MI HA FATTO PIACERE CONOSCERTI

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«È qui» dissi nell'orecchio a Benedetta, che subito si voltò nella speranza di vederlo.
«Dove? Vai a parlargli.» suggerì.
«Sì, certo. E comunque non riesco più a vederlo, ci sono troppe persone» continuai io.
«Io sto andando ad ordinare di nuovo. Qualcuno di voi si unisce a me?» chiese Vittorio, che aveva ancora il drink tra le mani.
«Forse è meglio se ci vai piano» gli consigliai io, allontanandolo dal bancone e facendogli cascare il bicchiere a terra.
«Guarda che hai fatto! Me ne devi uno adesso» biascicò lui.
«Credimi, ti ho fatto un favore. È meglio se andiamo fuori a prendere una boccata d'aria, che ne dici?» gli suggerii.
Lui annuì e così lo presi per mano dirigendomi verso l'uscita, cercando di farmi spazio tra le persone.

Finalmente un po' di respiro. L'odore nauseante di alcol cominciava a farmi bruciare gli occhi.
Vittorio si accese una sigaretta con molta difficoltà e poi cercò di appoggiarsi al muro ma, a causa delle sue condizioni, barcollò e perse l'equilibrio, andando a sbattere contro un ragazzo di spalle che, prontamente, si girò verso di lui in tempo, evitandogli di cadere.

Nonostante, tra la ressa, non riuscii a vedere il volto di quella persona, sussurrai comunque un grazie.
«Non sono messo molto meglio di lui, ma qualcosa riesco a farla» disse una voce maschile. Una voce familiare. Alzai lo sguardo. Era lui.

Mi immobilizzai all'istante, e, presa a contemplarlo, non mi accorsi che le ragazze ci avevano raggiunto. Io guardai furtivamente Benedetta, cercando di farle capire che il ragazzo senza nome era proprio di fronte a me. Lei capì immediatamente e, sussurrando "è sexy" in tono malizioso, si avvicinò a me e mi tolse l'elastico dai capelli.
«Stai molto meglio così» disse, per poi raggiungere gli altri e rientrare nel locale.

Io rimasi lì, in silenzio, e lui fece lo stesso.
Poi, ad un tratto, portò una mano alla tasca e tirò fuori un pacchetto di sigarette, estraendone una.
«Io ti conosco» disse, accendendola e facendo un tiro.
Io non risposi. Sembrava quasi che la mia lingua si fosse intorpidita.
«Vuoi?» mi chiese, reggendo la sigaretta tra il pollice e l'indice.
«No, grazie. Non fumo» risposi io a bassa voce, mentre le mie gambe cominciarono a tremare.
«Hai freddo per caso?»
«N-no, non direi. Si sta piuttosto bene» balbettai, con poca sicurezza.
«Come vuoi, sembrava stessi tremando» rispose lui, sogghignando.
«Io, beh, ecco, n-no»
«Comunque io sono Michele» disse, avvicinandosi al mio orecchio, quasi volesse farlo sapere solo a me.
«Mia» risposi, con la voce tremante e il cuore in gola.
«Mia» ripeté, con un filo di voce, come se stesse parlando più con sé stesso che con me. Sentir pronunciare il mio nome da quelle labbra mi provocò una serie di brividi lungo la schiena e una scarica di adrenalina mi pervase. Poi sorrise.
«Hai proprio un bel nome, sai?»
«G-grazie» riuscii a malapena a dire.

Improvvisamente, lui cominciò a guardarsi intorno, come se cercasse qualcuno. Probabilmente si era stufato di me e sperava di poter trovare un amico nei paraggi per potersi liberare della situazione. Perché avrebbe voluto restare? Io non facevo altro che farfugliare qualche risposta di tanto in tanto. Non lo biasimai.

Eppure, quello che mi chiese di fare andò contro i miei pensieri: propose, infatti, di spostarci dall'altro lato della strada per chiacchierare senza essere continuamente disturbarti dal volume della musica o da chiunque entrasse/uscisse dalla porta. Io, ovviamente, accettai senza esitazione.

