un'ora che l'aveva persa di vista.

"Entro un secondo" Disse a Tonno, mentre questo si levava la maglia, pronto per tuffarsi anche lui in piscina.

Annuì, con un sorriso e seguí l'esempio di Nelson.

Cesare si alzò, mettendosi le infradito e scompigliandosi i capelli.
Aveva bevuto, eppure si sentiva stranamente lucido, come se la sua mente lo obbligasse a non perdere la testa se non si fosse accertato che lei fosse al sicuro.

Che poi, perché era in ansia per lei? Perché non doveva essere al sicuro?

Entrò in cucina, cercando di mettere a tacere quella sensazione, e salì le scale, diretto verso le stanze del piano di sopra, sperando di trovarla lì.

Non dovette cercare molto: dalla prima stanza del corridoio usciva una fievole luce.

Si appoggiò allo stipite della porta, il cuore leggermente più sereno, vedendola lì, davanti ad uno specchio a muro, mentre si osservava.

Lei indossava un paio di pantaloncini corti di jeans e un cardigan bianco, da cui sotto si vedeva un costume colorato, di un giallo accesso.
Non si tranquillizzò del tutto però: il viso di lei non era sereno, anzi, era il contrario, molto tormentato.

Gli occhi erano due pozzi neri, un abisso oscuro, che mai aveva visto così profondo, intenso e senza via di ritorno.

In quel momento, da fuori, rimbombò una nuova canzone.
"Ad undici anni quando eri piccola
Aspettavi una lettera da Hogwarts
Per dimostrare a tutti i tuoi compagni che eri tu quella diversa da loro
Sì ma non arrivò
E la bimba più dolce pianse lacrime amare
A volte però
Sembra quasi tu sia ancora lì ad aspettare
E non so cosa, non so dove non so chi"

A ritmo di Antartide dei Pinguini Tattici Nucleari, la vide nel suo momento più intimo e delicato, nel suo momento più buio.

La mano destra di Chiara si posò sulla sua coscia destra, toccandola, l'abisso dei suoi occhi fissi su quel gesto.

Lettere quasi mancateWhere stories live. Discover now