Procuro Olvidarte.

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“Lo que haríaPor que estuvieras tú, Por que siguieras tú conmigo

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Lo que haría
Por que estuvieras tú,
Por que siguieras tú conmigo.
Lo que haría
Por no sentirme así,
Por no vivir así, perdida.”

New York, 13 Luglio 2020.

Se potessi spiegare cosa ho provato in quel momento non riuscirei a farlo, poiché sono strane sensazioni, difficili da spiegare. Ricordo il dolore immenso, talmente forte da farmi mancare l'aria, come se per un momento avessi dimenticato come si respira. Un male terribile al cuore, così intenso che una coltellata lo avrebbe solamente accarezzato; un male al corpo, intero, che mi ha lasciata attaccata al suolo per chissà quanti minuti senza reagire.

E come avrei potuto?
Come si reagisce ad una simile notizia?
Cosa bisogna dire, o fare, quando dei poliziotti bussano alla tua porta alle tre di notte e ti dicono:“Ci dispiace, signorina Reynolds, vostro marito ha avuto un incidente e si trova in uno stato molto grave”.

Cosa fai?

Nulla, poiché non puoi fare nulla.

Resti fermo, rigido, cerchi di assimilare la notizia e cerchi mille modi su come reagire ad una simile notizia. Poi ci pensi, così tante volte che nel tuo cervello inizia a rimbombare quella frase tanto da iniziare a notare la testa pesante dopodiché non resta che scoppiare in un forte pianto.
Singhiozzi, poi cerchi di essere forte ma non riesci e crolli di nuovo.

Ma questa non è la parte peggiore poiché dopo arriva l'incertezza: riuscirà a salvarsi o dovrai dirgli addio per sempre? E da lì partono mille domande, un milione di dubbi.
Ti senti impotente, vorresti fare qualcosa per aiutarlo ma sai che c'è poco da fare e che bisogna solo pregare. Pregare a qualcuno o a qualcosa per far sì che riesca a salvarsi, per far sì che non se ne vada via così presto lasciandoti sola.

Per questo motivo arriva la paura di restare sola, ti chiedi se sei pronta a vivere senza questa persona o se all'andarsene se ne andrà via anche una parte di te. Ti chiedi se davvero vale la pena vivere senza di lui, se vale la pena svegliarsi di notte e non averlo al tuo fianco o vederlo tornare a casa ogni giorno, magari con una sorpresa per tirarti su di morale.

All'improvviso iniziano i sensi di colpa, ti incolpi dell'accaduto. Inizi a pensare che forse non sarebbe dovuto uscire quel giorno, che forse era meglio se fossi andata anche tu con lui. Oppure inizi ad incolpare il destino che forse non vi ha mai voluto bene e ha cercato di farvi separare nel più brutto dei modi.

Però alla fine ti arrendi e cerchi di accettare qualsiasi cosa il destino vorrà mandarti, nonostante parecchie volte sono solo brutte notizie.

Come nel mio caso:
mio marito, il mio dolce e amato  Antonio Reynolds è scomparso due giorni dopo l'incidente lasciandomi con una pena immensa.

Il mio Antonio, così bello e dannato.
Con i suoi occhi azzurri limpidi come il mare in constrato con i suoi capelli, neri come la pece.

Un gigante dal cuore d'oro, così lo chiamavano, e lo era sempre stato sin dal primo giorno in cui ci siamo conosciuti, per sbaglio nel ristorante dei miei genitori a Manhattan.

Quel ristorante è uno dei luoghi dove più ci siamo amati, dove abbiamo passato tutte le nostre avventure amorose e le nostre scappatelle di casa. Era, ed è, il nostro rifugio.
Il nostro luogo dove ci giurammo amore eterno, dove nessuno e niente poteva ferirci e se, magari per errore, qualcuno provava a farci del male lui era lì pronto a proteggermi.

Perché Antonio era un eroe, per me e per tutte le persone a cui salvava la vita ogni notte mentre lavorava come pompiere, o come a lui piaceva chiamarlo Superman senza mantello.
Un lavoro che lui adorava più della sua stessa vita, lo rendeva felice ed io lo ero ancora più quando lo vedevo tornare a casa contento perché aveva salvato tante vite.

Come quella volta quando ebbe una chiamata dicendo che si era incastrato un bambino in una ringhiera, corse immediatamente e quando tornò a casa era così felice che mi propose di avere un bambino tutto nostro.
La domanda mi rimase un po' turbata, infatti mi limitai ad annuire e non ebbi il coraggio di rispondergli mai, non so perché ma avere un bambino in quel momento non era nei miei piani. Eppure quando finalmente ho deciso di cambiare idea, il mondo me lo ha portato via.

E solo Dio sa quanto me ne pento di non avergli detto di si quella sera.
Ora, in questo momento, avrei qualcuno con cui piangere. Avrei qualcuno con me di notte che mi abbraccia, che mi consola quando mi giro e mi accorgo che non c'è.

Sono passati circa sei mesi e nonostante cerchi di dimenticarlo c'è sempre qualcosa che mi riporta a lui.
Che dico... Tutto mi riporta a lui.

Casa nostra, ormai vuota e silenziosa.
I fogli bianchi dove ogni sera, prima di andare a salvare le persone, mi scriveva “Le ragioni per le quali ti amo”.
Tutti i luoghi in cui ci siamo amati, tra cui il nostro amato ristorante.

Cerco di dimenticarlo facendo mille cose diverse, ho persino iniziato delle attività che non avrei mai fatto nella mia vita. Ho iniziato a fare yoga, ad andare in palestra, ballare.
Ogni tanto le mie amiche cercano di farmi divertire portandomi in discoteca, in posti dove c'è tanta gente per non farmi sentire sola ma la verità è che continuo a sentirmi così.

Sola e persa senza di lui.

Darei qualsiasi cosa per non sentirmi così, ma soprattutto darei qualsiasi cosa per riaverlo con me.

Però non è possibile, è difficile da accettarlo ma il mio Antonio è volato via come un uccello e non tornerà più quindi mi toccherà viverlo e sentirlo vicino attraverso i miei sogni.

Perché lì, Antonio, c'è e continua ad amarmi come il primo giorno.

Maria Reynolds.

New York's Diary. Where stories live. Discover now