Una volta attraversata la strada, gettò il mozzicone a terra e riprese a parlare.
«Sei carina stasera» disse poi, appoggiandosi al muro.
Che lo pensasse davvero? Ai suoi occhi mi sentivo così piccola da non credere minimamente alle sue parole. Così non risposi, ma un piccolo sorriso mi apparve comunque sulle labbra, nonostante il mio vano tentativo di reprimerlo.
«Sei silenziosa» continuò poi. "E tu sei insistente" pensai io, leggermente infastidita.
«Che ci facevi ieri nel condominio dove lavora mia madre? Se posso chiedere»
«Francamente non lo so. Qualcuno mi ha lasciato un biglietto in cui c'era scritto quell'indirizzo e ho pensato di dare un'occhiata. Tutto qui»
«Tutto qui? Qualcuno ti lascia un indirizzo di cui non sai nulla e tu dici "tutto qui"?»
Io tacqui.
«Scusami, sono un po' brillo. Non volevo essere invadente. Solo che mi hai incuriosito» aggiunse poi.
«Non preoccuparti, non fa nulla»
E lo pensai davvero. Sebbene odiassi il fatto che si stesse intromettendo nelle mie questioni private, non reagii come mio solito. Avrebbe potuto dirmi o chiedermi qualsiasi cosa. Non riuscii ad essere la solita scorbutica. Qualcosa me lo impedì.
«Questo indirizzo... insomma, è una cosa importante per te?» mi domandò, diventando improvvisamente serio.
«Sinceramente non lo so. Non ho idea di cosa significhi. Però la persona che me l'ha lasciato... quella sì che era importante» spiegai io, rivolgendo lo sguardo verso il basso.
«Senti, so che non ci conosciamo, però posso provare a scoprire qualcosa. Mia mamma ha sempre molte informazioni su coloro che abitano nel palazzo. Puoi lasciarmi il tuo numero di telefono e se scopro qualcosa te lo dico. Magari posso esserti utile in qualche modo»
Per qualche strano motivo, accettai. Forse non avrei dovuto farlo, in fondo eravamo due estranei. Eppure, come ho già detto, avrebbe potuto chiedermi qualsiasi cosa e io l'avrei fatta.

Così, in quella serata di metà settembre, diedi il mio numero a quello sconosciuto. Che poi, sconosciuto non lo era più. Diedi il mio numero a Michele, il ragazzo della portineria.
Nel momento stesso in cui presi in mano il mio telefono per salvare il suo contatto, mi accorsi delle sette chiamate senza risposta di Roberta.
«Ora devo proprio andare. I miei amici si chiederanno dove sono finita» dissi, sul punto di andarmene.

Lui, che era rimasto per tutto il tempo appoggiato al muro, si scansò e si mise di fronte a me, cosicché non potessi fare un altro passo.
Io lo guardai confusa e lui avanzò verso di me, obbligandomi ad indietreggiare, finché sbattei la schiena contro il muro sul quale, fino a poco tempo prima, vi era lui.
Ci fissammo per qualche secondo: le sue pupille non fecero altro che dilatarsi sempre di più. La vicinanza di Michele al mio viso mi fece soffocare. Non potei fare altro che guardarlo intensamente negli occhi, mentre lui spostava continuamente lo sguardo sulle mie labbra.

D'un tratto, il suo viso si avvicinò pericolosamente al mio e i suoi occhi cominciarono a socchiudersi. Si morse il labbro inferiore e io deglutii rumorosamente il nodo alla gola che, nel mentre, si era formato.
«Che stai fac-» venni interrotta dalla sua bocca sottile che si poggiò sulla mia. Restammo così, immobili, per una frazione di tempo che non riuscii a determinare, finché sentii la sua lingua premere sulle mie labbra e così schiusi la bocca per permettere al bacio di diventare progressivamente più passionale. Mentre le nostre lingue si intrecciavano, seguendo movimenti disordinati, Michele mi prese il viso tra le mani e si strinse a me. Ad un certo punto i nostri bacini si scontrarono e io non riuscii a trattenere un piccolo gemito che lo fece sorridere.

Di colpo, lui si staccò bruscamente da me.
«Perdonami, non avrei dovuto» confessò a testa bassa, per poi correre via, senza voltarsi e concedermi il tempo di ribattere.

Restai qualche minuto fuori, per cercare di ritornare con i piedi per terra. Fui incapace di spostarmi da lì. Non riuscii a capacitarmi di ciò che era appena successo. Sentii tutto il mio corpo debole, in subbuglio e la mente offuscata, colma di domande a cui non riuscii a rispondermi. Perché mi aveva baciata? E, soprattutto, perché se ne era andato in quel modo?
Presi in mano il telefono per scrivere a Roberta di venire fuori, che volevo tornare a casa subito. Poco dopo, venni raggiunta dal gruppo che mi tempestò di domande a cui, però, non feci caso.
Benedetta chiamò un taxi e, mentre ci avviammo alla fermata prevista, provai una strana sensazione nel petto.

Tutto mi parve distante. Il mondo. I miei amici. Me stessa.
Molte persone mi passarono accanto, facendo rumore, gridando, ma io non sentii niente, tranne il mio cuore che batteva all'impazzata.

Una volta sul taxi, il mio telefono squillò, avvisandomi di aver ricevuto un messaggio.
Estrassi il telefono dalla tasca e mi apparve un numero sconosciuto: «Prima scoperta: mi ha fatto piacere conoscerti»

Fino a perdere il fiatoWhere stories live. Discover now